Letture e riletture |
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Questo è uno spazio pensato per chi dopo ogni lettura desidera condividere le proprie
impressioni o le proprie emozioni. |
30.12.02
Recensione inviata da Chiara Fonio
Non ti muovere di Margaret Mazzantini La scrittura della Mazzantini è dura come un guscio di noce. All'inizio fai fatica a romperlo ma, dopo pochi istanti, quando gusti il frutto, non ti ricordi più dello sforzo che hai fatto per aprirlo. Scritto sotto forma di monologo interiore, è la storia di una confessione: i segreti che un padre racconta alla figlia, Angela, in bilico tra la vita e la morte in un letto d'ospedale dove lui è primario. Angela e Timoteo: uniti nel dolore ma affannosamente insieme nella vita. Timoteo, che ha vissuto un solo profondissimo amore: un amore violento ed irrinunciabile, fuori dalle mura domestiche e lontano dallo sguardo orgoglioso di sua moglie Elsa. Angela, una ragazzina di quindici anni che non ha allacciato il casco. Un libro di forti sentimenti scritto in modo eccellente, senza una sbavatura linguistica o stilistica: un unicum nella letteratura italiana contemporanea. Alla fine il gheriglio diventa magicamente conchiglia: non occorre più alcuna difficoltà a riconoscere, al suo interno, una perla. Chiara 27.12.02
Risposta inviata da Carlo Annese
Probabilmente Paola avrà già finito di leggere Espiazione e lo avrà collocato nello scaffale degli immortali oppure dentro una scatola per la raccolta differenziata. Ma ammetto di aver voluto correre il rischio di arrivare in ritardo con le mie considerazioni per paura della responsabilità enorme che la sua richiesta comportava. Come si può suggerire di continuare a leggere un libro se poi si rivela una palla gigantesca? Con quale coraggio si propone di abbandonarlo, quando potrebbe invece essere una rivelazione? Espiazione mi è piaciuto meno di altri libri di McEwan, sicuramente diverso dall'Inventore dei sogni o da Cani neri. Non è il capolavoro che una massiccia campagna promozionale ha cercato di contrabbandare. È un libro complesso, meno lineare dei precedenti ma molto più realistico, nella scelta dei temi e soprattutto nella loro esposizione. Ecco, se Paola fosse ancora a metà dell'opera, lei direi di non perdersi la descrizione della ritirata di Dunkerque raccontata attraverso gli occhi e i sensi del reprobo-innocente: è una delle più belle, tra quelle sulla Seconda Guerra Mondiale, scritte da uno scrittore contemporaneo. Ho ritrovato un'attenzione simile per certi dettagli intimi, personali, sul rapporto fra il personaggio e l'ambiente circostante in Asce di guerra, che ho appena concluso con grande soddisfazione. E' la ricostruzione romanzata della ricerca di un romagnolo ex giovane partigiano andato a combattere in Laos dalla parte dei comunisti: una storia vera, raccontata con la profonda partecipazione del protagonista. Con una differenza sostanziale: McEwan condensa la ritirata di Dunkerque in una cinquantina di pagine molto intense e crude; Ravagli e Wu Ming hanno compilato un tomo da circa 350 pagine. Carlo Annese
Recensione inviata da Nazzareno Mataldi
Urrà, ce l'ho fatta! dopo non so quanti anni (poco meno di dieci, comunque) e tentativi più o meno riusciti di riprenderne la lettura sotto ogni natale, pasqua o ferragosto, ho finalmente portato a termine il musiliano uomo senza qualità... be', portato a termine per modo di dire, perché per poter dominare in modo anche appena appena passabile un mastodonte intellettual-letterario di questa natura chissà quante altre letture e riletture sarebbero necessarie, tenendo anche presente la sua lunga e complessa genesi e il problema degli inediti... è comunque un romanzo - o, se si vuole, antiromanzo - che o si ama visceralmente o si rifiuta in tronco, che ci si sforza di riprendere in mano o si lascia per sempre intonso su uno scaffale... l'atmosfera allucinata, la riduzione della realtà a irrealtà... l'analisi di una società che dietro la sua facciata di ordine sta entrando profondamente in crisi, che si vorrebbe votata all'azione (parallela e non) ma che resta profondamente immobile... la vivisezione di sentimenti e pensieri, l'ironia corrosiva... il tentativo di coniugare anima ed esattezza, aspirazione al trascendente e volontà di chiarezza... l'utopia del saggismo, di una società estatica dove si attui in forma stabile l'esperienza mistica... e una galleria di personaggi indimenticabili: l'uomo senza qualità-ulrich, la sorella agathe, l'assassino moosbrugger, clarisse e walter, diotima e arnheim, rachel e soliman, il capodivisione tuzzi, bonadea, il conte leinsdorf, il generale stumm von bordwehr e molti altri... da una parte sollievo e gioia per essere arrivato alla (pseudo) fine, dall'altra rammarico per non avere a breve il tempo di riprendere in mano un così complesso ma avvincente romanzo saggistico... altre letture (più leggere) reclamano il loro spazio... nazzareno Naturalmente si rendeva conto che i due modi in questione d'essere uomini non potevano significare altro che un uomo 'senza qualità' opposto a quello con tutte le qualità possibili in un uomo. L'uno si poteva anche chiamare un nihilista che sogna i sogni di Dio; in contrasto con l'attivista che però nel suo impaziente agire è anche lui una specie di sognatore di Dio, e tutt'altro che un realista che si dà da fare con mondana chiarezza e dinamicità. 'Perché non siamo realisti?' si chiese Ulrich. Non lo erano né lui né lei, su questo da gran tempo i loro pensieri e azioni non lasciavano dubbi; ma nihilisti e attivisti sì, lo erano, e ora l'uno ora l'altro, secondo i casi". 20.12.02
Segnalazione inviata da b.georg
Credo di aver letto ogni cosa pubblicata da Antonio Moresco. Se vuoi un consiglio, leggi Gli esordi (da Feltrinelli). Prenditi del tempo e leggilo. Non è senza difetti, come quasi tutto quello che scrive, ma è letteratura (finalmente). Per me la letteratura è essenzialmente linguaggio al quadrato, alla seconda potenza, torsione del linguaggio su di sé, piegatura. La piega operata sul linguaggio che creando la letteratura (in tutte le sue forme) gli fa prendere fuoco, lo accende, lo trasforma in una autonoma forma vivente. In questo c'è maestria dissimulata, e spesso per lo più involontaria se non inconsapevole (anche se terribilmente meditata, e questo è un vero paradosso). "Non poteva che essere scritto così", dice Moresco parlando delle sue cose, "mi usciva così, da solo". Ed è tutto meno che ingenuità naif. La torsione che lui opera sulle forme linguistiche, sulla costruzione della frase, sull'io narrante, è una delle cose più belle, più primigenie, più sorgive che si possano leggere. La sua è veramente letteratura degli "esordi", dello scaturire, della forma letteraria nel suo atto nascente. Se ti va compra anche le prime prose, Lettere a nessuno, o i racconti di Clandestinità o La cipolla. Sono tutti belli. g 19.12.02
Recensione inviata da matteoc
La lingua perduta delle gru di David Leavitt è una storia di persone che vogliono e devono comunicare. Devono dirsi qualcosa oppure farlo capire. Mostrare una realtà o spiegarla con le parole. Sarebbe un peccato limitarsi a descrivere una trama complessa, ma piana. Non riuscirebbe a mostrare appieno la tensione dei personaggi verso la comunicazione, l'amore, il loro nucleo familiare, costituito o ancora da creare, che rappresentano il motore degli eventi del primo fortunato romanzo dell'autore americano. Leavitt ci mostra una famiglia. Owen e Rose, due professionisti dell'editoria che hanno passato i cinquanta, e il loro figlio Phillip. Leavitt ce li introduce con dolcezza, lasciandoci per le prime pagine il compito di capire chi sia il protagonista. Dopo un po' si lascia perdere, sono a modo loro tutti protagonisti (nella postfazione dell'edizione Mondadori la Pivano afferma che la protagonista è Rose), insieme alle altre figure che lungo la strada entrano nella vita dei tre. Il cuore della vicenda principale parte da una improvvisata riunione familiare in cui Phillip confida ai suoi genitori di essere omosessuale. Non è al corrente però di non essere il solo in casa a dover condividere questo "segreto". È nei diversi coming out (termine inglese per definire la scelta di rivelare a qualcuno le proprie scelte sessuali, da non confondersi con outing che invece definisce il "pettegolezzo" che gli altri fanno su qualcuno rivelandone l'omosessualità) che si concretizza il desiderio di comunicare, consci delle conseguenze delle proprie azioni, dei protagonisti del romanzo. Come Jerene, coinquilina del fidanzato di Phillip, che dopo il suo coming out ha subito l'ostracismo dei genitori o Owen che non si risolve ad affrontare la questione con la moglie Rose, non desiderando barattare la sua vita sessuale con il rapporto con la donna che ha sposato. La vicenda che dà il titolo al romanzo la incontriamo nelle pagine centrali dove Leavitt ci presenta la vicenda del "bambino gru", un bambino che, abbandonato a se stesso in una casa di fronte ad un cantiere edile, ha imparato a giocare e a comunicare con il mondo esterno imitando i suoni e i movimenti delle gru. Se la traduzione di Delfina Vezzoli è inappuntabile dal punto di vista stilistico ho qualcosa da ridire riguardo alla traduzione del gergo omosessuale. Qua e là c'è qualche ragazzo "straight" tradotti come "regolare", quando invece in italiano si direbbe "etero", degli appuntamenti al buio ("blind dates") tradotti come "appuntamenti ciechi", una bollente "dark room", intraducibile ne convengo, che diviene una gelida "stanza sul retro" e un incomprensibile "è di punta", riferito ad un possibile fidanzato che suona tanto una traduzione ad dir poco metaforica di "he is a top", ovvero "è attivo" (contrapposto a "bottom" che invece sarebbe "passivo") in riferimento al ruolo assunto a letto. Del romanzo Tondelli nel suo Un weekend postmoderno scrive "Ci sono pagine bellssime, sequenze psicologicamente emozionanti, dialoghi commoventi e una garbata (forse è proprio il garbo la cifra stilistica di David Leavitt) concezione dell'amore come bisogno e sofferenza che ci fa riflettere, assorti. Ma c'è ancora tutta quell'attrezzeria bambinesca e infantile, fatta di programmi televisivi, filastrocche, canzonette, cartoni animati, libri illustrati, orsacchiotti e carte da parati Laura Ashley, che francamente troviamo insopportabile. E petulante". Concludo con la Pivano che (sempre nella postfazione) ascrive Leavitt non tanto alla letteratura omosessuale "modaiola" (mi si passi il termine e l'ardita interpretazione della Fernanda), ma invece ai classici dell'omosessualità come Gore Vidal, James Baldwin e Tennessee Williams. matteoc 18.12.02
