Letture e riletture


29.5.03
Recensione inviata da Auro
Ho letto Morituri di Yasmina Khadra, edizioni e/o, collana Noir - 1997
È un bel noir. Veloce, sia nella storia che nella lettura. È anche scottante, sia nella storia che nella lettura.
Ci si trova catapultati ad Algeri, sotto gli spari e la violenza del terrorismo. Nella pelle di un commissario di polizia che vive con difficoltà quello che vede, intrappolato dai ricordi e dal futuro che per lui può solo durare 5 minuti. Incontra sulla sua strada colleghi, moglie, figli, boss, criminali, ex poliziotti, gente che sa troppo o che sa troppo poco, donne e papponi. Li incontra e molto spesso deve affrontare dolorosi saluti. Li incontra con lo stesso sguardo sconsolato e senza emozione, li saluta invece riscoprendosi uomo.
L'autrice (che scrive dietro uno pseudonimo) è decisamente in gamba: la storia regge, nonostante l'intreccio complicato e nervoso. Si dice che dietro lo pseudonimo femminile, in realtà ci sia un uomo. Personalmente non ho trovato nel libro tratti che suggerissero una scrittura femminile, né tanto meno una scrittura maschile: un altro punto a favore del libro. Che mi è piaciuto decisamente e che consiglio vivamente.
"L'unica differenza fra lei e i terroristi è che i terroristi corrono rischi, e lei no. Se la loro audacia non cancella la loro vigliaccheria, dimostra però che lei non merita neppure il disprezzo".
Auro




26.5.03
Recensione inviata da Carlo Annese
Mondo Blog de La Pizia. Un libro pieno di emozione, vissuto, intimo e umano appunto. Un libro onesto, in cui non traspare mai un calcolo o una provocazione, com’era invece per Diario di una blogger di Francesca Mazzucato: né dietro l’idea di scriverlo, tanto meno dietro la volontà di aprire il weblog che ha reso famosa l’autrice (è raccontata quasi per caso: “La cicogna arrivò il 28 marzo 2001, portandomi in dono il mio primo, tanto atteso, piccolo blog”).
Non conosco La Pizia, non sono citato nel libro né i nostri blog sono vicendevolmente linkati fra i preferiti. Anche per questo non mi sembra il caso di scomodare paragoni roboanti con Hemingway o Verga o di indicare Mondo Blog fra i primi capolavori di un eventuale NeoVerismo tecnologico, come ha fatto Marie Marion. Ma ne riconosco comunque il valore. È un libro generoso, genuino, che unisce dettagli tecnici e momenti di vita vissuta, network di rete e relazioni sociali, sia pure con qualche discontinuità che un buon editor avrebbe potuto evitare, sempre con la stessa capacità di tenere alta l’attenzione, già caratteristica del weblog da cui trae spunto. Perché, come scrive la stessa Eloisa, il bello del blog non è nella tecnica, e nemmeno nella straordinarietà dei contenuti. […] I blog sono un ritorno al minimalismo. Contro la pomposità dei siti web che la new economy ha voluto vuoti e asettici, i blog parlano la lingua di casa, raccontano cose familiari, sono disinteressati e senza secondi fini.
Ma per parlare questa lingua, è necessario che sia elaborata. Trovo una straordinaria coincidenza con alcuni miei vecchi post, quando La Pizia scrive che il blog non è un semplice diario ma è il risultato di un artificio narrativo (il che vale anche per i siti non diaristici). Si scrive un blog sapendo di essere letti, quindi essendo consapevoli di dover catturare e conservare l’interesse di chi lo frequenta. In che modo? Ricorrendo a una dissimulazione della realtà, che è l’arte dello scrivere, e trasferendo in forma leggibile e veritiera l’urgenza della comunicazione che molti di noi sentono.
Tra gli strumenti di questa arte, c’è soprattutto il senso della misura, l’abilità di rendere pubblico ciò che è privato senza alterare la verità e incidere nei rapporti interpersonali. Il rischio è consistente, essendo insito nella natura spersonalizzante della tecnologia. La Pizia non concepisce questo rischio, poiché umanizza la Rete e i blog. Lo confermano le citazioni di altri blogger, l’idea che traspare di una condivisione di sentimenti e di contenuti, di una comunità effettiva che si sviluppa dietro e attraverso questi siti. Ma ne fa fede soprattutto l’ultimo paragrafo, dedicato al quartiere di Roma nel quale vive l’autrice: uno scarto improvviso, intenso. In apparenza, non ha nulla a che vedere con i blog e invece li inserisce in una geografia umana reale, come piccole o grandi tracce su una mappa che ha ben poco di spersonalizzante e di virtuale.
Carlo Annese




