Letture e riletture


23.5.06
Contributo inviato da occhidisale
Stefano di Lauro, ÒperÉ
L'ho letto come si leggono le parole che avresti voluto sentire ma che nessuno dice. E non so se è perchè è veramente appena uscito che non ne avevo sentito parlare, perché è un libro da incontrare a tutti i costi.
Una storia così antica come quella di Orfeo e Euridice, di Lauro la riscrive e la rivive con potenza e dolore, acido il suo personaggio, turbinose le sue vicende e glaciale l'ambientazione: un videogioco.
Di contro, un calore enorme e l'amore puro distillato dalla distanza dei due: lui il giocatore del videogioco che ha come obiettivo ritrovare lei, la Sua Euridice, vederla morire e riportarla in vita. Riportarla in vita cercando l'unico modo possibile che il videogioco gli permette, un diabolico congegno che lo mette davanti allo specchio imbarazzante delle nostre peggiori paure, al meccanismo di autodistruzione per cui, anche nel mito, Orfeo inspiegabilmente si gira e la perde.
Un'avventura incalzante, una storia d'amore senza riscatto e senza melodrammi, dura come una roccia, una lezione di verità sul villaggio globale e sulle declinazioni della vita sleale che ci tocca di vivere.
Molti generi e stili letterari si mischiano in questo libro la cui quarta riporta giustamente: tra noir, poesia e scienza. L'unica cosa da fare è non perderlo.
occhidisale



15.5.06
Contributo di Codex
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
Ho fatto la pace con Gadda. Perennemente indecisa sul libro che voglio mi faccia compagnia sui mezzi atm e da ansiolitico prima di addormentarmi, a metà aprile la scelta è ricaduta su Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Col suo multiforme e incontenibile uso del linguaggio, l'ingegnere elettrotecnico è riuscito a farmi sentire un'ignorante con incolmabili lacune lessicali; col suo modo di narrare ingarbugliato e complesso ha istillato nella mia testa il timore d'essere stata colpita da una forma galoppante del morbo d'Alzheimer o da una precoce menopausa. Allora io, che sono dura a morire e cj ho la testa dura, ho tirato fuori l'antidoto: ho continuato a leggere il pasticciaccio come fosse un libro scritto in una lingua straniera che conosci un po' sì e un po' no. Spesso l'importante non è capire tutto ma percepire il senso; la tecnica ha funzionato, ha tonificato le mie frustrazioni e mi ha fatto andare oltre, portandomi alla convinzione che il Signor Gadda è stato uno dei nostri più grandi romanzieri. Complesso, poetico, ironico, colto, nevrotico, sensibile, acuto, grottesco: in poche parole un genio del nostro tempo. Un ingegnere col vizio del multiskill, capace però di fermarsi un attimo e regalarci una meravigliosa descrizione della città eterna:
Roma gli apparì distesa come in una mappa o in un plastico: fumava appena, a porta San Paolo: una prossimità chiara d'infiniti pensieri e palazzi, che la tramontana avea deterso, che il tepido sopravvenire di scirocco aveva dopo qualche ora, con la cialtroneria abituale, risolto in facili imagini e dolcemente dilavato. La cupola di madre-perla: cupole, torri: oscure macchie de' pineti. Altrove cinerina, altrove tutta rosa e bianca, veli da cresima: uno zucchero in una haute pate, in un mattutino di Scialoia. Pareva n'orloggione spiaccicato a terra, che la catena de l'acquedotto claudio legasse... congiungesse... alle misteriose fonti del sogno.
Codex



12.5.06
Pino Cacucci, Mastruzzi indaga
Un investigatore sui generis, un tizio piuttosto male in arnese che vivacchia sul limitare tra l'autoconfinamento e l'emarginazione vera e propria. Dei casi che non sono tali, in quanto non risolvibili; una città di contrasti economico-sociali, ingiustizie e miserie ordinarie e straordinarie, ma comunque trattate senza enfasi.
Una serie di raccontini che stupiscono per come riescono ad abbinare brevità e compiutezza. Il meccanismo del poliziesco che funge da grimaldello per scardinare i mascheramenti della realtà urbana circostante. Svelandone la quotidiana amarezza, si propone l'unico parziale antidoto: umanità dai modi bruschi e scostanti ma autentici, senza permettere al disincanto di deragliare in cinismo.
Giulio Pianese, ovvero Zu