Contributo inviato da b.georg
Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, Feltrinelli Magrelli ha pubblicato questa raccolta a poco più di vent'anni, nel 1980. In seguito ha scritto per Mondadori e per Einaudi (l'ultima raccolta, Didascalie per la lettura di un giornale, è uscita nel 1999 da Einaudi). Si tratta di una delle voci più significative della poesia nostrana. L'uscita del suo primo libro (Ora serrata retinae, appunto) fu un piccolo caso letterario, pur nel minuscolo mondo della poesia italiana, in parte per la giovane età dell'autore, in parte per la qualità purissima e la singolarità dei versi e dell'ispirazione. Dieci poesie scritte in un mese / non è poi molto anche se questa / sarebbe l'undicesima. / Neanche i temi sono poi diversi / anzi c'è solo un tema / ed ha per tema il tema, come adesso. / Questo per dire quanto / resta di qua della pagina / e bussa e non può entrare, / e non deve. La scrittura / non è uno specchio, piuttosto / il vetro zigrinato delle docce, / dove il corpo si sgretola / e solo la sua ombra traspare / incerta ma reale. / E non si riconosce chi si lava / ma soltanto il suo gesto. / Perciò che importa / vedere dietro la filigrana, / se io sono il falsario / e solo la filigrana è il mio lavoro.Magrelli scriveva queste cose 20 anni fa, in piena "sindrome del labirinto". Borges e compagnia bella. La scrittura inseguiva se stessa come i cani una preda dipinta sul muro. Non c'erano sfondamenti, tutto superficie (e niente superficie, come è ovvio). Questo libro che mi aveva ipnotizzato, oggi lo trovo lontanissimo, eppure in qualche modo è riuscito a non invecchiare. Mi parla per telefono dall'altro capo del globo. g 14.12.02
Contributo inviato da mariemarion A nessuno di noi che viva con curiosità questi anni, è sfuggito che è diventato ossessivo l'uso della parola "sistema" e della sua negazione (il "dissenso", la "contestazione"): è una situazione tipica delle società molto avanzate...Pier Paolo Pasolini, Il caos, Editori Riuniti, una serie di avvenimenti dal '68 al '70 scanditi da un discorso serrato e lucido fatto di attacchi polemici e riflessioni problematiche. Un "discorso al pubblico" scandito settimanalmente sulla rivista Tempo, con il titolo della rubrica che lo ospitò allora, Il caos occupa un posto ben preciso nell'itinerario pasoliniano. Esso segna, in particolare, una fase di acuta crisi e di illuminanti prese di coscienza... (dalla quarta di copertina del libro). mariemarion 10.12.02
Segnalazione inviata da Remo De Fabritiis
Innanzitutto complimenti a chi ha citato Carlotto, scrittore interessantissimo. Ho appena comprato Arrivederci amore ciao, vi racconterò cosa ne penso la prossima volta. Carlotto ha la capacità di narrare in un modo sottile, senza troppi fronzoli o voli emozionali. Riesce a farci sorvolare il lato più aberrante senza cedere alla tentazione di apparire "buonista" o lacrimevole. Direi essenziale. Ho appena letto 1979 di Christian Kracht (traduzione di Roberta Zuppet). Interessante punto di vista di un "dandy disincantato" che da una festa in una lussuosa villa di Teheran finisce in un un campo di prigionia cinese. Da leggere. Remo De Fabritiis 9.12.02
Segnalazione inviata da PersonalitàConfusa
Non posso trattenermi dal segnalare a qualche coraggioso Il libro nero di Orhan Pamuk, Frassinelli, 489 pagine, traduzione in italiano di Mario Biondi. Il personaggio principale è un rubrichista, uno che tutti i giorni deve scrivere qualcosa di divertente o interessante per la sua rubrica pubblicata da un quotidiano di Istanbul. Insomma una specie di blogger. Ma il bello è che tutta la vicenda ruota attorno all'hurufismo, eresia islamica realmente esistita e sorta a partire dal XIV secolo, secondo la quale Dio si manifesta soltanto attraverso le lettere e la parola scritta. Quindi Dio è i libri, Dio è tutto ciò che è scritto (perciò anche i blog, aggiungo io). Il nostro rubrichista scompare misteriosamente in una città enigmatica e indecifrabile come solo Istanbul sa essere. Un giallo denso di riferimenti a letterature sconosciute o la versione moderna de Le Mille e una Notte? Le allusioni alla toponomastica di Istanbul potrebbero rappresentare l'unico problema del lettore, chi non c'è mai stato rischia di avere difficoltà e perdersi a sua volta. Casomai, compratevi una mappa. PersonalitàConfusa
Contributo inviato da Massimiliano
Accade a volte che una persona amica ci consigli di leggere un certo libro, il quale però non corrisponde ai nostri gusti e ai nostri interessi letterari. Beh, un piccolo salto nel buio può riservare sorprese. La mia professoressa di italiano al liceo aveva una tale fissazione per Gadda da citarlo nei suoi tentativi di battute umoristiche, e da azzardare paragoni con tutti i più grandi scrittori degli ultimi due secoli (quelli del programma ministeriale, insomma). La mia curiosità è cresciuta negli anni, fino a spingermi a leggere Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (Garzanti). Una rapina ed un omicidio nella Roma fascista attivano le indagini di Ciccio Ingravallo e della sua squadra, secondo lo schema del romanzo poliziesco - atipico, poiché non si giunge ad individuare un colpevole. L'ambiente medioborghese delle vittime viene indagato su due piani diversi: dai personaggi, per la risoluzione del caso; dall'autore, per scoprirne il lato oscuro sotto il velo della ricchezza. e quando l'attenzione di don Ciccio si sposta tra il popolo della periferia urbana e rurale, è il mondo contadino ad essere sotto l'obbiettivo morale di Gadda: ma non se ne trae un quadro edificante, la società appare corrotta in tutti i ceti. Un romanzo senza risposte, il cui intreccio si "sfalda" (espressione di Zu) nella seconda metà, e il cui aspetto più singolare è forse la lingua: Gadda sciacqua i suoi panni nel Tevere, cercando di attribuire ai personaggi un lessico realistico, e perciò fortemente romanesco: una difficoltà in più nella lettura. Altro recente salto nel buio è La cerimonia del massaggio di Alan Bennett (Adelphi, traduzione di Giulia Arborio Mella e Marco Rossari). Non è stato difficile trovare il libriccino tutto fucsia consigliato da Ilenia di Parigi Cannes; non è stato neppure difficile leggerlo, tutto in due brevi fiati (poco meno di un centinaio di pagine). Un massaggiatore morto misteriosamente in una sperduta località del sudamerica viene commemorato a Londra da amici e clienti - il solito jet set - e la cerimonia si trasforma in una farsa: Quattro matrimoni e un funerale ne è un buon omologo, ma ahimè, a differenza del classico film, non sono riuscito a trovare nel libriccino tutto fucsia elementi di travolgente divertimento. La cerimonia del massaggio ha invece il pregio (non richiesto) di essere estremamente reale, ahinoi, nello svelare egoismo e ipocrisia, pur partendo da una situazione inconsueta che al contrario dovrebbe esaltare i buoni sentimenti. è inquietante persino l'ambiguità - non sessuale, ma di comportamento - del prete protagonista, tale da conformarlo ai celebranti e favorire in simpatia il suo petulante superiore, osservatore impietoso della vicenda. Però un libro fucsia mi mancava. Chissà, probabilmente devo ricalibrare il mio umorismo... sono tarato sul classicissimo Tre Uomini in Barca di Jerome (tradotto da Alberto Tedeschi)... consigliato ;D Massimiliano 2.12.02
Segnalazione inviata da Mariemarion
Poi mi vengono in mente i libri di Rudolph Steiner, filosofo dello Spiritualismo, veggente vero che gnìtanto se n'andava affà nviaggetto nell'aldilà per raccontarlo ai contemporanei senza svelare ch'era un veggente. Steiner supera razionalmente e scentificamente il problema della Morte raccontando verosimilmente il Kalakoma e la disconnessione tra i vari stadi del corpo (fisico, eterico, astrale) in un viaggio che trascina magicamente verso la teoria della reincarnazione che sotto i suoi occhi si fa scienza esatta. Come scienza esatta sono le Dimensioni Parallele all'interno delle quali si muove il nostro Spirito, Dimensioni la cui esistenza è scientificamente dimostrata, scusate s'è poco. non dall'ultimo paragnosta paraculo CavaSoldi ma dalla Fisica dei Quanti di Albert Einstein. Un titoletto "gentile" tanto per cominciare il viaggio che affascina e non smette più di attrarre: Le manifestazioni del Karma, R. Steiner, Editrice Antroposofica, Milano. Achtung! sconsigliato ai Materialisti d'accatto che vanno in giro a dire: na vorta che sei morto diventi terra pe ceci. Spero che sulle loro spoglie crescano presto ceci a tonnellate a sfamare i poveri del pianeta. BeaMarieMarion 30.11.02
Segnalazioni inviate da Margherita
1) Paola Mastrocola, Palline di pane, forte. Voto: 7 2) Valerio Aiolli, A rotta di collo, mi ha conquistata. Voto: 7 3) Tiziano Sclavi, Le etichette delle camicie, per leggere e ridere. Voto: 6 + 4) Teresa Ciabatti, Adelmo, torna da me, una esodiente insultata da un famoso critico che le ha appioppato "il libro più brutto dell'anno"... È un libricino che a me è piaciuto... tanto che alla fine ci sono rimasta anche male... Voto: 6+ 29.11.02
Ho parlato di Letture e riletture a chi mi legge su Verba manent, invitando alla partecipazione. Tra gli spunti proposti, la richiesta di esprimere una preferenza a bruciapelo ha ricevuto alcune risposte immediate. Eccole:
TulipanoGiallo Ops non avevo ancora risposto a questa domanda? Ma Il giovane Holden naturalmente! Mirella Il mio autore preferito e più riletto? Jane Austen, naturalmente... Orgoglio e pregiudizio, Emma... che piacere, ogni volta!!!! Sergio De Carlo, Arcodamore. Se c'è una seconda opzione: Terzani, Un indovino mi disse. Mariemarion Che vuoi Zu, a legge i titoli qua vicino semplicemente me vergogno a nominà Germinale di Zola o La Madre di Gorkij. Oppuramente Una vita violenta di Pasolini, quei ragazzini della periferia romana che te devo fa', anch'io come lui ce l'ho nel cuore, anche se non va di moda. Ammé questi me vengono subito ntesta... ma evidentemente so' fuori catalogo... Un abbraccio. Marie 25.11.02
Preferenza inviata da Alessandra T.