24.5.03
Recensione inviata da GiallodiVino
Cherchez le cadavre
Dev'essere mischiata tra le villette a schiera, basse e col prato pettinato, di quinta dietro a un casermone che oscura il sole, oppure specchiata in un palazzone vetrocemento à la Mitterrand, in una delle tante cité che ingozzano Parigi di pendolari. Te l'immagini così la Métallique, fabbrica di componenti auto, indotto della grande madre Renault-Citroen-Peugeot, che non trovi sulle cartine che regalano nel metrò. Una fabbrica dove le presse stantuffano e macinano stampi per i cofani della 305, che escono sfilettati come una cernia sul tavolo di un cuoco giapponese. Ma hanno un sacco di casini da quelle parti. Casini con l'applicazione della legge che rivoltò la Francia come un calzino e che madame Aubry, la figlia di Delors - l'uomo che non volle farsi presidente - lei sì, volle a tutti i costi. La legge sulle trentacinque ore, quella fatta con gli aiuti e i finanziamenti alle imprese, avversata dal patronat, amata dai consulenti che studiano e ci mangiano solo per ridurre i cali di produttività e mantenere alto il livello di occupazione.
Scontri, celerini, botte da orbi tra tute blu e tute grigie. Ma alla Métallique hanno anche altri casini con qualcuno che laggiù, nella citè de la Corneuve, ha capito che il guadagno non sta nel ritmo di una pressa, ma in quello di un'amaca, in un patio di un complesso residenziale tutto da costruire, speculando sul prezzo di un'area edificabile. Si chiama Fermate le macchine il romanzo e lo pubblica un vicino di blog, MarsilioBlack nella traduzione di Jacopo De Michelis. L'ha scritto François Muratet che di mestiere fa il professore di storia geografia e il rockettaro. I cadaveri dovrete cercarli per bene in questo noir sulla lotte di classe, com'è stato già definito. Ci sono eccome. Il primo in realtà è un cadavere che cammina, a metà strada tra una rianimazione e un'eutanasia, ed è quello della fabbrica. La vittima è lei. Messa sotto da squali di ogni genere che cercano di dissanguarla finanziariamente. Intrappolata in uno sciopero sulle 35 ore a oltranza. Governata da un Monsieur Jesser che sembra uno sciùr parun all'antica, tutto d'un pezzo, un patròn autoritario e determinato. Intorno e dentro alla Métallique si muovono quelli che ci lavorano e ci sputano il sangue. Ma anche quelli che vogliono azzannarla e lasciarla lì, esanime pronta per essere sbocconcellata da una muta di cani randagi e pieni di franchi. Oppure i ragazzi delle presse, come Mona che tira su di coca per reggere il ritmo, mentre sogna una vita da cantante. Pascal che picchia sulla batteria e cita Baudelaire per andare avanti. Raymond ex flic, avvinazzato di mini cognac, che deve indagare su sparizioni di bidoni. Se fosse un giallo canonico sarebbe forse lui l'investigatore. Oppure potrebbe essere Bruno che fa il consulente per l'azienda a suon di migliaia di franchi e tira di kendo con la katana giapponese. Uno strano modo di vedere gli spiriti animali che reggono il mercato, il suo. Concentrato sulla via dell'aikido, sulla spirale ascendente, "sulla via dell'armonia e dell'unione che deve fare pulizia del mondo".
Scrive bene Muratet, ti porta dentro la fabbrica e ti ci porta a bordo di un muletto finchè non senti la puzza dell'olio. Macini chilometri nelle linee di produzione e rimani sordo per il casino, e fatalmente finisci per respirare l'odore della cordite che resta appiccicato a una pistola dopo uno sparo.
Nicola




