Letture e riletture


30.12.02
Recensione inviata da Chiara Fonio
Non ti muovere di Margaret Mazzantini
La scrittura della Mazzantini è dura come un guscio di noce. All'inizio fai fatica a romperlo ma, dopo pochi istanti, quando gusti il frutto, non ti ricordi più dello sforzo che hai fatto per aprirlo.
Scritto sotto forma di monologo interiore, è la storia di una confessione: i segreti che un padre racconta alla figlia, Angela, in bilico tra la vita e la morte in un letto d'ospedale dove lui è primario. Angela e Timoteo: uniti nel dolore ma affannosamente insieme nella vita. Timoteo, che ha vissuto un solo profondissimo amore: un amore violento ed irrinunciabile, fuori dalle mura domestiche e lontano dallo sguardo orgoglioso di sua moglie Elsa. Angela, una ragazzina di quindici anni che non ha allacciato il casco. Un libro di forti sentimenti scritto in modo eccellente, senza una sbavatura linguistica o stilistica: un unicum nella letteratura italiana contemporanea.
Alla fine il gheriglio diventa magicamente conchiglia: non occorre più alcuna difficoltà a riconoscere, al suo interno, una perla.
Chiara




27.12.02
Risposta inviata da Carlo Annese
Probabilmente Paola avrà già finito di leggere Espiazione e lo avrà collocato nello scaffale degli immortali oppure dentro una scatola per la raccolta differenziata. Ma ammetto di aver voluto correre il rischio di arrivare in ritardo con le mie considerazioni per paura della responsabilità enorme che la sua richiesta comportava. Come si può suggerire di continuare a leggere un libro se poi si rivela una palla gigantesca? Con quale coraggio si propone di abbandonarlo, quando potrebbe invece essere una rivelazione? Espiazione mi è piaciuto meno di altri libri di McEwan, sicuramente diverso dall'Inventore dei sogni o da Cani neri. Non è il capolavoro che una massiccia campagna promozionale ha cercato di contrabbandare. È un libro complesso, meno lineare dei precedenti ma molto più realistico, nella scelta dei temi e soprattutto nella loro esposizione.
Ecco, se Paola fosse ancora a metà dell'opera, lei direi di non perdersi la descrizione della ritirata di Dunkerque raccontata attraverso gli occhi e i sensi del reprobo-innocente: è una delle più belle, tra quelle sulla Seconda Guerra Mondiale, scritte da uno scrittore contemporaneo.
Ho ritrovato un'attenzione simile per certi dettagli intimi, personali, sul rapporto fra il personaggio e l'ambiente circostante in Asce di guerra, che ho appena concluso con grande soddisfazione. E' la ricostruzione romanzata della ricerca di un romagnolo ex giovane partigiano andato a combattere in Laos dalla parte dei comunisti: una storia vera, raccontata con la profonda partecipazione del protagonista. Con una differenza sostanziale: McEwan condensa la ritirata di Dunkerque in una cinquantina di pagine molto intense e crude; Ravagli e Wu Ming hanno compilato un tomo da circa 350 pagine.
Carlo Annese




Recensione inviata da Nazzareno Mataldi
Urrà, ce l'ho fatta! dopo non so quanti anni (poco meno di dieci, comunque) e tentativi più o meno riusciti di riprenderne la lettura sotto ogni natale, pasqua o ferragosto, ho finalmente portato a termine il musiliano uomo senza qualità... be', portato a termine per modo di dire, perché per poter dominare in modo anche appena appena passabile un mastodonte intellettual-letterario di questa natura chissà quante altre letture e riletture sarebbero necessarie, tenendo anche presente la sua lunga e complessa genesi e il problema degli inediti... è comunque un romanzo - o, se si vuole, antiromanzo - che o si ama visceralmente o si rifiuta in tronco, che ci si sforza di riprendere in mano o si lascia per sempre intonso su uno scaffale... l'atmosfera allucinata, la riduzione della realtà a irrealtà... l'analisi di una società che dietro la sua facciata di ordine sta entrando profondamente in crisi, che si vorrebbe votata all'azione (parallela e non) ma che resta profondamente immobile... la vivisezione di sentimenti e pensieri, l'ironia corrosiva... il tentativo di coniugare anima ed esattezza, aspirazione al trascendente e volontà di chiarezza... l'utopia del saggismo, di una società estatica dove si attui in forma stabile l'esperienza mistica... e una galleria di personaggi indimenticabili: l'uomo senza qualità-ulrich, la sorella agathe, l'assassino moosbrugger, clarisse e walter, diotima e arnheim, rachel e soliman, il capodivisione tuzzi, bonadea, il conte leinsdorf, il generale stumm von bordwehr e molti altri... da una parte sollievo e gioia per essere arrivato alla (pseudo) fine, dall'altra rammarico per non avere a breve il tempo di riprendere in mano un così complesso ma avvincente romanzo saggistico... altre letture (più leggere) reclamano il loro spazio...
nazzareno