A me così a bruciapelo viene in mente A room with a view di Forster. L'ho prima letto in inglese per un esame di letteratura, poi ho visto il film di Merchant Ivory, poi l'ho letto in traduzione italiana (Camera con vista, a cura di Marcella Bonsanti), e ogni tanto me lo rileggo in inglese ed ogni volta lo trovo splendido. Alessandra T. 22.11.02
Segnalazione inviata da PersonalitàConfusa
A proposito di libri nei libri vorrei ricordare La biblioteca di Babele descritta da Borges in Finzioni (traduzione di Franco Lucentini). La biblioteca di Babele ospita un numero immenso ma forse non infinito di libri. I libri registrano tutte le possibili combinazioni dei simboli ortografici (l'alfabeto, i segni di punteggiatura e lo spazio). Non può esserci una combinazione di caratteri (Abchjsk, kcdree.) che i libri della Biblioteca di Babele non contengano. Cioè tutto ciò ch'è dato di esprimere, in tutte le lingue esistenti e non esistenti, tutti i libri del mondo, quelli già scritti e quelli che non sono ancora stati scritti. E quelli che nessun umano scriverà mai. Ci sarà anche un libro bianco (in questo caso la combinazione è lo spazio ripetuto per tutto il volume), il libro della A, e poi storie mai raccontate, vangeli immaginari, qualsiasi catalogo vero falso che sia. In alcuni libri ci saranno anche queste parole. E persino i testi di questo blog, e quelli di tutti i blog del mondo, in tutte le lingue, trascritti in fenicio, gaelico, etrusco. PersonalitàConfusa
Risposta inviata da Alessandra
Salve! Sono capitata da queste parti, e con molto piacere visto che sono 'traduttrice-lettrice' interessata e ansiosa di entrare nel mondo della traduzione letteraria. In ogni caso, ho visto il quesito di Paola Mariani e non posso fare a meno di dirle: CONTINUA A LEGGERE. Non posso sapere perché questo libro ti sta annoiando. Io ricordo che all'inizio della lettura avevo l'impressione che stesse succedendo poco e la contemporanea sensazione che sarebbe successo molto. Espiazione mi ha riempito, per me è stato un libro dolce e realistico, intrigante in modo sottile. Aspettando il nuovo libro di McEwan (e sperando di poterlo tradurre un giorno!), vi auguro buona lettura e spero che Paola non rimarrà delusa se segue il mio consiglio. Alessandra Messaggio trasmesso da Paola Mariani 19.11.02
Quesito inviato da Paola Mariani
Volevo chiederti una cosa: e come facciamo se stiamo leggendo un libro, non ci piace ma abbiamo paura di smettere e vorremmo sapere se vale la pena continuare? da qualche parte nel tuo bel sito, si può chiedere una cosa del genere? Nel caso specifico, sto parlando di Espiazione di Ian McEwan, che mi aveva folgorato con The Innocent (Lettera a Berlino nella traduzione in italiano di Susanna Basso), ma che mi sta annoiando a morte con quest'ultimo libro. Paola Ecco come facciamo: lo chiediamo a tutti coloro che dovessero capitare da queste parti. Chi l'ha già letto e può rispondere?
Segnalazione inviata da Mariantonietta Sorrentino
Desidero mandarti una mia emozione sul libro che sto leggendo. Si tratta di Francesca e Nunziata della Orsini. Mi dicono che ne hanno tratto una versione cinematografica con la Loren, ma io me la sono persa... forse è meglio così: queste "riduzioni" lasciano spesso insoddisfatti! Il testo è appetibile anche per chi non conosce il dialetto partenopeo. La storia di una famiglia di pastai che si sposta dalla Costiera verso le falde del Vesuvio è narrata mirabilmente senza trascurare una vena di lirismo e qualche citazione dotta... Per esempio quando nel riportare una parola di gergo si lascia al lettore incantato anche una traccia del suo passato (vedi "crisammola" per indicare l'albicocca, dal greco antico "chrysòmelon"... io trovo queste suture fantastiche). È evidente la familiarità della autrice per luoghi e vicende, ma il tutto compreso in un ricamo dove il presente è spiegato attraverso un passato che si stende sottile sottile, quasi sussurrato ma insistente. Mariantonietta Sorrentino 18.11.02
Segnalazione inviata da Cinzia Rafanelli
Stupenda la saga de I figli della terra in 5 volumi (per ora!!) di J.M.Auel. Ayla figlia della terra, La valle dei cavalli, Gli eletti di Mut, Le pianure del passaggio, Focolari di pietra. Una lettura fresca, avvincente, appassionata. Per chi ama la storia, e chi è curioso circa la preistoria, con spunti di riflessione sul nostro essere "umani" in relazione con l'ambiente e gli altri esseri "diversi" da noi. Cinzia Rafanelli
Segnalazioni inviate da vocenarrante
Desidero segnalare due libri che in comune hanno la curiosità che il titolo dell'edizione italiana tradisce l'originale e il fatto che sono testi utilissimi se non addirittura illuminanti. Una sedia per l'anima di Gary Zukav (traduzione di Lucia Corradini e Alessandra De Vizzi da The Seat of the Soul, ovvero "La sede dell'anima") parla di karma, di anime e di multisensorialità, invitandoci a procedere nell'evoluzione spirituale operando le nostre scelte con responsabilità e fiducia. Ciò permetterà di acquisire il potere personale autentico, quello dell'intuizione e della luce essenziale. Messaggio per un'aquila che si crede un pollo di Anthony De Mello (traduzione di Laura Cangemi da Awareness, ossia "Consapevolezza"), con uno stile divertente e quasi scanzonato, attingendo tanto alle diverse tradizioni spirituali quanto all'aneddotica umoristica, insiste sulla consapevolezza come unico modus vivendi affinché l'esistenza sia degna di essere vissuta. Entrambe sono letture che possono contribuire a riattivare in noi le energie necessarie a rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra routine e autenticità. E possono aiutarci nel percorso che mira ad acuire la percezione spirituale allo scopo di cominciare a essere felici qui e ora, irradiando luce, consapevolezza e amore. voce 11.11.02
Può un autore invecchiare quando le sue opere mostrano la novità della fanciullezza, anzi la freschezza del nascituro, considerando che sembrano ancora oggi in anticipo sui tempi? Evidentemente sì, dato che Kurt Vonnegut oggi compie 80 anni. Tra la sua produzione, mi sento di consigliare ognuno dei pochi libri che ho letto finora (ma non ho intenzione di smettere): Slaughterhouse 5 (Mattatoio n. 5), Cat's cradle (Ghiaccio nove), God bless you Mr. Rosewater (Perle ai porci), Galapagos. ::-::-::-::-::-::-::-::-:: Del 1969 è Slaughterhouse-Five (Mattatoio n. 5 nella traduzione italiana di Luigi Brioschi). È un capolavoro di genialità, un romanzo decostruito sull'incredibile figura del protagonista: ex-prigioniero di guerra durante il bombardamento di Dresda, ora è uno stralunato viaggiatore nel tempo (della sua vita) e nello spazio (viene rapito dai Tralfamadoriani che gli insegnano una diversa visione delle cose). Come sempre, Kurt Vonnegut riesce a divertire anche quando tratta temi devastanti. Più o meno come il suo grottesco alter ego Kilgore Trout, scrittore di fantascienza con una parte nelle vicende narrate. Giulio Pianese, ovvero Zu 4.11.02
Contributo inviato da Paola
Nessuna cortesia all'uscita, Massimo Carlotto, e/o 1999 Non c'é nessuna cortesia in effetti per il lettore, né all'entrata né all'uscita, se non caracollare velocemente attraverso borghi veneti, locali notturni, agguati e ammazzamenti, puttane, caraffe di cocktail e di blues, armi e sopratutto la mafia del Brenta e del piovese, una malavita autoctona malata, infiltrata da pentiti e gole profonde e magistrature proterve e minacciata dall'imporsi di mafie foreste che insistono dal confine orientale. Marco Buratti, l'Alligatore, detective, ha un occhio disincantato e non si perita di stare al di qua e/o al di là del limite della legalità nell'espletamento delle sue funzioni - in questo caso di paciere tra un boss e uno dei suoi esattori - e dei suoi doveri, tra i quali il primo è difendersi dal dopo sbronza e il secondo cedere alla sbronza del giorno dopo. L'atmosfera del libro è felice e convincente, fumosa negli interni e lucida negli esterni, con figure e soprattutto rumori e suoni che restano: il blues che scandisce la malinconia del protagonista e il ritmo metallico delle armi scelte e minuziosamente preparate alla bisogna dal suo socio. Nel 1999 Nessuna cortesia all'uscita ha vinto il premio Dessi e ottenuto la menzione speciale dalla giuria del premio Scerbanenco. Paola 30.10.02
Recensione inviata da TulipanoGiallo
Neve, di Maxence Fermine (traduzione in italiano di Sergio Claudio Perroni) "La neve è una poesia.Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, dalla mano di Dio. Ha un nome. Un nome di un candore smagliante. Neve." Ci sono libri che ti entrano dentro, perché parlano con le tue parole, e magari non sapevi di aver bisogno di ascoltarle finché non le hai lette in quei libri. Mi è successo un paio di volte nel corso della mia vita di lettrice, e di libri ne ho letti molti. Mi è successo ieri leggendo Neve, di Maxence Fermine. O meglio respirando l'atmosfera soffice e nivea di questo breve romanzo d'esordio di un giovane scrittore francese, che ha solo 30 anni eppure sembra possedere la saggezza del mondo, e sa dispensarla in modo sublime. Il libro ha una copertina bianca vergata di nero, e fa parte di una trilogia che comprende altri due libri ispirati al colore e alla sua assenza: Il violino nero e L'apicultore, rispettivamente nero e color oro. Neve, è un libello di 106 pagine che come 106 fiocchi di neve, si adagiano leggere sul cuore del lettore e lo ricoprono di incanto e poesia. Ed in effetti il romanzo parla di poesia, e dell'amore, e della bellezza e della vita. C'è un giovane ragazzo di 17 anni che vive in Giappone alla fine del 19° secolo e sceglie di fare il poeta per "imparare a guardare il tempo che scorre". Ci sono gli haiku con la breve intensità dei loro versi. C'è un vecchio poeta e pittore, che un tempo era samurai, che ha trascorso la sua vita a sublimare con l'arte il ricordo di un amore perduto. C'è una donna bellissima sepolta nel ghiaccio. C'è una fune tesa e sospesa nell'aria, tra le vette dei monti e tra la vita e la morte. E c'è la neve, naturalmente. Candida e morbida, che leggera ammanta di bianco ogni cosa e svela il segreto di un'esistenza felice: l'amore. Che è amore sensuale. Che è amore per l'arte. E che è amore per la vita stessa. La storia si libra impalpabile e priva quasi di consistenza, senza che ciò la renda superflua o vana, tra l'ossessione del bianco e la magia del numero sette, secondo un ritmo che sembra un inno alla lentezza. Fermine con uno stile veloce e luminoso, traccia un percorso che si snoda alla ricerca del senso della vita, e parla di una vita di artisti che si scontrano con l'idea mistica del segreto della creazione artistica, che affrontano il problema del rapporto tra arte e vita, e colgono l'intreccio tra amore, morte ed arte e alla fine di questo viaggio, l'autore suggerisce che l'arte non può sostituirsi alla vita perché "l'amore è l'arte più difficile. E scrivere, danzare, comporre, dipingere, sono la stessa cosa che amare. Funambolismi. La cosa più difficile è avanzare senza cadere". E alla fine l'amore trionfa nel candore smagliante di un inverno giapponese, in cui al bianco si mischia il colore e i protagonisti finalmente "si amarono l'un l'altro sospesi su un filo di neve". Rosy