23.5.03
Recensione inviata da mariemarion
Mondo Blog di Eloisa Di Rocco
...A volte mi sembra un posto meraviglioso, un hangar pieno di scatole fin dove arriva la vista. Uno sconfinato mercatino delle pulci e delle occasioni dove vanno a nozze i curiosi. Dove trovi le stesse cose che trovi fuori (non credo alla dualità reale/virtuale, tutto è reale fintanto che è esperibile), ma dentro la rete le cose vivono una dimensione diversa. Proprio come al mercatino delle pulci. Un libro comprato in Internet è un libro come gli altri, ma se lo hai comprato in Internet diventa un libro speciale, e dici "l'ho comprato in Internet" come diresti "L'ho comprato a Londra".
È anche un posto buio, misterioso, la rete. Un hangar un po' onirico, dal percorso complicato, un perfetto scenario per Lewis Carroll. Dove la persona si spersonifica. È sempre imbarazzante, infatti, confessare di aver conosciuto qualcuno in rete. Sembra andar bene per i libri, per le persone no.

[...]
La rete è quello che vogliamo noi. Questo posto dove stanno i blog insieme a un mucchio di altre cose è come il selvaggio West, uno spazio vastissimo tutto da formare. La differenza è che per farlo non dobbiamo sterminare nessun indiano, ma solo pagare le compagnie telefoniche che ci danno i cavalli per scorrazzare liberamente. Come in Cuori Ribelli, la conquista ha preso il via e siamo ancora in corsa.
C'è chi s'è accontentato di poco, chi ha messo su abitazioni faraoniche visibili a chilometri di distanza e tutte illuminate anche la notte; chi si è fatto la tana per condurre giochi loschi ed è in contatto con altre tane tramite cunicoli sotterranei, intricati e marci. C'è chi ha studiato bene il terreno prima di piantare il primo palo, e chi ha fatto in fretta e ha visto tutto affondare nelle sabbie mobili. Per nessuno è facile. Portiamo in questo spazio il nostro bagaglio e non sappiamo cosa può servirci e cosa no.
A volte mi esalta, a volte mi disgusta, questa rete, ma io mi ci trovo bene. E il blog è un angolo di questo posto. È stato per me la stanza dove mi sono cercata a lungo, il palcoscenico del teatro esistenziale, un carro allegorico....