Naturalmente si rendeva conto che i due modi in questione d'essere uomini non potevano significare altro che un uomo 'senza qualità' opposto a quello con tutte le qualità possibili in un uomo. L'uno si poteva anche chiamare un nihilista che sogna i sogni di Dio; in contrasto con l'attivista che però nel suo impaziente agire è anche lui una specie di sognatore di Dio, e tutt'altro che un realista che si dà da fare con mondana chiarezza e dinamicità. 'Perché non siamo realisti?' si chiese Ulrich. Non lo erano né lui né lei, su questo da gran tempo i loro pensieri e azioni non lasciavano dubbi; ma nihilisti e attivisti sì, lo erano, e ora l'uno ora l'altro, secondo i casi".
(Robert Musil, L'uomo senza qualità, trad. di Aniha Rho, Torino, Einaudi, 1958, pp. 1090-91)



20.12.02
Segnalazione inviata da b.georg
Credo di aver letto ogni cosa pubblicata da Antonio Moresco. Se vuoi un consiglio, leggi Gli esordi (da Feltrinelli). Prenditi del tempo e leggilo. Non è senza difetti, come quasi tutto quello che scrive, ma è letteratura (finalmente). Per me la letteratura è essenzialmente linguaggio al quadrato, alla seconda potenza, torsione del linguaggio su di sé, piegatura. La piega operata sul linguaggio che creando la letteratura (in tutte le sue forme) gli fa prendere fuoco, lo accende, lo trasforma in una autonoma forma vivente. In questo c'è maestria dissimulata, e spesso per lo più involontaria se non inconsapevole (anche se terribilmente meditata, e questo è un vero paradosso). "Non poteva che essere scritto così", dice Moresco parlando delle sue cose, "mi usciva così, da solo". Ed è tutto meno che ingenuità naif. La torsione che lui opera sulle forme linguistiche, sulla costruzione della frase, sull'io narrante, è una delle cose più belle, più primigenie, più sorgive che si possano leggere. La sua è veramente letteratura degli "esordi", dello scaturire, della forma letteraria nel suo atto nascente. Se ti va compra anche le prime prose, Lettere a nessuno, o i racconti di Clandestinità o La cipolla. Sono tutti belli.
g