Sempre a proposito di libri nei libri, mi viene da rispolverare il ricordo di una felice scoperta pescata dagli scaffali della mai troppo benedetta biblioteca rionale:
Silvio Mignano, Una lezione sull'amore, 1999 Si tratta di un giallo letterario che vede l'investigatore scartabellare tra libri e manoscritti nel tentativo di risolvere il caso affidatogli. Un libro molto ben scritto, colto ma non pesante. Fedele al genere di cui accoglie con ironia alcuni stereotipi, li frantuma però nel raffinato doppio strato narrativo: il protagonista si trova a vivere una storia d'amore impossibile ma vivificante, rispecchiando modelli letterari esterni e interni al romanzo stesso. Giulio Pianese, ovvero Zu 25.10.02
Segnalazione inviata da TulipanoGiallo
A proposito della "rubrica" libri nei libri, cito La pietra di luna di Wilkie W. Collins, il primo romanzo poliziesco moderno, in cui la voce narrante, il maggiordomo, mentre si inoltra nei dettagli del giallo fa continuo riferimento al Robinson Crusoe di Defoe, che considera come una guida spirituale in cui trovare ogni soluzione e consolazione ai problemi che l'assillano. Rosy 22.10.02
Recensione inviata da PProserpina
Senza sangue di Alessandro Baricco Sono rimasta per almeno 30 secondi immobile a fissare la pagina bianca. L'ultima pagina, quella con cui termina ogni libro. È finito, mi son detta, e non capivo cosa significasse in realtà la parola finito. Così? Impossibile. Non è finito e forse non è mai iniziato. La storia della guerra e della vendetta, di una bambina assorta nel suo mondo ovattato, rimasto tale grazie a chi l'aveva salvata ignorandola. Il libro ha una postura fisica, una posizione "magica", fetale e perfettamente allineata, un po' in bilico ma indiscutibilmente affascinante. Una donna dai capelli bianchi in cui non si rispecchia subito l'ombra del sangue versato, dal padre e del padre. Di quel fratello bambino con un fucile in mano. È finito e son passati secondi ed ancora interminabili secondi, prima che io avessi il coraggio di chiudere il libro. La testa ancora immersa in quelle parole, il tempo fermo, il fiato mai ripreso. Come se avessi inspirato alla prima parola ed espirato solo dopo i 30 secondi di pagina bianca, l'ultima. Possono essere fatali quei 30 secondi, perché le parole non ti ossigenano più e quel che resta è svegliarti e capire che è finito. Ripetere lentamente la parola È F I N I T O, assaporarne ogni lettera, sentirsi scorrere nelle vene quel che c'era e ora non c'è più. È finito, ma non per sempre. Baricco si dimostra come sempre un esperto delle parole, capace di sorprendere e lasciare senza fiato. Dopo la diversità e difficoltà del romanzo City, che ha lasciato insoddisfatti molti palati, Senza sangue è il ritorno di Baricco narratore di luoghi sospesi tra il passato ed il presente, tra la polvere lasciata dalla scia della Mercedes ed il silenzio di una fattoria in fiamme. È tornato Baricco con i monologhi frenetici e le pause inaspettate, il Baricco che sa usare le parole, e le usa bene. Senza sangue è un flash, ti abbaglia e sparisce. Come una bambina appesa ad un qualcosa che non è quel che pensi. Come una guerra, ma una guerra diversa. Proserpina 15.10.02
Recensione inviata da TulipanoGiallo
Festa mobile di Ernest Hemingway. Festa mobile si apre con uno degli incipit più poetici che io abbia mai letto: "Poi veniva la brutta stagione. Alla fine dell'autunno, in un solo giorno, cambiava il tempo." Hemingway iniziò la stesura di quest'opera, che nelle sue intenzioni doveva essere un libro di memorie, nel 1958, ma l'interruppe per seguire i toreri Ordonez e Domiguin nelle arene spagnole, viaggio che gli ispirò il romanzo Un'estate pericolosa. Il suo suicidio del 1962 gli impedì di godere della gloria del suo romanzo più riuscito, (almeno secondo me). Il libro fu pubblicato postumo nel 1964 e diffuso in Italia dalla Mondadori nella traduzione di Vincenzo Mantovani con il titolo di Festa mobile, che fa riferimento ad un'intensa frase tratta dal romanzo stesso: "Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile." (Peraltro anche nella versione originale il titolo era A moveable Feast). In realtà Festa mobile è molto più di un libro di memorie. È il racconto della vita, gli incontri, gli amori, i tradimenti della "lost generation" a Parigi, la città dove secondo Sherwood Anderson "l'arte viene presa sul serio". Hemingway vi arrivò pronto ad assorbire come una spugna visioni sensazioni e suggestioni di quella città che fin dall'inizio del secolo, generosa e cosmopolita, aveva accolto generazioni di artisti stranieri. Gertrud Stein, che arrivata a Parigi quasi venti anni prima, una volta scrisse che "gli scrittori devono avere due paesi, quello al quale appartengono e quello in cui vivono veramente, (...) di cui si ha bisogno per essere liberi", riassumendo così le diverse motivazioni che spinsero gli intellettuali americani a trasferirsi per periodi più o meno lunghi nel vecchio continente. Tutti loro in un modo o nell'altro hanno reso omaggio alla capitale francese, ma nessuno è riuscito a rendere efficacemente il fremito e l'atmosfera vitale di questa patria dell'arte e delle lettere, dove la tradizione era così salda da permettere di apparire moderni senza essere diversi e dove l'accettazione della realtà era tale da concedere a chiunque l'emozione dell'irrealtà, come Hemingway. Nelle sue pagine ritroviamo o incontriamo Parigi, con i suoi bistrò, le sue vie, la sua gente. Hem rievoca la sua vita quotidiana di scrittore giovane ingenuo e promettente, tra il 1921 e il 1926, anno in cui lascia la moglie Hadley, che ha coniato per lui il diminutivo di Tatie, per la giornalista Pauline Pfeiffer, diviso tra la ricerca di ispirazione dalla prospettiva della terrazza di un caffè o dal panorama delle sue finestre al 74 di rue Cardinal Lemoine, l'amore dolce ed appassionato con sua moglie e gli incontri nei bistrot e nei cafè con Picasso, Joyce, Ezra Pound o col grande amico Scott Fitzgerald, divorato dall'alcool e dalla gelosia che la moglie Zelda nutriva verso il suo lavoro. Il libro è quindi una testimonianza tenera e frizzante di un'epoca straordinaria, di un'atmosfera irripetibile resa da un suo protagonista indiscusso, ma è soprattutto l'addio del grande scrittore americano, che rivela la sua infinita fragilità, al riparo dalla sua abituale dimensione mitografica. In ogni capitolo Hemingway ci conduce con sé, lungo i suoi tragitti, ne seguiamo le tracce e ne condividiamo gli umori, gli entusiasmi, la vitalità e persino la malinconia del ricordo, con cui celebra affettuosamente quegli anni ormai perduti, rivissuti attraverso il filtro della nostalgia che lo coglie, scrittore grande, stanco e deluso che guarda indietro agli anni in cui "eravamo molto poveri e molto felici". Rosy 13.10.02
Segnalazioni inviate da Francesca Marchei
L'autore più sconcertante e stilisticamente più intrigante che mi sia capitato di leggere è senza dubbio l'inglese Rupert Thomson. L'ho scoperto per caso: curiosando in libreria tra i volumi in inglese, ho scelto Soft, un romanzo che si è rivelato estremamente originale, sia per il tema - i meccanismi occulti della pubblicità - sia per il modo in cui è scritto. Lo stile unico di Thomson, ricco di dettagli e incredibilmente efficace nelle descrizioni di ambienti e stati d'animo, l'ho apprezzato ancora di più nel secondo libro che ho letto, The book of revelation (in italiano, A nudo, Passigli, trad. Chiara Gabutti). È la storia di un ballerino di talento e di successo che esce di casa, ad Amsterdam, per comprare le sigarette alla sua donna, e viene rapito. L'esperienza cambia ovviamente tutto il corso della sua vita, e soprattutto il suo modo di percepire e vivere i rapporti con gli altri. Uno dei commenti in quarta di copertina descriveva il libro come intellettualmente intrigante e visceralmente avvincente, e non potrei trovare parole più adatte. Non crea solo tensione e curiosità, come un classico ''giallo'', ma coinvolge il lettore forse più di quanto un lettore medio non voglia generalmente lasciarsi coinvolgere, rendendolo profondamente partecipe degli eventi e delle impressioni vissute dal protagonista. Le atmosfere sono sempre magistralmente costruite, non ci sono cadute di ritmo o vuoti di trama, si ha l'impressione che non ci sia una sola parola mancante o di troppo, e che l'autore riesca a dosare gli effetti con grande sensibilità. Anche The insult, sempre di Thomson, ripropone una vicenda quanto mai curiosa. È la storia di un uomo che diventa cieco dopo che un ignoto aggressore gli ha sparato alla testa. Per quanto il suo medico non gli lasci nessuna speranza, a un certo punto lui ricomincia a vedere, e la trama si sviluppa in un clima sempre in bilico tra ironia e angoscia, speranza e disperazione, ineluttabilità del destino e potere della volontà individuale. Un piccolo avvertimento: nelle critiche, l'aggettivo più ricorrente è ''disturbing'' e non è un caso: i libri di Thomson effettivamente turbano e disturbano, catturano e trascinano, coinvolgono e sconvolgono, e soprattutto non prevedono un rassicurante finale chiuso. Ma chi ''rischia'' non resta deluso. Francesca 11.10.02
Ci sono libri nei libri... e recensioni all'interno dei romanzi.