posted by la Pizia
dentro la rete... tutto
Piaccia o no questo è un libro vero. Scritto col cuore, con la testa, con il lavoro di lima. Non si pensi sia facile farsi uscire così alla carlona periodi che vanno via come le ciliege di giugno, una pagina dopo l'altra, un capitolo appresso all'altro. Alla carlona non esce fuori niente di buono, mai. Così, alla come ci pare può scapparci un post da manuale, vomitato lì per lì come sfogo dell'anima. Se il dolore è vero e non sognato quel post può diventare perfino un pezzo d'artista. Ma un libro è un'altra cosa. E scrittori non si diventa, ribadisco, né per marchio d'editore né per sigillo di partito politico. Scrittori si nasce. E poi lo si diventa lavorando di testa e di cuore. E di lima.
Sii spietata nel tuo giudizio, m'ha scritto. Di più. Brutale? di più. Feroce? di più. Mi viene facile regalare l'amore. Per niente regalo la stima. E parlo a tutti coloro che adesso diranno "figuriamoci, sono amiche". Per i fuffaroli e gli invidiosi che non vedranno l'ora di addentare il sasso che non posson scagliare, come direbbe Carducci. La vita è adesso. Prima s'è celiato. Ridere sorridere irridere ironizzare di tutto di più. Chi si prende sul serio, specie se è un blogger, è un uomo morto. Seppellito dalla propria stessa presunzione. Ma un libro è un'altra cosa. E non me ne sono letti diecimila così, giusto per regalare un commentino favorevole a un'amica. Credo d'aver letto il meglio della letteratura mondiale di tutti i tempi.
A me questo libro è piaciuto, l'ho letto in un'ora. Perché cattura da subito con il taglio giornalistico di Hemingway, io lo sento a fiuto, mi ci sono formata su di lui. Ci sono libri, capolavori, che bisogna superare le prime sessanta pagine come una tortura. Se ce la fai, poi lui ti travolge. Ci sono autori come Joyce e Proust che trenta pagine e poi stanno là, Dio li abbia in gloria, li legga qualcun altro che ha bisogno disfoggiar fintoCultura. C'è tutta la letteratura ottocentesca che abbisogna di itroduzioni lunghissime; daPuskin a Zola passando per Tolstoji almeno un centinaio di pagine a leggere pensando ad altro, incapaci di concentrarsi. Ogni tanto una virgola balza fuori e ti spara negli occhi la sua bellezza,e quella virgola fai tua mentre continui a non leggere finché le virgole s'assommano alle parole le parole alle frasi che diventano periodi concatenati finalmente l'uno all'altro, il libro tiene, t'acchiappa, non ti lascia più. Poi il Novecento, la decadenza, la ricerca di nuovi linguaggi letterari. Giovanni Verga. E cambiò lo scrivere nel mondo. Lo stesso Hemingway è figlio di Verga alla stregua della cinematografia americana figlia del neorealismo italiano.
Diretto figlio di Giovanni Verga, questo Mondo Blog introduce il lettore all'interno di un mondo che non è per niente facile da rappresentare. Non s'è trattato d'un CopiaIncolla di alcuni post, rabberciati alla meglio da quattro stronzate. Io lo ripeto, s'è lavorato di cervello, di cuore e di lima. La scelta dei post non è stata casuale. Una delizia il leggerli, a volerne scegliere uno non si saprebbe da quale cominciare.
L'organizzazione della trama, perché una trama t'accompagna dal principio alla fine, è un ragionar sottile che sol s'evidenzia a chi quel mestiere l'ha fatto, l'ha conosciuto, ci ha sputato sangue. Le parole buttate lì come si tattasse dell'enesimo posted by e che invece per chi è del mestiere sanno di ricerca accuratissima, a volte dolorosa.
L'italiano non è per niente facile. L'italiano tanto più è semplice, tanto meno è erudito, è quasi un suicidio il buttarlo giù leggero come si trattasse di mangiar noccioline americane al cinema. Lo si ricordi, quando un'opera quale che sia appare di una semplicità disarmante, l'averla portata a compimento è stato un massacro.
Dietro l'apparente semplicità di Mondo Blog c'è il massacro di chi ha voluto misurarsi solo e soltanto con se stesso. Oltrepassando le colonne d'Ercole del proprio pudore che sempre blocca la stesura di un'opera prima. C'è un progetto, alla base del libro, un leit motiv che si sciorina via via discorrendo e che sempre ritorna senza mai appalesarsi con parole manifeste. È il progetto UOMO. È la ricerca disperata di un sentimento di umanità disperso tra i byte e i megabyte. Una richiesta d'aiuto di chi sente qualcosa franare dentro e attorno a sé. E allora, mentre implacabile coi toni asciutti di un Verga o di un Hemingway si fa cronista d'una società spietata, questa realtà la si vuole a tutti i costi rendere umana. E c'è riuscita. Eloisa è riuscita a umanizzare Internet. Senza inventarla quell'umanità, ma disperatamente cercando l'armonia tra mille dissonanze, un'armonia che c'è sempre, a saperla, a VOLERLA vedere.
Storie vere di gente in rete.... appunto. Come fu per i Malavoglia della tassa su macinato. Padron 'Ntoni alza il braccio e mostra la mano con le cinque dita aperte, dobbiamo restare uniti, dice ai figli, noi siamo una famiglia. Eloisa sfida lo scherno di chi vorrebbe ingoiare intere generazioni di liberi cervelli dentro il più spietato degli hard disk. E paragona Internet al mercato delle pulci. Chi non si sentirebbe a casa in un mercatino dell'usato. Questo suo desiderio di restare in famiglia anche se ognuno per conto proprio, liberi individui ma non individualisti, lo si respira ad ogni passo, step by step.
Alla fine, il libro che dapprima delizia la mente t'acchiappa al cuore. Sembra un appello disperato a restare vivi, a non lasciarsi ingoiare. Umana, troppo umana, direbbe Nietzsche. Chi lo legge è di fronte a una svolta. Chiudersi definitivamente dentro il suo monitor o allargare con Internet il cammino della propria Conoscenza. Realizzando il bisogno insopprimibile di comunicare. Un libro che fa riflettere. Che assume il valore di un atto di accusa. Qualcuno dovrà decidere se restare virtuale o... vivere.
mariemarion




