Letture e riletture


31.12.05
Audrey Niffenegger, La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo (traduzione di Katia Bagnoli)
Per me è stata la lettura dell'anno: romanzo bellissimo, divertente, interessante, intenso, fors'anche istruttivo. Protagonisti lei e lui, anzi il tempo, anzi l'amore, anzi la vita, anzi la morte, anzi il mistero dell'esistenza e il permanere eterno di ciascun qui e ora.
Henry ogni tanto sparisce perché si trova involontariamente a viaggiare nel tempo. Clare resta nel suo presente ad attenderlo, ma l'ha già incontrato in passato e lo ritroverà nel futuro. Lo scorrere della vita non è uniforme, ma gli sbalzi narrativi vengono tenuti a bada con indicazioni temporali e di età che facilitano l'orientamento del lettore, oltre a conferire una continuità formale del tutto peculiare all'opera.
L'essere umano è cronologicamente instabile per davvero: lo è nella memoria emotiva, per esempio. Il personaggio può incarnare questa condizione, viverla e farla vivere in modo avvincente: così ci si trova a seguire un palpitante intreccio a maglia plurima, riconducibile però all'essenziale quanto a pulsioni, desideri, realizzazione e frustrazione. Il tutto fortemente speziato con l'acre dolcezza dell'umana vicenda, intera e profonda, eterea e palpabile, spirituale e carnale. Emozionante fisicità delle parole, volo d'anima.
Giulio Pianese, ovvero Zu



15.12.05
Almost Blue, di Carlo Lucarelli
Assumendo il punto di vista di un cieco, la narrazione in soggettiva parte come un film polisensoriale cui sia negato il riferimento consuetudinario. Poi la cinepresa stacca e la storia si racconta da altre prospettive, condensando un senso di violenza raccapricciante che la meschinità dei piccoli giochi di potere non può riuscire a contrastare. La via alla purezza passa attraverso i colori delle note e la musica in versione cromatica, da succedaneo della vista, diviene passaporto per l'interpretazione del mondo. Ciò è funzionale alle vicende, al tentativo di sciogliere il mistero che avvolge una serie di omicidi, il massacro di vittime innocenti in una Bologna studentesca della quale l'autore svela angoli nascosti e aspetti occulti.
Nell'intreccio trova spazio anche l'amore, animalescamente percepito, come del resto tutte le sensazioni fisiche via via provate dai protagonisti e trasmesse al lettore in modo talmente efficace da far affermare che la scrittura ben operata non teme rivali quanto a espressività e convogliamento. Perfino per la colonna sonora.
Giulio Pianese, ovvero Zu



13.12.05
Recensione inviata da Dontyna
Clare Morrall, Meravigliose macchie di colore qua e là (traduzione di Simona Ferro)
C'è Guy, padre e artista, che passa il tempo nel suo studio a dipingere nostalgiche tele di paesaggi marini per venderli in Cina, Stati Uniti, Messico. Poi ci sono Martin e Jake, due gemelli del tutto discordanti: il primo, privo di qualunque talento ma tenero e premuroso, passa la sua vita a viaggiare per il mondo sopra un camion, mentre Jake, strabiliante violinista, è stabilmente sposato con una donna in carriera. Poi ancora Paul, il fratello razionale e calcolatore, e Adrian, padre delle piccole e adorabili Emily e Rosie. Infine Katy, che "esiste per leggere libri, libri per bambini. Non libri illustrati, ma libri per bambini che sanno leggere." E, dice lei, ha ottime credenziali: Adrian Wellington, lo scrittore, è il suo adorato fratello maggiore.
Sembra il quadretto di una famigliola felice, ma l'assenza di una madre, di cui Katy è costantemente alla ricerca, spezza questa dolce illusione.
In un libro che sembra un viaggio attraverso un album di ricordi, Clare Morrall ci coinvolge con tutta l'anima nell'intimità della famiglia Wellington, lasciandoci intravedere Meravigliose macchie di colore qua e là tra le pagine che narrano di bimbi sperduti, fallimenti, disperazione, ma anche di assoluta complicità, come quella che lega James e Katy, uniti nel matrimonio, divisi da un pianerottolo.
Un libro natalizio nonostante l'atmosfera triste, perché caldo e accogliente come un pranzo di famiglia, dove ognuno, dopo 364 giorni di isolamento, ritrova i legami d'affetto lasciati ai ricordi d'infanzia.
Dontyna



