Letture e riletture


19.9.05
Salvatore Niffoi, La leggenda di Redenta Tiria
Chi è il protagonista di questo romanzo? Difficile decidersi tra i personaggi di cui si narra nei singoli capitoli, talmente ben delineati da funzionare come storie a sé; o Abacrasta, il paesino in cui di morte naturale non muore nessuno perché uomini e donne a un certo punto la fanno finita, quasi sempre impiccandosi; o ancora, Redenta Tiria, deus ex machina incarnato in femmina cieca... probabilmente, il narratore. Testimone, memoria, filo conduttore tra le vicende, ne è egli stesso parte in causa, destinato a soggiacere al medesimo fato che racconta e che si ripete per gli altri.
Un libro in cui risuonano magie sudamericane, non solo per la scelta degli autori in epigrafe, ma per atmosfere alla Macondo nelle origini mitiche e animali e nell'esplosione irresistibile di amori totalizzanti, o anche per le chiaroveggenze oniriche a richiamare, per esempio, Manuel Scorza (La vampata).
Il linguaggio è pregno di terra di Sardegna in ogni similitudine, nei detti e nei modi ancor più che nei termini in lingua. Volendo, certi artifizi trovano assonanze con quelli di un altro autore isolano, ma di Trinacria e non d'Ichnussa: l'uso di parole dialettali e la contraffazione dei toponimi, per una geografia svincolata eppure riconoscibilissima. A differenza di Camilleri, però, Niffoi rimanda a un sapore quasi preistorico anziché all'attualità, sebbene non manchino riferimenti materiali contemporanei.
Le storie sono appassionate e avvincenti, i ritmi sempre adeguati, l'ambientazione arricchita da una polisensorialità che trasuda tra le sillabe. La feroce fisicità peraltro non soffoca la delicatezza del tocco, che si tratti di natura, amore o di pudica commozione.
Tema sotteso, l'esiguità del libero arbitrio: in ambiti nei quali la storia familiare traccia solchi da cui l'individuo non può scartare, viene pressoché esplicitata la forza della predestinazione, l'ineluttabilità della tragedia personale.
E invece si apre spazio un rovesciamento della catarsi: con la sua semplicità e determinazione, Redenta Tiria è la nemesi all'incontrario, è la vita che dall'ombra assoluta torna a trionfare sulla morte, non solo quella ultima, ma la peggiore, quella quotidiana.
Giulio Pianese, ovvero Zu



12.9.05
Recensione inviata da Silvia (Phoebe)
Audrey Niffenegger, La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo (traduzione di Katia Bagnoli)

L'amore non ha l'orologio
In un mondo che col potere dei fatti cerca in ogni modo di convincere i propri sciagurati abitanti del fatto che, per ragioni sociologiche, fisiche e ormonali l'Amore non può esistere se non nei romanzi zuccherosi e datati della Harmony, arriva come un fulmine a ciel sereno un libro. Io odio i libri d'amore strictu sensu. Sono più irreali di Asimov e molto più noiosi certamente.
Non sembra nemmeno un libro d'amore, ma una di quelle incasinatissime storie che escono dalla penna di Jonathan Carroll. Invece, c'è il trucco. Perché La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo è una storia d'amore. Atipica. Stramba. Ma è una storia d'amore. Dolcissima, ma non mielosa. Amore incondizionato. Destino. Anzi, non destino. Predestinazione. La magia incontra la scienza o viceversa. Oppure sono la stessa cosa, chi può dirlo?
Henry de Tamble non è un uomo normale. Lui viaggia nel tempo. Non per scelta o per magia, ma per una strana malattia genetica cui non può opporsi. Cronoalterazione. Come starnutire, più o meno. E così interseca in modo assolutamente aleatorio e (forse) sconclusionato la propria vita (incrociando anche altri sé stesso) e quella dei suoi cari. Ancora. E ancora. E ancora.
E poi c'è Clare. La prima volta che si incontrano lei è bambina di appena sei anni intenta a giocare su un prato, lui viene dal futuro ed è già un adulto di trentasei anni. Si incontreranno davvero solo poi. E la vita di Clare sarà fatta di amore, attesa e pile di vestiti pronte. Ed è subito chiaro che sarà per tutta la vita. Che sarà la storia di due persone che si amano, e vorrebbero farlo per sempre, a qualunque età e in qualunque momento.
La storia è raccontata direttamente dai due protagonisti, con tanto di data e varie età indicate in ogni paragrafo per non far perdere la cognizione del tempo allo sparuto lettore che, specie nelle prime 50 pagine, si può sentire disorientato. Trama assurda? Sembra. Ma l'autrice, Audrey Niffenegger, professoressa dell'Illinois alla sua opera prima, è bravissima a tenerlo per mano e a portarlo in una realtà in cui gli orologi girano a casaccio ma anche no. Ciò che sembra impossibile appare quotidiano, normale.
Non è una versione romantica di Ritorno al futuro e nemmeno di The butterfly effect. La fantascienza non c'entra nulla. A essere in primo piano sono i sentimenti e la loro immutabilità.
Questo libro rincorre un'utopia di coppia, mette in scena una sensibilità femminile, un desiderio, una fantasia. Il sogno di amare l'uomo che ami anche quando tu non lo conoscevi e lui non ti conosceva, scrutarlo, spiarlo, fare sesso con lui da amante perché lui, in quel dato segmento di tempo, sta con un'altra. Amarlo quando è più giovane di te, quando è come te, quando è più vecchio di te (nel tempo lineare Henry ha otto anni più di Clare). Fare l'amore contemporaneamente con lui giovane e lui vecchio, perché i due Henry possono anche incontrarsi. E raccontarsi la propria storia.
Qui tutto è scritto, tutto è già deciso. Il futuro è già scritto e non può cambiare, dipinto da una mano invisibile. Tutto è deciso, tutto deve accadere e accadrà, non può essere evitato o modificato.
Un libro diverso, da leggere. Per sperare che l'amore esista, che non sia solo bisogno umano di affiliazione.
I diritti di questo libro erano stati comprati da Brad Pitt e Jennifer Aniston, affascinati dalla bellezza e leggerezza della storia, quando ancora erano una coppia felice. Doveva essere il loro primo film insieme, una metafora del loro amore. La realtà, insomma, è diversa dai libri. Persino da questo.
Silvia (La stanza di Phoebe)



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