19.12.02
Recensione inviata da matteoc
La lingua perduta delle gru di David Leavitt è una storia di persone che vogliono e devono comunicare. Devono dirsi qualcosa oppure farlo capire. Mostrare una realtà o spiegarla con le parole. Sarebbe un peccato limitarsi a descrivere una trama complessa, ma piana. Non riuscirebbe a mostrare appieno la tensione dei personaggi verso la comunicazione, l'amore, il loro nucleo familiare, costituito o ancora da creare, che rappresentano il motore degli eventi del primo fortunato romanzo dell'autore americano.
Leavitt ci mostra una famiglia. Owen e Rose, due professionisti dell'editoria che hanno passato i cinquanta, e il loro figlio Phillip. Leavitt ce li introduce con dolcezza, lasciandoci per le prime pagine il compito di capire chi sia il protagonista. Dopo un po' si lascia perdere, sono a modo loro tutti protagonisti (nella postfazione dell'edizione Mondadori la Pivano afferma che la protagonista è Rose), insieme alle altre figure che lungo la strada entrano nella vita dei tre. Il cuore della vicenda principale parte da una improvvisata riunione familiare in cui Phillip confida ai suoi genitori di essere omosessuale. Non è al corrente però di non essere il solo in casa a dover condividere questo "segreto".
È nei diversi coming out (termine inglese per definire la scelta di rivelare a qualcuno le proprie scelte sessuali, da non confondersi con outing che invece definisce il "pettegolezzo" che gli altri fanno su qualcuno rivelandone l'omosessualità) che si concretizza il desiderio di comunicare, consci delle conseguenze delle proprie azioni, dei protagonisti del romanzo. Come Jerene, coinquilina del fidanzato di Phillip, che dopo il suo coming out ha subito l'ostracismo dei genitori o Owen che non si risolve ad affrontare la questione con la moglie Rose, non desiderando barattare la sua vita sessuale con il rapporto con la donna che ha sposato.
La vicenda che dà il titolo al romanzo la incontriamo nelle pagine centrali dove Leavitt ci presenta la vicenda del "bambino gru", un bambino che, abbandonato a se stesso in una casa di fronte ad un cantiere edile, ha imparato a giocare e a comunicare con il mondo esterno imitando i suoni e i movimenti delle gru.
Se la traduzione di Delfina Vezzoli è inappuntabile dal punto di vista stilistico ho qualcosa da ridire riguardo alla traduzione del gergo omosessuale. Qua e là c'è qualche ragazzo "straight" tradotti come "regolare", quando invece in italiano si direbbe "etero", degli appuntamenti al buio ("blind dates") tradotti come "appuntamenti ciechi", una bollente "dark room", intraducibile ne convengo, che diviene una gelida "stanza sul retro" e un incomprensibile "è di punta", riferito ad un possibile fidanzato che suona tanto una traduzione ad dir poco metaforica di "he is a top", ovvero "è attivo" (contrapposto a "bottom" che invece sarebbe "passivo") in riferimento al ruolo assunto a letto.
Del romanzo Tondelli nel suo Un weekend postmoderno scrive "Ci sono pagine bellssime, sequenze psicologicamente emozionanti, dialoghi commoventi e una garbata (forse è proprio il garbo la cifra stilistica di David Leavitt) concezione dell'amore come bisogno e sofferenza che ci fa riflettere, assorti. Ma c'è ancora tutta quell'attrezzeria bambinesca e infantile, fatta di programmi televisivi, filastrocche, canzonette, cartoni animati, libri illustrati, orsacchiotti e carte da parati Laura Ashley, che francamente troviamo insopportabile. E petulante".
Concludo con la Pivano che (sempre nella postfazione) ascrive Leavitt non tanto alla letteratura omosessuale "modaiola" (mi si passi il termine e l'ardita interpretazione della Fernanda), ma invece ai classici dell'omosessualità come Gore Vidal, James Baldwin e Tennessee Williams.
matteoc




18.12.02
Contributo inviato da b.georg
Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, Feltrinelli
Magrelli ha pubblicato questa raccolta a poco più di vent'anni, nel 1980. In seguito ha scritto per Mondadori e per Einaudi (l'ultima raccolta, Didascalie per la lettura di un giornale, è uscita nel 1999 da Einaudi). Si tratta di una delle voci più significative della poesia nostrana. L'uscita del suo primo libro (Ora serrata retinae, appunto) fu un piccolo caso letterario, pur nel minuscolo mondo della poesia italiana, in parte per la giovane età dell'autore, in parte per la qualità purissima e la singolarità dei versi e dell'ispirazione.
Dieci poesie scritte in un mese / non è poi molto anche se questa / sarebbe l'undicesima. / Neanche i temi sono poi diversi / anzi c'è solo un tema / ed ha per tema il tema, come adesso. / Questo per dire quanto / resta di qua della pagina / e bussa e non può entrare, / e non deve. La scrittura / non è uno specchio, piuttosto / il vetro zigrinato delle docce, / dove il corpo si sgretola / e solo la sua ombra traspare / incerta ma reale. / E non si riconosce chi si lava / ma soltanto il suo gesto. / Perciò che importa / vedere dietro la filigrana, / se io sono il falsario / e solo la filigrana è il mio lavoro.
Magrelli scriveva queste cose 20 anni fa, in piena "sindrome del labirinto". Borges e compagnia bella. La scrittura inseguiva se stessa come i cani una preda dipinta sul muro. Non c'erano sfondamenti, tutto superficie (e niente superficie, come è ovvio). Questo libro che mi aveva ipnotizzato, oggi lo trovo lontanissimo, eppure in qualche modo è riuscito a non invecchiare. Mi parla per telefono dall'altro capo del globo.
g