22.5.03
Contributo inviato da Auro [in risposta a GiallodiVino]
Approfitto per spiegare (forse... con me non si sa mai) la mia "recensione" a Tassinari. Il libro di Tassinari l'ho letto in un fiato. E probabilmente mi sono spiegata male: il libro affronta un tema difficile da raccontare romanzato (come pensare a della fiction davanti alle foto e alle riprese di Genova?) e nello stesso tempo però "chiede troppo a se stesso".
La via scelta da Carlotto (che ho letto, a differenza di Camilleri) è forse più facile (se mi permetti il termine): Rossini va al G8 e ne torna cambiato e cambiata è la gente che lo circonda, ma Il maestro di nodi non è un libro sul G8.
L'ho trovato sicuramente un libro che fa pensare e aiuta a ricordare (mi sembrava di averlo "palesato" nel mio intervento), quindi rinnovo a Tassinari il mio "chapeau" per l'iniziativa/sfida ("cio' non toglie che Tassinari abbia fatto un ottimo lavoro" eccetera eccetera, che schifo autocitarsi), ma se devo dire di aver letto il libro che mi sarei aspettata (io, Auro, da Genova devastata psicologicamente - forse troppo per non esserci stata - e attaccata come una cozza alla mia rabbia e al mio sdegno), questo non lo posso dire.
Sul fatto che parlare di Genova faccia bene sempre e comunque, beh... mi trovi d'accordo su tutta la linea.
Auro




19.5.03
Recensione inviata da Manila Benedetto
Mondo Blog. Storie vere di gente in rete - Posted by la Pizia, di Eloisa Di Rocco
Dall’introduzione di Luisa Carrada: “Con i blog le singole persone si riprendono la rete e dimostrano ogni giorno che per farsi leggere e ascoltare, entrare in comunicazione con gli altri, bastano un browser, delle idee, il desiderio di raccontare in parole quello che succede intorno a sé e dentro di sé. Semplice, no?”
Partirei dai titoli di coda per azzardare una recensione del libro di Eloisa LaPizia Di Rocco Mondo Blog, edito dalla Hops Libri. I titoli di coda sono blog. Indirizzi dei siti citati nel libro, una sottilissima parte dell’ormai vasto universo della BlogSfera italiana, ma molto rappresentativi. Recensire un libro sentimentale come quello scritto da LaPizia con fredda razionalità risulta difficile. Già dalle prima pagine del libro si capisce che non ci troveremo di fronte ad un manuale tecnico sulla realizzazione dei blog, o su un trattato sociologico su cosa rappresentano i blog in Italia. Bensì ci stiamo per imbattere in un meta-romanzo sentimentale ed allo stesso tempo lucido e chiaro.
...un romanzo infinito, che qualcuno, pensiamo, deve essersi divertito a smontare e a nascondere nei meandri di antichi cablaggi.
Eloisa Di Rocco ci parla della sua esperienza di blogger da quel 15 gennaio 2001 quando - nella sua vita americana - capitò sul sito di Derek, scoprendo per la prima volta cosa fosse un blog. Per lei, che ignorava completamente quel nuovo genere di sito, fu come scoprire un libro appena uscito di cui ne assapora avidamente ogni pagina talmente a fondo da sentire la necessità di seguirne le orme e iniziare l’esperienza dello scrivere. È questa passione che nasce ad ogni nuovo link verso un altro blog che la porta ben presto a diventare La Pizia con il suo diario in rete, con il suo mondo descritto senza filtri, i suoi link in pixel che diventano amici in carne ed ossa e tutto un nuovo cosmo che le scorre intorno.
Quattro capitoli per appassionare e spiegare il blog, più un’appendice ricca di testimonianze dirette di alcuni blogger e di voci fuori campo. La Pizia racconta come passo dopo passo ha scoperto uno dei primissimi focolai blog in Italia, come il fenomeno si sia poi allargato un po’ per volta trascinandola in un vortice di scambi interpersonali, ci racconta del primo seminario sui blog tenuto a Webbit2002, di come un amico si può scoprire diverso attraverso il suo blog, e con discrezione ci narra anche quello che il blog le ha tolto e quello che le ha dato e di come volti e parole dal virtuale sono passati al reale.
Si dipana così tutta la vita in rete di Eloisa: le nuove conoscenze, i dibattiti e gli scontri con altri blogger, le scoperte inaspettate, i raduni e le feste. E tra un racconto suo ed uno dei suoi amici blogger, tra uno spezzone di altri blog ed una videata, ci spiega anche come tecnicamente si costruisce un diario on line, quali potenzialità ha un blog, le differenze di utilizzo dei blog (diari o raccolta di notizie, ma anche molto altro), come lo si porta avanti, come si può usare per farci soldi, e soprattutto ci avverte su come un blog potrà cambiarci anche la vita.
In un libro ricco di emozioni ritroviamo la passione di chi la rete la vive ogni giorno.
Infine, elogi alla classe con cui in una lunga metafora finale, La Pizia non risparmia tutti coloro che giunti con irruenza nel mondo dei blog hanno cercato di prenderne il palcoscenico con qualunque mezzo, creando “un’urbanizzazione di massa” del quartiereblog preesistente, quasi costringendo la vecchia guardia ad andar via e invitando coloro che resistono ancora ad adeguarsi, o meglio rassegnarsi, alla presenza di una nuova schiera di villette e di nomi famosi. E in un quartiere passato dal dietro le quinte ai riflettori, c’è chi ha guadagnato l’articoletto sul giornale, ma non avrà mai una storia come quella di LaPizia da raccontare.
M.Benedetto