Un esempio lo trovo in Manuel Scorza, La danza immobile (di cui parleremo un'altra volta): - In uno di questi libri di autore ignoto ho letto le avventure di un certo Don Chisciotte della Mancia, un gentiluomo a cui l'eccessiva lettura dei libri di cavalleria aveva prosciugato il cervello. Immaginandosi cavaliere errante, seguito da un certo Sancio Panza, prodigo di proverbi e di bricconate, li vidi andarsene per il mondo a raddrizzar torti. Allora io non sapevo che ci sono così tanti malvagi nel mondo che l'idea di sbaragliarli è follia. Prodigiose dovevano essere le loro imprese, se gli editori vi avevano consacrato quattro numeri che per me furono altrettante settimane durante le quali arsi di impazienza. Li lessi senza capire. Morto dal ridere assistetti all'episodio dei mulini a vento. Soffocandomi col fazzoletto per evitare che dalle mie sghignazzate mia madre si accorgesse che leggevo i suoi libri in solaio, vidi la battaglia dei montoni, e tante altre avventure. Non capii, naturalmente, le profondità del libro ma cominciai a sospettare che dietro le farse del volo del magico Clavilegno o della farsa dell'isola Barataria, la ragione non stava dalla parte di chi si pretendeva saggio ma dalla parte dei pazzi. Anni dopo ho ritrovato, insieme alle copertine corrispondenti, le riviste che recavano il riassunto dell'Ingenioso Gentiluomo Don Chisciotte della Mancia. E seppi che l'uomo che l'aveva scritto in un carcere, era Cervantes. 1.10.02
Contributo inviato da aa bb
L'uccello che girava le viti del mondo di Haruki Murakami (traduzione dal giapponese di Antonietta Pastore, 2001 per Baldini & Castoldi) ...dagli alberi intorno arrivava costantemente il verso di un uccello, stridente come se qualcuno stesse avvitando qualcosa. Noi lo chiamavamo l'uccello-giraviti. [...] Il suo vero nome non lo sapevamo, non sapevamo neanche che aspetto avesse. Ma questo all'uccello-giraviti era indifferente, ogni giorno veniva sugli alberi lì intorno a stringere le viti del nostro piccolo mondo tranquillo.Prima delle vacanze estive, di passaggio a Milano per lavoro, sono andato ai giardini vicino Porta Venezia, rubando 5 minuti al mio mestiere. Grazie a Haruki Murakami ho riconosciuto il richiamo dell'uccello giraviti e su una panchina ho ripercorso i fili della rete che mi avevano permesso di ascoltarlo... Una telefonata, ok per una riunione, una levataccia, un aereo, un giornale in aereo, una recensione letta e subito dimenticata per ricomparire nuovamente davanti ad una copertina in una libreria in un altro aeroporto... Un'altra telefonata, un'altra riunione, la voglia di avere 5 minuti per recuperare la mente, un giardino... I libri aiutano... uno di passaggio 30.9.02
Oggi è San Gerolamo, traduttore e patrono dei traduttori.
Chi per devozione, gratitudine o superstizione volesse rendergli omaggio, potrebbe aprire un libricino scritto da Valéry Larbaud, Sous l’invocation de Saint Jérôme (Gallimard, 1946), in cui l'autore paragona la vita del traduttore a quella dell'asceta, per la concentrazione, la solitudine... e gli stenti. In italiano il titolo, edito da Sellerio, è: Sotto la protezione di San Gerolamo, però ora non ce l'ho sottomano e non saprei menzionare... il nome di chi l'ha tradotto dal francese! 29.9.02
Segnalazione inviata da matteoc
Gore Vidal, La statua di sale La statua di sale (titolo originale: The city and the pillar) è un libro che mi ha preso, ha stretto saldamente quella strana parte del corpo a metà tra il cervello e il cuore e anche adesso non vuole mollare la presa. Gore Vidal non ha bisogno di presentazioni, ma dire che questo romanzo è uscito nel 1948 non è soltanto fare una notazione cronologica. Nell'America puritana del '48 è uscito un romanzo omosessuale il cui protagonista, Jim Willard, non è affatto stereotipato. E questo è già molto. Jim e Bob sono belli, giovani, atletici. Sono disegnati intorno ad archetipi olimpici e giocano a tennis in Virginia come potrebbero lanciare il giavellotto ad Atene. Si incontrano, passionalmente, per poi separarsi. Il romanzo narra proprio di questa separazione, che vede Jim rincorrere Bob, certo del loro legame, del suo amore. Jim cresce lungo tutta la narrazione, matura, pur mostrando spesso agli altri un aria da "stupido ragazzo del sud", che gli consente di studiare il mondo e di non far scoprire ai suoi amanti il suo vero obiettivo, la ricerca del suo Bob. In questa ricerca lo imita, imbarcandosi come mozzo, poi prende una strada diversa quando a Hollywood si procura un ricco amante e quando poi parte per New York, teatro del finale, in compagnia di uno scrittore. È attento Vidal quando mette in piedi il mondo gay, a tracciare le differenze tra i virili e gli effeminati, tra i notori e velati, in uno sforzo perfettamente riuscito di fuggire i cliché omosessuali per descrivere l'omosessualità così com'è. Gore affronta in tempi non sospetti quel tema omossesuale, che poi sarebbe diventato un "genere", con lucidità e attenzione, tanto da ingannare la critica che identificava l'autore nel personaggio di Jim. Ma Vidal chiarisce che tra lui e Jim ci sono in comune soltanto alcuni luoghi. Jim è presente in una forma costantemente appiattita dall'univocità e dalla cecità dei suoi intenti, a tratti scompare per mostrarsi unicamente costretto ad agire da una forza che ha fatto sua solo perché è il suo unico impulso vitale. Questo il seme che porta Jim a non comprendere, nel finale, come le cose siano potute andare in modo diverso da come aveva previsto. Per qualche nota in più vi rimando alla prefazione (in pdf) dell'ottima edizione di Fazi (la traduzione è di Alessandra Osti) in cui Gore Vidal parla del rapporto con la critica, dell'importante svolta che questo romanzo ha avuto nella sua carriera, del rapporto con Isherwood e delle note trovate nei diari di Thomas Mann, a cui Vidal ammette volentieri di essersi ispirato. Il libro non può che meritarsi il massimo dei voti. matteoc 25.9.02
Segnalazione inviata da Sabina Moscatelli
Stimolata da uno scambio di epistole elettroniche con Giulio, segnalo uno dei libri che mi hanno fatto compagnia durante l'estate. Si tratta di Le Irregolari. Buenos Aires Horror Tour, di Massimo Carlotto, edizioni e/o. Molti di noi probabilmente ricordano Massimo Carlotto in quanto protagonista di uno dei casi più controversi in cui la giustizia italiana si sia imbattuta (e per chi vuole saperne di più sull'odissea di un cittadino comune, consiglio Il Fuggiasco. Stesso autore, stessa casa editrice). Buenos Aires Horror Tour è il viaggio reale e metaforico di Carlotto nell'Argentina di oggi sulle tracce dei desaparecidos. In Argentina Carlotto incontra tra l'altro la fondatrice delle abuelas de Plaza de Mayo, Estela Carlotto (le cui vicende proprio in questi giorni sono tornate alla ribalta anche sui nostri quotidiani), sua lontana parente. Nelle notti argentine, lasciate le strade ufficiali, un misterioso autista lo preleva e con il suo vecchio autobus lo conduce nei luoghi in cui migliaia di giovani argentini hanno percorso il loro calvario, lungo uno spaventoso "horror tour", che sarebbe quasi metafisico, se non fosse maledettamente vero. L'autista, con il suo linguaggio scarno, racconta le vite spezzate dei giovani affogati nel delirio di potere della dittatura, come in una Spoon River argentina. Nel suo soggiorno in Argentina Carlotto porta con sé i suoni e gli autori che ama (memorabile la scena conclusiva in cui - assieme a Ricky Gianco - canta nella piazza davanti all'ESMA, la famigerata scuola militare trasformata in campo di tortura). Ce ne presenta altri, come la splendida voce di Mercedes Sosa (indimenticabile il suo concerto a Milano, lo scorso maggio). Al termine del tour, il misterioso autista lo invita a tornare a casa, a rientrare in Italia, per raccontare a tutti gli orrori infiniti di una storia troppo a lungo dimenticata. Sabina Moscatelli 24.9.02
Contributo inviato da TulipanoGiallo