14.12.02
Contributo inviato da mariemarion
A nessuno di noi che viva con curiosità questi anni, è sfuggito che è diventato ossessivo l'uso della parola "sistema" e della sua negazione (il "dissenso", la "contestazione"): è una situazione tipica delle società molto avanzate...
L'odio ossessivo, cieco, indiscriminato, totale, intimidatorio verso chi non lo condivide (tale da creare una sorta di conformismo terroristico della contestazione), può essere espresso sinteticamente in una nozione-guida, le cui origini dirette sono in Marcuse, per cui il "sistema" finisce sempre con l'assimilare tutto, con l'integrare ogni "possibile" diversità naturale o contestazione razionale ecc. Questa nozione, fondamentalmente giusta, si è irrigidita, ripeto, in una specie di formula ossessiva, che rende insieme furenti e impotenti... Tuttavia anche a chi mi dicesse: "Ma il sistema, assimilando ciò che gli si oppone e gli è diverso, si migliora e quindi si rafforza", risponderei: "tanto meglio. È dalla democrazia che nasce la democrazia. Il sistema si dichiara democratico ma lo è falsamente. Bisogna lottare per una serie di assimilazioni, da parte del sistema, delle idee e delle opere di chi lotta per la democrazia. E solo sulla democrazia si può fondare il socialismo. Bisogna lottare contemporaneamente per queste due cose (purché non si lotti per la socialdemocrazia, che è cosa peggiore di tutte)".

3 settembre 1968
Pier Paolo Pasolini, Il caos, Editori Riuniti, una serie di avvenimenti dal '68 al '70 scanditi da un discorso serrato e lucido fatto di attacchi polemici e riflessioni problematiche. Un "discorso al pubblico" scandito settimanalmente sulla rivista Tempo, con il titolo della rubrica che lo ospitò allora, Il caos occupa un posto ben preciso nell'itinerario pasoliniano. Esso segna, in particolare, una fase di acuta crisi e di illuminanti prese di coscienza... (dalla quarta di copertina del libro).
mariemarion




10.12.02
Segnalazione inviata da Remo De Fabritiis
Innanzitutto complimenti a chi ha citato Carlotto, scrittore interessantissimo. Ho appena comprato Arrivederci amore ciao, vi racconterò cosa ne penso la prossima volta. Carlotto ha la capacità di narrare in un modo sottile, senza troppi fronzoli o voli emozionali. Riesce a farci sorvolare il lato più aberrante senza cedere alla tentazione di apparire "buonista" o lacrimevole. Direi essenziale.
Ho appena letto 1979 di Christian Kracht (traduzione di Roberta Zuppet). Interessante punto di vista di un "dandy disincantato" che da una festa in una lussuosa villa di Teheran finisce in un un campo di prigionia cinese. Da leggere.
Remo De Fabritiis




9.12.02
Segnalazione inviata da PersonalitàConfusa
Non posso trattenermi dal segnalare a qualche coraggioso Il libro nero di Orhan Pamuk, Frassinelli, 489 pagine, traduzione in italiano di Mario Biondi. Il personaggio principale è un rubrichista, uno che tutti i giorni deve scrivere qualcosa di divertente o interessante per la sua rubrica pubblicata da un quotidiano di Istanbul. Insomma una specie di blogger.
Ma il bello è che tutta la vicenda ruota attorno all'hurufismo, eresia islamica realmente esistita e sorta a partire dal XIV secolo, secondo la quale Dio si manifesta soltanto attraverso le lettere e la parola scritta. Quindi Dio è i libri, Dio è tutto ciò che è scritto (perciò anche i blog, aggiungo io).
Il nostro rubrichista scompare misteriosamente in una città enigmatica e indecifrabile come solo Istanbul sa essere.
Un giallo denso di riferimenti a letterature sconosciute o la versione moderna de Le Mille e una Notte? Le allusioni alla toponomastica di Istanbul potrebbero rappresentare l'unico problema del lettore, chi non c'è mai stato rischia di avere difficoltà e perdersi a sua volta. Casomai, compratevi una mappa.
PersonalitàConfusa