15.5.03
Contributo inviato da Giallo diVino
[ancora a proposito del libro I segni sulla pelle di Stefano Tassinari]
Auro la pensa un po' diversamente da me su questo libro. (E poi da pochi giorni per la morte di Carlo Giuliani c'è stata l'archiviazione per Placanica, il carabiniere che sparò). Torno solo sul libro di Tassinari e sulle considerazioni che fa Auro per aggiungere due cose. Ho letto negli ultimi tempi almeno altri due romanzi che fanno in qualche misura i conti col G8, e cioè gli ultimi Camilleri e Carlotto. Su GiallodiVino ne avevamo già parlato. A naso mi sembra che ci sia l'esigenza di infilare dentro i giorni del luglio 2001, ancora una volta, "per non dimenticare". In un caso, a me sembra che l'operazione funzioni (in Giro di boa) nell'altro meno (Il Maestro di nodi). Lodevoli gli intenti e secondo me è veramente molto.
Nicola




Recensione inviata da AleRooTs
Isabella Santacroce, Destroy
"Un romanzo nichilista, di fantasia iperconsumista, frutto della cultura antagonista contemporanea, e una lingua allucinata..." Ancora una volta la mia teoria di non leggere mai ciò che editori e markettari scrivono su risvolti, terze e quarte di copertina, prima di aver letto il libro in sé, si è rivelata fondata. D'altronde non credo sia un compito facile condensare e spiegare in qualche riga questo libro, che alla fine non è un romanzo, e probabilmente non è neppure nichilista e iperconsumista.
È un viaggio, un trip a cavallo della mente della protagonista, creatura semi-artificiale in una Londra ipermoderna, non così lontana dal mondo verso cui ci stiamo muovendo, forse semplicemente qualche anno avanti. Individualismo e solitudine (...il sintetico, l'artificiale, era solo plastica quello che volevo, e dovevo tenere il volume del walkie alto, e sviare scrupolosamente possibili conversazioni, possibili contatti fisici.); droghe ricercate e sesso così estremo da tornare casto, overdose di esperienze per tentare di sfuggire al terribile male di domani e di oggi, le noia che avvolge e soffoca.
Ale