Raymond Queneau, Exercices de style All'indomani della fine del conflitto mondiale, nel 1947, Raymond Queneau pubblica il suo capolavoro, Exercices de style. È un libro che sembra interamente costruito come un divertissement, ma che è molto più di questo. Andiamo con ordine. Queneau, autentico funambolo della lingua e del linguaggio, riscrive un unico testo più volte, ben 99, utilizzando stili diversi, così una stessa vicenda assume, nelle forme diverse del racconto, nuovi significati, nuove originalità. L'avvenimento è banale: in un autobus un uomo di giovane età, dotato di un collo troppo lungo e di un cappello ridicolo ha una discussione con un altro passeggero; dopo qualche ora ricompare in un altro posto e la persona con la quale sta conversando gli suggerisce di spostare un bottone del suo soprabito. Questa microstoria viene destrutturata, sezionata, stravolta, e infine ricomposta secondo 99 cifre stilistiche diverse: ad esempio in stile ampolloso, volgare, telegrafico, filosofico, scientifico, gastronomico, olfattivo, visivo, metaforico; oppure a ritroso o mutando più volte il punto di vista del narratore, in forma di lettera ufficiale, comunicato stampa, sonetto, breve commedia in tre atti. Queneau mostra di aver fatto propria la lezione di Valéry, spingendosi alle estreme conseguenze di una visione iperlinguistica della letteratura, e intrecciando il discorso scientifico a quello narrativo, e così facendo, grazie all'artificio e alla bizzarria del gioco apparentemente fine a se stesso, compie in fondo un esperimento molto serio: sonda le potenzialità di una lingua e delle sue convenzioni letterarie. Lo stesso Italo Calvino disse a proposito delle invenzioni verbali di Raymond Queneau, che "Stabilire un confine tra esperimento e gioco è sempre stato difficile", ed in effetti l’autore francese, che usa l’esercizio di stile come una Variazione Goldberg bachiana, riduce il tecnicismo metalinguistico a una dimensione quotidiana e al tempo stesso diverte. Nell’edizione italiana dell’Einaudi, inoltre, il gustoso libro si arricchisce di un elemento in più, l’abilità e l’estro di Umberto Eco che approfitta dell'occasione non limitandosi ad una impeccabile traduzione, ma facendone un banco di prova per se stesso, superando il "maestro" in diversi punti. Del semiologo italiano è anche l’introduzione e la quarta di copertina del volumetto, e per i “puristi”, l’interpretazione di Eco è affiancata al testo originale in francese. Gli "esercizi" oltre ad essere piacevoli e divertenti da leggere sono un riferimento fondamentale per chi si confronta con la scrittura e con la lingua, sia per mestiere che per passione. Rosy
Segnalazione inviata da Alberta Crescenzi
La scorsa domenica Roma mi ha regalato la scoperta di una minuscola libreria dedicata interamente al cinema. Non ho resistito e una volta entrata ho chiesto i libri sul mio regista preferito, François Truffaut. Fra i quattro-cinque che sfogliavo tenendoli sulla ginocchia ho scelto uno dal titolo Truffaut, il piacere della finzione, di Giorgio Tinazzi, edizioni Marsilio. Ogni capitolo affronta un particolare aspetto dei suoi film, ad esempio "luce", "sguardo", "racconto" e soprattutto "libro", "scrittura", "letteratura"... sentite cosa si legge a questo proposito: Itard (il protagonista de Il ragazzo selvaggio) si affida come tanti altri personaggi alla scrittura; la quale, spesso, si materializza con un libro. Questo diventa quindi libro della memoria, con tutte le sue implicazioni. I libri sono il deposito irrinunciabile dell'esperienza: "non toccatelo... è il mio libro" grida Adele alla vicina che ha cercato di aprire la sua valigia. Poi, per proteggere il suo diario, si addormenta in posizione fetale, tenedo stretto a sé il suo bagaglio.Ma i passaggi degni di nota sono numerosi, invito con entusiasmo tutti i cinefili e soprattutto chi come me si è commossa davanti alla poesia di Truffaut, a correre a comprarlo. Alberta Crescenzi, Roma
Parlando di libri e film, anzi, di libri e cinema, una menzione speciale va a un testo un po’ particolare, visto che si tratta dell’intervista di un regista a un altro regista: Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut (tradotto in italiano da Giuseppe Ferrari e Francesco Pititto). È un’opera la cui importanza per la storia della critica cinematografica si può già misurare dalla considerazione nella quale solo dopo questa pubblicazione cominciò a essere tenuto Alfred Hitchcock, che in precedenza non veniva preso molto sul serio. Ma è soprattutto un grande libro sul cinema, frutto di lunghi e circostanziati colloqui tra due artisti consapevoli degli strumenti della propria arte. C’è un passaggio in cui questo atteggiamento viene esemplificato splendidamente: si sta parlando del film La finestra sul cortile (con James Stewart e Grace Kelly)... F.T. …la tecnica narrativa del film è eccellente. Si parte sul cortile addormentato, si passa sul viso di James Stewart che suda, sulla sua gamba ingessata, poi su un tavolo dove si vede la macchina fotografica rotta e una pila di riviste; sul muro, si vedono delle foto di automobili da corsa che si capovolgono. Solo in base a questo primo movimento della macchina da presa veniamo a sapere dove siamo, chi è il personaggio, qual è il suo mestiere e quello che gli è capitato.Per gli appassionati il testo si presta a una lettura godibilissima, ma risulta altrettanto valido come preziosa opera di consultazione. Giulio Pianese, ovvero Zu 21.9.02
Segnalazione inviata da Alberta Crescenzi
A proposito di libri nei libri, vorrei segnalare e consigliare Antologia personale, di Primo Levi: è un florilegio di brani di libri da lui letti nel corso della vita. In particolare, consiglio di assaporare il brano tratto da Joseph Conrad e da A. de Saint-Exupéry perché una volta tanto non si tratta di un brano de Il Piccolo Principe (libro a mio avviso sopravvalutato). Alberta Crescenzi 20.9.02
Letture e riletture di questa settimana.
Lettura: Diario di un killer sentimentale di Luis Sepúlveda (1996), sorbito d’un fiato nella traduzione di Ilide Carmignani (Guanda, 1998). Divertente e spiritoso, ma un po’ troppo fumettistico nella trama, bidimensionale nei personaggi e caricaturale nel trattamento. Scivola via molto piacevolmente, ma con poca pregnanza. Da segnalare però i dialoghi allo specchio di questo solipsista della vita mercenaria. Rilettura: Punti di fuga di Pino Cacucci (Feltrinelli, 2000). Anche qui abbiamo a che fare con un sicario (un “killer per bisogno”, come dice l’autore nell’imperdibile Postfazione), ma testo e contesto sono di tutt’altra categoria. L’ambientazione è reale (se ne percepisce fisicamente la concretezza), i personaggi hanno un passato di uno spessore che si fa sentire anche nei velati e vaghi accenni, le vicende e le problematiche coinvolte hanno un sapore più vero. La scrittura si appiccica alla pelle e talvolta riesce anche a scavare dentro. È come un film girato in soggettiva, ma con una cinepresa in grado di captare e trasmettere anche odori e umori, sensazioni tattili e interiori, raccontando di vite dalle fioche speranze e dai molti tremori. Giulio Pianese, ovvero Zu 19.9.02
Contributo inviato da matteoc
Quello con Dawn Powell è stato un incontro fortuito, Angeli a colazione (in originale: Angels on Toast) era in un palchetto di libri selezionati e consigliati dal libraio. Ben consigliati, aggiungo io, a lettura terminata. Dawn Powell è nata nell'Ohio nel 1896 ed ha vissuto buona parte della sua vita al Village di New York. In vita ha goduto di scarsa fama letteraria, infatti la traduzione (di Alessandra Osti) e la pubblicazione dei suoi testi in Italia (a cura di Fazi Editore) si deve alla recente riscoperta di questa autrice da parte di Gore Vidal e Edmund Wilson. Questa l'introduzione, per capire di chi parliamo e perché molti non avranno sentito nominare Dawn Powell. Ma a leggerla, e qui viene il bello, sembra proprio di aver vissuto male, di essersi persi qualcosa e, quando si è finito, non si può che chiederne ancora. Angeli a colazione ci porta nel mondo degli affari americani a cavallo tra i '30 e i '40, introducendoci personaggi dalle alterne fortune, presi da una vita di incontri di lavoro, di drink, divisi tra la moglie e l'amante. Sono personaggi compiaciuti, fieri di essere vuoti, fieri di (credere di) saper celare alle mogli le proprie piccole malefatte, partecipi di un progresso e di una ricchezza che non comprendono. Dawn Powell non risparmia nulla ai suoi due uomini d'affari, Lou Donovan e Jay Olivier, che per tutto il libro sono destinatari di una ironia leggera quanto pungente, che non li lascia in pace un momento sia nelle loro alcoliche trattative d'affari, sia nella loro vita privata ufficiale e non. L'autrice in un passaggio li definisce come persone "normali", cioè incapaci di non mettersi nei guai, specie se di mezzo c'è una donna, persone "che dicono una cosa e ne fanno un'altra, che avvertono chi gli sta vicino del pericolo mentre loro, invece, ci si tuffano dentro." È un libro da gustarsi e da leggersi tutto d'un fiato, salvo interrompersi di tanto in tanto per ridere di gusto. matteoc 13.9.02
Giorni fa avevo suggerito il filone tematico "libri nei libri (testi reali o immaginari menzionati in altri scritti letterari, testi autoreferenziali)".