Contributo inviato da Massimiliano
Accade a volte che una persona amica ci consigli di leggere un certo libro, il quale però non corrisponde ai nostri gusti e ai nostri interessi letterari. Beh, un piccolo salto nel buio può riservare sorprese.
La mia professoressa di italiano al liceo aveva una tale fissazione per Gadda da citarlo nei suoi tentativi di battute umoristiche, e da azzardare paragoni con tutti i più grandi scrittori degli ultimi due secoli (quelli del programma ministeriale, insomma). La mia curiosità è cresciuta negli anni, fino a spingermi a leggere Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (Garzanti). Una rapina ed un omicidio nella Roma fascista attivano le indagini di Ciccio Ingravallo e della sua squadra, secondo lo schema del romanzo poliziesco - atipico, poiché non si giunge ad individuare un colpevole. L'ambiente medioborghese delle vittime viene indagato su due piani diversi: dai personaggi, per la risoluzione del caso; dall'autore, per scoprirne il lato oscuro sotto il velo della ricchezza. e quando l'attenzione di don Ciccio si sposta tra il popolo della periferia urbana e rurale, è il mondo contadino ad essere sotto l'obbiettivo morale di Gadda: ma non se ne trae un quadro edificante, la società appare corrotta in tutti i ceti. Un romanzo senza risposte, il cui intreccio si "sfalda" (espressione di Zu) nella seconda metà, e il cui aspetto più singolare è forse la lingua: Gadda sciacqua i suoi panni nel Tevere, cercando di attribuire ai personaggi un lessico realistico, e perciò fortemente romanesco: una difficoltà in più nella lettura.
Altro recente salto nel buio è La cerimonia del massaggio di Alan Bennett (Adelphi, traduzione di Giulia Arborio Mella e Marco Rossari). Non è stato difficile trovare il libriccino tutto fucsia consigliato da Ilenia di Parigi Cannes; non è stato neppure difficile leggerlo, tutto in due brevi fiati (poco meno di un centinaio di pagine). Un massaggiatore morto misteriosamente in una sperduta località del sudamerica viene commemorato a Londra da amici e clienti - il solito jet set - e la cerimonia si trasforma in una farsa: Quattro matrimoni e un funerale ne è un buon omologo, ma ahimè, a differenza del classico film, non sono riuscito a trovare nel libriccino tutto fucsia elementi di travolgente divertimento. La cerimonia del massaggio ha invece il pregio (non richiesto) di essere estremamente reale, ahinoi, nello svelare egoismo e ipocrisia, pur partendo da una situazione inconsueta che al contrario dovrebbe esaltare i buoni sentimenti. è inquietante persino l'ambiguità - non sessuale, ma di comportamento - del prete protagonista, tale da conformarlo ai celebranti e favorire in simpatia il suo petulante superiore, osservatore impietoso della vicenda. Però un libro fucsia mi mancava.
Chissà, probabilmente devo ricalibrare il mio umorismo... sono tarato sul classicissimo Tre Uomini in Barca di Jerome (tradotto da Alberto Tedeschi)... consigliato ;D
Massimiliano




2.12.02
Segnalazione inviata da Mariemarion
Poi mi vengono in mente i libri di Rudolph Steiner, filosofo dello Spiritualismo, veggente vero che gnìtanto se n'andava affà nviaggetto nell'aldilà per raccontarlo ai contemporanei senza svelare ch'era un veggente. Steiner supera razionalmente e scentificamente il problema della Morte raccontando verosimilmente il Kalakoma e la disconnessione tra i vari stadi del corpo (fisico, eterico, astrale) in un viaggio che trascina magicamente verso la teoria della reincarnazione che sotto i suoi occhi si fa scienza esatta. Come scienza esatta sono le Dimensioni Parallele all'interno delle quali si muove il nostro Spirito, Dimensioni la cui esistenza è scientificamente dimostrata, scusate s'è poco. non dall'ultimo paragnosta paraculo CavaSoldi ma dalla Fisica dei Quanti di Albert Einstein.
Un titoletto "gentile" tanto per cominciare il viaggio che affascina e non smette più di attrarre: Le manifestazioni del Karma, R. Steiner, Editrice Antroposofica, Milano.
Achtung! sconsigliato ai Materialisti d'accatto che vanno in giro a dire: na vorta che sei morto diventi terra pe ceci. Spero che sulle loro spoglie crescano presto ceci a tonnellate a sfamare i poveri del pianeta.
BeaMarieMarion




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