8.5.03
Contributo inviato da Auro
I segni sulla pelle di Stefano Tassinari, edito da Marco Tropea.
I segni sul cuore, quelli che durano una vita - dopo questo non posso esimermi dal dire cosa ne penso. La doverosa premessa va a spendersi in bacio le mani a Nico che me lo ha (indirettamente, si capisce) consigliato e a Marco che me lo ha regalato. È difficile immaginare un libro su Genova, inteso come g-otto, non come porto, carrugi e focaccia, che non abbia neanche una foto, è difficile immaginare come sia possibile trarre da un fatto, da quel fatto, un romanzo. È difficile pensarlo e è difficile farlo. È difficile anche dire che il romanzo in quanto tale non mi è piaciuto, mannaggia!
I fatti, tutti quei fatti, sono ripresi l'uno dietro l'altro in rigoroso ordine cronologico, sembra di riviverlo. In alcuni punti ho sentito la stessa paura, la stessa rabbia, le stesse lacrime montare, lo stesso bisogno di urlare "io non appartengo a questo mondo"; in alcuni punti risuonano nelle orecchie le cronache di radiopop [che dovrebbe trovare posto in tutti gli scaffali e in tutte le wishlist], la voce di Bosio interrotta, il silenzio che non era un buco radiofonico, ma l'etereo centrifugato di disillusione, paradossale confusione mentale, afasia e incredulità.
A Giovanna e a Caterina (nonché a Alessandro, ovviamente) succedono veramente tutte. Il tempo non corre in alcuni punti e viaggia nell'interspazio in altri. I discorsi sono impastati e la conclusione troppo frettolosa. In alcuni altri punti mancano dei pezzi e il libro, dal mio personalissimo punto di vista, non regge e arranca.
Ciò non toglie che Tassinari abbia fatto un ottimo lavoro, e non è né una leccata di culo, né una contrapposizione a ciò che ho appena scritto: il libro c'è e deve esserci, è giusto che sia così, perché secondo me non c'è molto modo di scrivere in maniera lucida e puntuale sul g-otto, di cui non è possibile neanche fare una lucida e fedele cronaca.
Ho pensato che, nella nostra società che vive di immagine, ci sono molti romanzi che parlano di crudeltà e di violenza, molti meno che riguardano fatti realmente accaduti. Fra questi sono veramente pochi quelli scritti bene. Non mi è venuto in mente nessun romanzo, ad esempio, scritto sull'11 settembre (2001, intendo. non quello del 1973). Ma magari mi sbaglio.
Sul g-otto ho una quindicina di libri, cd di immagini e cronache, qualche vhs: ci aggiungo anche I segni sulla pelle, in attesa che mio nipote e la nipote che sta arrivando siano abbastanza grandi. Grandi per capire, per porsi domande. Per reclamare il diritto di non appartenere a questo mondo e volerne uno, diverso e possibile.

"Riusciremo a dimenticare tutto questo senza dimenticare mai?"

Auro




Recensione inviata da rillo
Diario di un inconcludente, di Benjamin Anastas (traduzione in italiano di Anna Mioni).
Questo romanzo giaceva sul comodino di Eva abbandonato a pagina 20 e siccome mi faceva tenerezza gli ho dato una seconda opportunità. Meritata, ho pensato appena finito di leggerlo. Ne ho subito scritto una recensione che ho però cancellato perché non riuscivo a capire come mai, a distanza di giorni, lo consideravo meno coinvolgente di quanto avessi giudicato prima. Di solito mi accade il contrario. Leggo diari online da due anni e la lettura di un altro diario, una finzione in questo caso, non mi ha colpito più di tanto. Di più, se penso al protagonista, costui non sembra poi così atipico nel suo agire come nel suo pensare sì da meritare un libro: i blogger che leggo sono certo messi peggio, quindi più interessanti :). E neppure il registro di scrittura è così accattivante, così come il finale, a dire il vero inesistente come quello di un blog.
Più che un diario di un inconcludente, forse, è il diario di una persona come tante, che non vuole essere per forza di cose baciata dal successo di un lavoro prestigioso, dalla stima degli amici, dalla presenza di un partner affascinante al suo fianco.
La vita di William, fratello gemello di Clive, si srotola nelle pagine del suo diario infarcita di lucida satira verso una società di cui lui non riconosce i valori positivi: tanti, infatti, i riferimenti alla vita della borghesia americana. Più che vivere, William si lascia vivere e non perché tutto resti com'è, ma per la semplice ragione che non fa nulla per cambiare il mondo che lo circonda. Si guarda vivere senza apparente giudizio: la sua famiglia va bene così com'è, i suoi amici pure, le sue ragazze anche, brutte, belle, debosciate, che restino o che lo lascino. Una vita a galleggiare dentro la vita, volendo dimostrare (o non volendolo?) che in fondo in fondo nuotare controcorrente, fare il morto o sfruttare l'onda dell'esistenza inquieta non dà vantaggi o svantaggi particolari. La figura del fratello Clive è il giusto contraltare positivo a una vita tutto sommato né bella né brutta. Lontano mille miglia da Svevo, quindi, in cui il protagonista pur mancando il bersaglio, ottiene sempre inconsapevolmente il risultato migliore per lui. Ecco forse cosa manca a William: una qualunque ambizione di arrivare ad alcunché.
Giudizio non positivo, sebbene non del tutto negativo. Mi viene il dubbio che questa mia apatia di giudizio sia volutamente provocata dall'autore. Se è così, ha colto nel segno.
rillo