A ispirare possibili interventi, o anche solo per rompere il ghiaccio, riporto la segnalazione fatta da Carlo Cosolo su Biblit: libri nei libri in Montalbano, a cura del Circolo culturale ricreativo Andrea Camilleri, ovvero Camilleri fans club. 10.9.02
Segnalazione inviata da Carlo Annese Lungo il mio percorso sul tempo, presente e passato, tecnologia e memoria, sono letteralmente inciampato in Bambini nel tempo, pubblicato da Einaudi anche nei Tascabili, uno dei romanzi meno cupi e crudi di Ian McEwan, tra i suoi più visionari. Inciampo tardivo, essendo stato pubblicato nell'88, ma quanto mai opportuno in questa fase. Per l'ottimismo sulla possibilità di recuperare il tempo perduto. Non tanto rileggendolo, anche a costo di sconcertanti sorprese (come avviene nel libro-film La forza del passato di Veronesi-Gay), ma riscrivendolo da zero, ricostruendolo ex novo sulle macerie di ciò che è stato. La citazione dai Quattro quartetti di Eliott è la sintesi perfetta: "Il tempo presente e il tempo passato / Son forse presenti entrambi nel tempo futuro. / E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato". Ma anche per quel concetto di intensità del tempo, insito nella descrizione dell'incidente stradale a cui il protagonista scampa lucidamente. Più di altro, sono quei cinque secondi in cui la mente agisce e fa agire i muscoli e i riflessi e gli automatismi, per evitare lo schianto e la possibile morte la vera epifania del romanzo. Tutto può accadere in un tempo brevissimo. Tutto, di una portata enorme: così grande, da rendere incredibile che siano solo cinque secondi. Carlo Annese 7.9.02
Contributo inviato da matteoc
Shanghai. Da questa città ci si aspetta fascino orientale e misticismo. In Shanghai Baby di Zhou Weihui la città cinese diventa invece identica ad una qualsiasi metropoli europea, non priva di un profumo antico, ma dominata dalla modernità. E in questa modernità si muove la protagonista, una scrittrice alle prese col mondo e con due uomini. C'è qualcosa che disturba e affascina in Shanghai Baby di Zhou Weihui. Disturba il mondo metropolitan-fighetto che viene descritto così superficialmente. Disturba la traduzione italiana, che pur potendo essere peggiore, rende il testo più spigoloso del necessario (la ripetizione di "numeroso" e "innumerevole" può causare gravi danni neuronali, ma la traduttrice presumibilmente è cinese ed è quindi scusata; l'editore italiano, Rizzoli, invece di scusanti non ne ha). Disturba la trama, quella di una ragazza in bilico tra due uomini che rappresentano senza vie di mezzo da un lato l'amore puro e dall'altro il puro sesso. Disturba il fatto che la protagonista del libro stia scrivendo essa stessa un libro. Ma tutto questo in Zhou Weihui affascina, oltre a disturbare. Gli amici di Cocò (così si fa chiamare la protagonista) si manifestano nei momenti sociali di una Shanghai resa identica a Parigi o a Berlino, tra vernissage e discoteche trendy. Al di fuori di questo mondo patinato ci sono i suoi due amori. Da un lato Tantian, alto, angelico e impotente, è destinatario di un amore puro, non intaccato dal sesso, dall'altro Mark, affascinante businessman occidentale, rappresenta la passione fisica, sfrenata e libera. Seppure tra le troppe immagini, sempre introdotte da stucchevoli "come un" o "come dei", l'autrice riesce a portarti in un mondo forse banale, ma non semplice. Nell'epilogo ci confida il carattere semi-autobiografico dell'opera, dando credito alla sensazione che i personaggi di cui è circondata Cocò siano solo riflessi di componenti della sua personalità. Se si supera la noia delle prime cento pagine la storia inizia a vivere e il finale si fa leggere. L'importante è non fare caso alle mille citazioni che l'autrice mette all'inizio di ogni capitolo e in cui si deduce che il suo sforzo di imitare Henry Miller e i poeti beat è del tutto inutile, farebbe meglio ad abbassare il tiro e mirare ad autori più vicini alla sua sensibilità come l'orrendo Bret Easton Ellis. Il grande successo della giovane autrice cinese non è da attribuirsi alla qualità del suo testo quanto alla censura cinese che le ha portato notorietà in patria e nel mondo. Altrimenti probabilmente non ne avremmo mai sentito parlare. matteoc 5.9.02
Segnalazione inviata da TulipanoGiallo
About L'opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers. Adoro Salinger. E quando un libro ti è entrato dentro come è successo a me con Il giovane Holden, ti capita di entusiasmarti per molti libri, di arrivare persino ad amarli. Ma difficilmente un’opera ti sconvolgerà i pensieri e la mente e la tua consapevolezza del mondo e di te stesso quanto quel romanzo che ti ha accompagnato per tutta la tua vita. È difficile certo, ma non impossibile. Ed è capitato proprio a me leggendo L’opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers. Si tratta di un’opera prima di un giovane scrittore del quale si sentirà parlare spesso in futuro e che anzi è già considerato il futuro della letteratura americana. È un romanzo autobiografico, 369 pagine di pura esperienza catartica. L’autore ci parla della sua vita, dei drammi che l’hanno segnata, e delle responsabilità che gli gravano sulla testa per via di questi drammi, ma mai, mai, mai, mai cerca la lacrima facile, o il melodramma o la pietà. Gli muoiono entrambi i genitori nel giro di un mese, e gli tocca di prendersi cura del piccolo Toph suo fratello minore. E allora fa l'unica cosa ragionevole che si possa fare, carica la macchina, sistema Toph nel sedile accanto al suo e comincia un viaggio al limite dell'inverosimile alla ricerca di qualcosa. O forse solo alla ricerca. Quando il tuo mondo crolla che altro puoi fare? Solo ricominciare da capo. Altrove. Tutto è condito con ironia, e cosa più importante con autoironia, umorismo, sarcasmo, capacità di prendersi sul serio nel faceto e di sdrammatizzare il tragico. C’è candore, innocenza e malizia, stupore e cinismo, tenerezza e crudeltà e soprattutto una disarmante sincerità. C’è dentro un’intera generazione di Holden. Forse solo un po’ meno arrabbiati e un po’ più rassegnati all’idea dell’impossibilità di cambiare il mondo. Solo un po’ però. Rosy 4.9.02
Contributo inviato da Silvia Ganora
Mi piacciono entrambe le idee che hai lanciato, in particolare quella dei libri e film. Io avrei una mia piccola opinione per esempio su Il tè nel deserto di Paul Bowles e sul film che ne ha tratto Bertolucci. Ho amato il libro per le sue atmosfere, per il disincanto dei personaggi, per quell'aura di esotismo che si porta dietro. Il film secondo me rende bene l'incomunicabilità fra i due coniugi, supportato anche dai bellissimi scenari 'desolati' e dalla fotografia di Storaro. Qualcuno lo ha trovato soporifero, ma a me piace ancora, forse proprio per i suoi lunghi silenzi. Una nota sulla protagonista Kit che nel film è molto diversa da come l'ha 'scritta' Bowles. La Winger (attrice ottima, secondo me) ne ha fatto un personaggio fragile, privo di quella patina di antipatia che caratterizza l'originale, e molto più intenso. Sil
A un mese circa dall'apertura di questo spazio, ringrazio in modo particolare chi è intervenuto direttamente, ma anche chi partecipa seguendo l'iniziativa o vi contribuisce diffondendola (dandone notizia via e-mail o inserendo nel proprio sito un collegamento a questa pagina).