3.5.06
Recensione inviata da Gianpaolo Armani
La violenza di Isidoro Cavada - il protagonista di Seme di metallo, l'ultimo romanzo di Maurilio Barozzi (ed. Curcu & Genovese, Trento, pp. 216, euro 14), ambientato nel Trentino del 1920 - è la violenza della natura e degli esseri terreni. Cavada, il forestiero che arriva in paese al termine della Grande guerra senza una storia, sembra uno spirito malvagio, piuttosto che un uomo. O, vista la sua predizione, un animale che ha la capacità di avvertire le disgrazie. Eppure, nonostante tutto, il meschino ambiente in cui si trova ad agire non lo smarca completamente facendolo risaltare come un personaggio negativo in un contesto positivo. "Figliolo, non vorrai che venga giù ora, lasciando qui il poiàt col fuoco, allora sì che lo ritrovo, il carbone. Ci sono in giro tanti di quei ladri, e violenza... Tanta violenza. Non la userai mica per far del male, quella zappa?", dice il fabbro mentre costruisce la carbonaia. No, in una terra boscosa, in cui spiccano gli elementi naturali, duramente stilizzati, gli unici valori sociali sui quali questo vagabondo è misurato dai paesani sono quelli della frequentazione della messa o della voglia di lavorare. Una terra che, ironia della sorte, sarà poi violentata e sformata da una fabbrica enorme, estremo simbolo del lavoro.
Lessi il manoscritto già nel 2002, in occasione della sua premiazione al concorso Pungitopo, nelle Marche, con il vecchio titolo di "Vergine in Bilancia", e già allora espressi tale considerazione, ma adesso, con questo titolo più gelido del ghiaccio e alcune modifiche strutturali, penso che l'importanza dell'ambientazione cresca notevolmente. Anzi, oltre a Cavada e la fabbrica di alluminio, direi che proprio l'ambiente è il vero protagonista del romanzo. Pure la struttura, che ricorda le narrazioni orali da osteria, portate avanti senza troppo ordine né consapevoli prese di distanza, riproduce tale sensazione. E il finale suggerisce di considerare l'autore come il semplice estensore di una vicenda nella quale egli stesso è compreso, annullando la cesura tra chi narra e chi è protagonista.
L'ambiente, dunque. Un ambiente che pare rifiutare il progresso e l'ignoto. Un ambiente conservatore che - in ultima analisi - trova proprio in questo essere conservatore la forza di mantenere coesa la sua popolazione, i suoi abitanti, la sua comunità. Anche quando, e qui si annida la critica, magari non dovrebbe esserlo.
E così: nella terra del romanzo, la novità - sotto forma di una fabbrica o di un forestiero che la predice - stenta a trovare spazio. Come se quella terra fosse freddamente distaccata, di metallo appunto. Il caso però, forse ancora più violento degli uomini e della terra in cui Seme di metallo è ambientato, fa sì che le novità che fanno capolino in paese siano effettivamente temibili. In primo luogo il forestiero che predice la sventura di un'alluvione (e la nascita dello stabilimento), sopravvive rubando e commettendo crimini abietti senza alcun rispetto per la morale, l'etica e la cultura del paese che gli ha dato asilo. Ma pure la fabbrica di alluminio che portò lavoro, certo, ma anche un carico di malattia e di diseconomie dalle quali il paese non riuscì a liberarsi, nemmeno dopo la chiusura: venticinque anni di improduttività e una pietraia di 22 ettari (come spiega l'autore nel sito del libro).
Insomma, la forza del romanzo sta proprio nella descrizione di un mondo arido e compatto anche nei suoi pregiudizi. E il suo pessimismo, quasi nichilismo, forse, scaturisce dalla casualità che rende tali pregiudizi tragicamente veritieri. Quasi come se la natura umana fosse governata da forze maligne che non permettono nemmeno la speranza nel riscatto. Scrive Maurilio Barozzi nell'ultimo dei brevi flash contrassegnati da una data: "Ora LA FABBRICA, nata in quel giorno di piena quando Virgo toccò Libra, dorme. Ma la piena tornerà, la pietra sarà risvegliata dalla mano dell'uomo che - delirante - penserà di averla creata. Invece sarà solo un'altra storia".
E anche il colpo di scena finale, sovvertendo la dinamica che pareva essere dietro alla trama raccontata in un'ennesima nuova verità rimasta fino ad allora nell'ombra, contribuisce ad alimentare il pessimismo. Nello stesso tempo, tale rivelazione, l'unico elemento di dolcezza - possiamo chiamarlo così? - suona quasi come un'ultima confessione, l'estremo tentativo che l'uomo, giunto alla fine della sua vita, mette in atto per salvare se stesso e il mondo che lo circonda. E probabilmente non è ininfluente il fatto che tale tentativo, in un mondo essenzialmente dominato da un'umanità gelidamente virile, sia messo in atto da una donna.
Gianpaolo Armani



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