Contributo inviato da Giallo diVino
Me la ricordo in spiaggia l'impressione dei segni sulla pelle, giù in Calabria. Stavamo dalle parti di Soverato e mischiati con le famiglie, i turisti stranieri in vacanza, un sacco di ragazzi e ragazze prendevano il sole con le fasciature, i gessi, i cerotti larghi e spessi, e cercavano di ammorbidire gli occhi neri con l'abbronzatura. Era l'estate del 2001, l’estate del G8, quella. Ce la siamo dimenticata presto, perché poi è arrivato l’autunno dell’undici settembre, e poi una guerra e un’altra guerra. Per non dimenticare – come usa dire in queste occasioni – si può comprare qualche libro che rievoca quei giorni (uno scritto di getto, molto bello, è Non lavate questo sangue di Concita De Gregorio) oppure conviene acquistare un romanzo, I segni sulla pelle di Stefano Tassinari.
L’autore costruisce la storia intorno ad una sparizione misteriosa. E chi era a Genova quei giorni, a partire dal venerdì pomeriggio, il giorno della morte di Carlo Giuliani, se la ricorda bene la voce che circolava. Si diceva che un’altra ragazza era morta, una giovane spagnola messa sotto da una camionetta della polizia. Ma nessuno sapeva di più. Caterina è una giovane giornalista, inviata per la prima volta fuori dalla sua Bologna per raccontare il G8. E insieme ad una collega di Radio Gap, e all’ex fidanzato, prova ad indagare sulla sorte della ragazza in mezzo ai casini di quei giorni.
Il romanzo di Tassinari scorre via veloce, e segue l’andamento a spirale della settimana genovese. La manifestazione dei migranti, il concerto di Manu Chao, le cariche, i lacrimogeni, la morte di Carlo Giuliani, la Diaz. Paura, disincanto ed entusiasmo sono mischiati, Tassinari descrive bene il terrore di chi viene pestato a freddo dentro una stanza grigia da due uomini mascherati. E poi c’è l’investigatore buono, ma anche quello cinico e figlio di puttana, magari sono un po’ da cliché, ma comunque utili alla narrazione. I dialoghi nella prima parte del romanzo, l’incontro di Caterina con l’ex ragazzo, sono un po’ troppo in “italiano letterario”, distanti dal modo di parlare di due ragazzi di quell’età. Ma insomma chissenefrega. Leggetelo.
Nicola




2.5.03
Recensione inviata da AleRooTs
Diario di una blogger - "Questo libro racconta una storia d'amore". Così inizia la presentazione sul risvolto dell'elegante copertina dell'ultimo lavoro di Francesca Mazzucato.
Non sono d'accordo; la storia d'amore è solo una parte del libro, scorre mischiata, e dominata, da un vero e proprio saggio sui blog e sui loro risvolti socio-psicologici. Esperimento molto difficile mischiare generi così lontani (mi viene in mente solo Il mondo di Sofia, libro di Jostein Gaarder che mi deluse molto); esperimento che a mio avviso non riesce nei suoi intenti, e finisce arenato senza riuscire a disincagliarsi. La "storia d'amore" è inconsistente, artificiale, solo raramente riesce a coinvolgere, pare costruita appositamente per fare da tappezzeria alle dissertazioni della scrittrice sulla sua esperienza blog. Il suo scoprire questo mezzo, il suo rimanerne prima affascinata e poi disgustata, i suoi incontri, le scorrettezze fatte e quelle subite, tutto è raccontato nei dettagli, fino a diventare pedante e eccessivo per chi come lei i blog li usa e li conosce, e credo totalmente incomprensibile per chi invece i blog non sa neanche cosa siano.
Ale




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