Accanto alle segnalazioni, riflessioni e precisazioni, che mi auguro continuino e si moltiplichino, mi piacerebbe stimolare altri filoni di interventi che eventualmente potrebbero avere il carattere della telegraficità (così da coinvolgere anche chi si ritiene troppo pigro o troppo indaffarato per scrivere a lungo). Penso per esempio a: - libri nei libri (testi reali o immaginari menzionati in altri scritti letterari, testi autoreferenziali); - libri e film (i testi letterari e la cinematografia: le rese, le ispirazioni, le citazioni). Inoltre, se vi va, continuate il giochino provando a rispondere al quesito: "Quale titolo vi viene in mente se vi domandano a bruciapelo di esprimere una preferenza su tutte?" 28.8.02
Segnalazione inviata da Isabella Massardo
Poiché abito in Olanda, mi sento un po' in dovere di promuovere anche la letteratura olandese. Vi invito a leggere De ontdekking van de hemel di Harry Mulisch, uno dei principali scrittori olandesi viventi. Sul sito di Alice dicono che il libro verrà pubblicato in Italia a settembre con il titolo La scoperta del cielo. È un libro che offre molti spunti di riflessione, ma a me è piaciuto soprattutto per la storia fantasiosa, ricca di personaggi e tanti dettagli curiosi. Non fatevi spaventare dal numero di pagine, vale veramente la pena. Isabella Massardo
In attesa di altri interventi, qualche appunto su un libro che ho appena letto: Foreign Affairs di Alison Lurie (1984) È stata la buona sorte a farmelo pescare dagli scaffali della biblioteca rionale, nella traduzione in italiano di Stefania Bertola: Cuori in trasferta (Feltrinelli, 1986) . L’autrice, nata nel 1926, stupisce per la gradevole freschezza del sentire che si dimostra in grado di trasmettere. Nel racconto alternato di due storie che si intersecano, i protagonisti sono accademici americani in solitario soggiorno londinese: una professoressa di mezza età, bruttina e inacidita, cui fa da contraltare un bellissimo e giovane professore demoralizzato per la sua crisi matrimoniale. Entrambi si troveranno a vivere inaspettati incontri sentimentali (nonché carnali, per fortuna) e attraversandoli sentiranno accelerare una loro fase di evoluzione personale. Le vicende vengono raccontate secondo un fluido schema binario nel quale un'unica voce narrante ne svela il procedere da diversi punti di vista, ma senza sovrapposizione cronologica. Il dinamico alternarsi dei quadri incornicia una bipolarità che pervade tutta l'opera con una serie di opposizioni significative (Londra/Stati Uniti, accademia/mondo reale, spontaneità/convenzioni) che rivelano e nel contempo innescano meccanismi psicologici, risultando in definitiva decisive per l’azione laddove vanno a determinare scelte e comportamenti dei personaggi. La narratrice onnisciente e disincantata in realtà non travalica il suo compito, perché nel verbalizzare i movimenti interiori dei personaggi rispetta il verosimile progredire delle singole consapevolezze. Sottoscrivo in pieno le parole della quarta di copertina: “Un romanzo divertente, vivo, estremamente agile, costruito con mano sicura”. Giulio Pianese, ovvero Zu 26.8.02
Segnalazione inviata da Paola
Le particelle elementari, Michel Houellebecq, 1998 Leggere Houellebecq mi provoca sempre reazioni contrastanti, il che di per sé non giudico un male nemmeno quando a prevalere sono contrasti di segno negativo. Le particelle elementari trattano solo episodicamente di fisica quantistica, trattata per altro in modo mediamente comprensibile anche a chi come la scrivente non possiede il dono della ragione matematica; trattano anche, come altri libri dello stesso autore, di sesso declinato nella sua forma più pornografica per distacco e precisione dei dettagli. Ma tratta soprattutto di dolore, di due fratelli accomunati dall'avere (e dal non avere) la stessa madre e un medesimo disagio che ciascuno ha saputo/potuto gestire nel modo che più gli veniva facile: uno con la biologia molecolare l'altro con il sesso, con l'assoluta mancanza e l'estremo desiderio del coinvolgimento e dell'appartenere. Interessanti e quasi documentaristiche le parti dedicate al sessantotto e ai suoi protagonisti ed epigoni in Francia, con tutte le derive violente newage e rockettare del caso. Non manca la polemica nei confronti delle religioni monoteistiche, segnatamente quella musulmana, presa meglio e più pesantemente di mira nel successivo Plateforme. pippi 18.8.02
"Quale titolo vi viene in mente se vi domandano a bruciapelo di esprimere una preferenza su tutte?"
Risposta inviata da Monika Schmidt Non è per nulla facile. Arrivano da ogni parte ricordi di libri letti, riletti, amati, a volte mal digeriti. Si avvicinano come bolle d'aria, si allontanano per essere rimpiazzati da altri ancora. Tedeschi, italiani, a volte non mi ricordo in quale delle due lingue ho letto un determinato libro. A volte è imbarazzante quando prometto a qualcuno di prestarglielo e scopro che è nell'altra lingua. Comunque, ultimamente mi ha colpito molto Un divorzio tardivo di A.B. Yehoshua. Ritrovo con molta facilità, e la condivido in pieno, la metafora dell'identità ebraica, divisa fra diaspora e costituzione di uno stato nazionale, come viene anticipato nella prefazione. Monika Schmidt 12.8.02
Quale titolo vi viene in mente se vi domandano a bruciapelo di esprimere una preferenza su tutte?
Lo so che non è facile, ma è il bello del gioco. Io dico: The Water-Method Man (1972) di John Irving. Romanzo divertentissimo, e non è poco, quanto interessante anche strutturalmente, con l'intrecciarsi dei numerosi e multiformi piani narrativi in un flipper cronologico nel quale i vari livelli e le diverse prospettive arricchiscono la percezione della trama, ma nel contempo contribuiscono a innescare un meccanismo di incertezza, di possibile inganno, che si propone come metanarrazione. Racconto in terza e in prima persona si alternano, tra l'altro, al romanzo epistolare di stampo umoristico, alla descrizione di una realizzazione cinematografica, alla fantasiosa esilarante traduzione di un oscuro poema da un'oscura lingua nordica che da semplice citazione comica si espanderà fino a impreziosire il complesso gioco di specchi che deformandola riflette e illumina la storia dello sgusciante protagonista. Le vicende di Fred Bogus Trumper, bugiardo dichiarato già nel nomignolo, appassionano anche laddove il registro è quello del grottesco, divertono anche quando vengono sfiorate le corde della commozione. In italiano uscì nel 1989 tradotto da Pier Francesco Paolini, con l'azzeccato titolo La cura dell'acqua pura. Giulio Pianese, ovvero Zu 11.8.02
Contributo di Carlo Annese
Ti segnalo che anch'io ho inserito il link a questa tua interessante iniziativa nel mio weblog su "la scrittura per la rete e la lettura per se stessi". Carlo Annese
Segnalazione inviata da Nazzareno Mataldi
Non sono bravo a raccontare i libri che leggo (pochi, ahimé, rispetto ai molti che compro), quindi probabilmente non farò qui segnalazioni. Giusto in via eccezionale - e per ringraziare in questo modo Giulio per la sua bella iniziativa, nonché per avermela gentilmente segnalata in privato, dato il mio temporaneo nomail da ogni lista - posso indicare gli ultimi due libri che ho finito e che, ognuno a suo modo, mi hanno preso e lasciato un'impressione positiva: 1) della giovane scrittrice statunitense Aimee Bender, Un segno invisibile e mio, romanzo uscito a maggio da minimum fax, per l'eccellente traduzione di Damiano Abeni e Martina Testa. Mi sento di condividerne appieno il commento nel risvolto di copertina: "tenero, spassoso, visionario, commovente, originalissimo, venato di tristezza ma colorato di surrealtà... un'indimenticabile favola-per-adulti per il nuovo millennio". 2) di Franco Berardi Bifo, animatore del movimento e della cibercultura, Un'estate all'inferno, pubblicato da Luca Sossella editore: il racconto, sotto forma di rapido e sofferto diario, della fuga impossibile da un presente (l'"estate breve" e atroce del 2001) entro cui sono esplose tensioni incontrollabili, unito a riflessioni sul proprio passato e sul rapporto tra vita privata e militanza. Torno adesso a distendermi al sole (se regge :-)) con l'antologia di giovani autori statunitensi Burned Children of America (minimum fax), dopo di che sarà la volta di Ingannevole è il cuore più di ogni cosa di J.T. Leroy (Fazi Editore). nazzareno 8.8.02
Precisazione inviata da Carlo Annese
A proposito della segnalazione di Barbara Cooper, il libro di Simon Winchester è stato tradotto e pubblicato in Italia da Mondadori nel '99 con il titolo L'assassino più colto del mondo. Una lettura in effetti molto interessante. Carlo Annese
Segnalazione inviata da Marina Braito
In merito alla segnalazione di Anna M. Appel, il libro Lost in Translation è stato edito dalla Neri Pozza con il titolo La donna di giada di Nicole Mones. Ecco la breve descrizione sulla controcopertina: È tarda sera a Pechino. Una giovane donna percorre in bicicletta le strade deserte della citta. È bianca, americana, e sul suo biglietto da visita c'e scritto: Alice Mannegan, interprete. Ma, in realtà, è una donna in fuga: dalla sua vita, dalla sua stessa identità. Una donna che trascorre le sue notti nei locali di Pechino, dove la "modernizzazione" può concedere anche a una waiguoren, a un'affascinante straniera, il piacere segreto e fugace dell'avventura. L'esistenza di Alice si consumerebbe così, nel vuoto desiderio di queste notti, se Adam Spencer, un archeologo americano, non le chiedesse di accompagnarlo in una spedizione nel nord della Cina, alla ricerca dell'"Uomo di Pechino", uno dei primi resti di Homo erectus. Molto bello sempre della stessa autrice La fragile bellezza del passato (Neri Pozza). Marina Braito
Riflessione inviata da RDF
Anch'io vorrei parlare di un libro, uno dei primi che ho amato, uno di qui libri che puoi leggerli anche 1000 volte ed ogni volta ti lasciano un'emozione nuova, un particolare che ti era sfuggito, una carezza per l'anima, un sorriso per il cuore. Quante volte sarei voluto essere lì con il Piccolo Principe per spiegargli che gli uomini purtroppo sono incapaci di vedere l'elefante dentro il boa....gli uomini riescono solo a vedere cappelli, forse come metafora del coprirsi, del nascondersi dalle proprie paure, dalla paura di "aver dimenticato di essere stati bambini anche loro", dalla paura ben più triste del commuoversi, del lasciarsi stupire dalle piccole cose. Gli uomini hanno dimenticato il sapore salato delle lacrime. Che siano di dolore o di gioia. Abbiamo perso tra le strade spesso disastrate dei nostri anni incerti, il coraggio di sederci ad un tavolino e di iniziare a fare il riassunto della nostra vita, a riscoprire fotografie di giorni che non ricordavamo nemmeno più, facce, parole, odori che un tempo erano sogni, speranze, certezze e che adesso sono solo miraggi in un deserto di fretta e di noia, stelle che brillano e che siamo incapaci di vedere. E avrei voluto conoscere anche la volpe, per farmi spiegare quando incontrerò una persona "da addomesticare" e che "sappia addomesticarmi"...e dove mai sarà finita la mia rosa, quella rosa che tutti noi in un modo o nell'altro teniamo rinchiusa dentro qualche campana di vetro al riparo dal gelido vento della insensibilità e dell'approssimazione umana. Il colore del grano, come simbolo del ricordo, dell'incapacità di obliare un sentimento talmente forte, della resistenza di noi, esseri umani "fragili" di non dimenticare mai, di cercare di non essere dimenticati, di fare in modo da non dimenticare mai di essere stati bambini. È come quando da bambini ci siedevamo sulla riva del mare e pensavamo che quell'azzurro non finisse mai. Vorrei ancora avere il sapore di quel sale, salato come le lacrime di gioia piante sotto un albero di natale illuminato da duemila piccole luci e da due occhi che brillavano commossi quando mamma e papà mi lasciavano scartare i regali, e di quel sorriso ingenuo che mi rendeva felice, piccolo principe insabbiato alla ricerca del suo pianeta lontano. Remo De Fabritiis - Pescara
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