12.12.05
Recensione inviata da Annalisa Fassone
È uscito da poco presso la casa editrice Ennepilibri di Imperia un piccolo volume di narrativa che racconta una grande storia. Francesco Giovannini lo ha scritto chiaramente con l'intento di fare delle proposte, non soltanto della letteratura: si parla di un'umanità impazzita, che stabilisce la divisione dei mari e degli Oceani, come già da millenni è avvenuto per le terre. Gli Stati acquisiscono così un loro territorio marino (Dei domini del mare si intitola il libro) che diventa parte integrante della Nazione: su di esso possono impiantare piattaforme estrattive, riscuotere pedaggi, tenere allevamenti ittici, compiere ogni sorta di sfruttamento; possono naturalmente venderlo ai privati.
Ma i singoli personaggi scoprono attraverso le loro vicende paradossali che la spartizione delle acque è una follia, e proprio come ogni follia sta generando mostri. I laboratori genetici sfornano nuovi modelli di pesci, i commercianti internazionali lucrano sui lotti marini, qualche dittatore nano svende subito tutto per i soldi; nel piccolo cosmo di ognuno accade qualcosa di infinitamente tenero, come al piccolo bimbo muto che non ha mai visto terra, o di straordinariamente ridicolo, come all'illustre professore di archeologia marina bidonato dal proprio rivale. Questa umanità modesta ma sofferente sarà inconsapevolmente "redenta" da un piccolo vecchio pescatore, un primitivo col senso però della natura e del limite umano, il quale di fatto vince proprio perché la sua è una ecologia interiore, non costruita su una teoria, ma sulla poesia della propria esistenza e della propria resistenza. E perché non ha mai voluto combattere nessuno. Tra le tante prove di fantasia dell'autore, segnalo proprio la lingua del pescatore, inventata tra latino spagnolo e qualcos'altro, nella quale, oltre a vari passi, è scritto il bellissimo inno finale nella grotta assediata dalla polizia: In mare gravoso, / tempesta de vento / Te posa in mi prua, / timone ne allegna / e alluma mi vista / al fulgendo de l'astro, / a la lampa del faro, / recanteme al porto de paz / de donde imbarcai.
Una favola fantaecologica regalata ad adulti e giovani assieme al suo contenuto di denuncia e di profezia; non a caso il testo si apre con una prefazione intensa, scritta da un gesuita, per il quale Dei domini del mare si offre, in quanto favola, come "strumento privilegiato per trasmettere valori morali e per suscitare nel lettore interrogativi e riflessioni che aumentino la consapevolezza della realtà e il senso di responsabilità."
Annalisa Fassone



11.12.05
Recensione inviata da Simone Taddei
La città dei tulipani di Ingrid Coman è un libro che a una prima lettura potrebbe apparire sin troppo semplice: la narrazione è fluida e armoniosa, la storia è appassionante e, pur nella finzione romanzesca, vi sono molti spunti di attualità (infatti sullo sfondo troviamo la Kabul devastata dalla guerra in Afghanistan). In realtà l'autrice attraverso questo libro vuole creare un punto di vista privilegiato per chi legge: un piano che vada oltre la letteralità contingente delle parole, in cui si possano cogliere le storie dei personaggi nella loro drammatica singolarità e in cui però si possa andare oltre, fino a vedere come Asillah, Sandro, Shakeela, Daoud, Kevin, Mariam siano legati tra loro, talvolta pur non conoscendosi neppure direttamente. I personaggi sembrano soltanto sfiorarsi in mezzo a questo caotico scenario di guerra, ma è davvero emozionante assistere allo sbocciare di tante storie d'amore, e ciò sembra riflettere la lotta eterna tra Eros e Thanatos. La città dei tulipani che dà il titolo al libro è solo un sogno, la si può vedere solo quando ci si trova al confine tra la vita e la morte, come i personaggi di questa storia quotidianamente fanno. Eppure l'amore tra le persone, sembra volerci dire l'autrice, ha la forza anche per trasformare i sogni in realtà, e ne La città dei tulipani tutti i personaggi scopriranno o riscopriranno l'amore: questo, per chi legge, non può che essere un segno di speranza.
Simone Taddei



10.12.05
Contributo inviato da Laura Barison
Muin Masri, Io sono di là
Un libro che apre gli occhi su emozioni forti e aspre come l'abbandono, la solitudine e la povertà di chi è nato costretto a combattere per riprendere la sua storia, indentità. Infatti è ambientato a Nablus, Palestina, da dove proviene l'autore. Io sono di là, più che un romanzo, sembra una sequenza di foto scattate fortunosamente dal campo di battaglia, da cui la sensazione di vertigine che accompagna tutta la lettura.
All'interno del racconto principale compaiono brevi narrazioni che arricchiscono lo scenario, fornendo una rappresentazione di vita quotidiana colorata nonostante la guerra e la sua violenza.
Ho trovato bella l'idea di inserire in ogni capitolo brevi passi del Corano, perché legano bene i vari passaggi del racconto, talvolta conferendo loro anche un taglio mistico (per esempio, appare spesso l'Angelo della Morte) e permettono di comprendere che forse l'Islam vero non è poi così diverso dal Cristianesimo.
Il romanzo, nonostante il tema principale sia il male, non solo quello nelle nostre azioni ma anche il vivere male la vita di tutti i giorni, alla fine ti lascia dentro in regalo quella sensazione di speranza, pur sospesa, in attesa di essere colta.
Laura



9.12.05
Philip K. Dick - Scorrete lacrime, disse il poliziotto (traduzione di Vittorio Curtoni)
Lo volli leggere soprattutto perché incuriosito da una particolare assonanza: un futuro in cui l'umanità è rigidamente divisa in classi geneticamente distinte, con il controllo sociale delegato a un feroce stato di polizia, distopia nemmeno tanto lontana dal baratro che oggi separa i destini di vaste porzioni del genere umano, a seconda di dove si ha la ventura di nascere.
La vicenda prende le mosse da un drammatico rivolgimento nella vita del protagonista, che si ritrova improvvisamente privo di identità, cancellato dalla memoria informatica e biologica dell'intero pianeta. Lo straniamento si accompagna alla disperata ricerca di una via di scampo, motore e motivo dell'intreccio, potente ingranaggio grazie al quale si snoda la galleria mobile ove scorrono immagini e situazioni da cui ci si lascia volentieri catturare e però in grado di stimolare riflessioni e considerazioni.
Se una critica negativa bisogna muovere, la si potrebbe appuntare allo scioglimento eccessivamente sbrigativo e forse un tantino confuso dell'enigma, ma nel complesso non ci si pente affatto della lettura, malgrado quel sapore amaro di pasticca che resta sul retro della lingua.
Giulio Pianese, ovvero Zu



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