Letture e riletture


28.4.03
Contributo inviato da Carlo Annese
Sto leggendo Il libraio di Kabul, edito da Sonzogno e promosso in questi giorni dalla libreria Archivi del Novecento di Milano. Scritto in uno stile a metà fra il narrativo e il giornalistico da un'inviata norvegese, è uno spaccato di vita reale dell'Afghanistan del dopo-guerra. Åsne Seierstad ha vissuto per sei mesi con la famiglia di Sultan Khan, libraio in Kabul, e ne ha descritto i tormenti, gli scontri, la sopravvivenza quotidiana, i pasti con le mani, i viaggi su strade che costeggiano le mine, la mancanza di prospettiva. Con un'indulgenza speciale nei confronti delle donne, vere e proprie serve (in senso mentale e materiale) di una società virilista, anche al di là degli obblighi religiosi imposti dai talebani prima che venissero sollevati dagli americani e dalle milizie di Massud.
Scrive Seierstad a proposito della sorella minore del libraio, costretta a occuparsi di tutta la famiglia allargata (due mogli di Sultan, i numerosi figli, i suoi fratelli e perfino alcuni nipoti), subendo angherie psicologiche di ogni genere dai membri maschi e continuando a vivere dietro la grata di un burka:
I talebani se ne sono andati, ma non dalla testa (di Leila). Le donne di Mikrorayan sono felici che l'epoca dei talebani sia finita; possono ascoltare musica, ballare, smaltarsi le unghie dei piedi: fin tanto che nessuno le può vedere e loro possono nascondersi sotto il protettivo burka. Leila è una vera figlia del governo civile, del governo dei mullah e dei talebani. Una figlia del terrore. Dentro di sé piange. Il tentativo di evadere, essere autonoma, imparare qualcosa è fallito. Per cinque anni alle ragazze è stato proibito di andare a scuola. Adesso che è permesso, è lei stessa a proibirselo.
Carlo




27.4.03
Considerazioni inviate da Auro (in risposta ad Ale)
Pinketts è fondamentalmente una persona egocentrica, lo dimostrano i suoi libri. Niente da dire. In tutti i sette libri della sua trilogia (cfr. la sua ultima fatica Nonostante Clizia, appena uscito edito da Mondadori, collana Oscar) parla di sé, cambiandosi nome, ma non contesto: parla di sé (non stento a crederci), della sua Milano e della sua zona.
Non posso dire di amare moltissimo i libri di Pinketts, ma posso affermare di amare alla follia Pinketts che scrive di Lazzaro Santandrea. Lo amo perché non tradisce mai. Una delle cose piu' difficili per chi scrive "romanzi seriali" è "tenere il personaggio" e Pinketts con Lazzaro ci riesce benissimo, adottando uno stratagemma subdolo, infallibile, a dir poco banale: Lazzaro è lui. Non può non tenerlo, non può cadere in contraddizione, non può tradire le aspettative del lettore. Ci succede con Montalbano, ci è successo con Hector di Taibo, anche con la trilogia dedicata a LA di Ellroy. Leggendolo ci siamo sentiti a casa. E cosa importa se poi lo scrittore è arrogante, presuntuoso e egotico...
Auro




25.4.03
Impressioni inviate da AleRooTs
Fuggevole turchese è un titolo che mi piace molto. L'azzurro è il mio colore preferito, e il turchese non è molto diverso dall'azzurro. E fuggevole è un bell'aggettivo, esprime bene la natura delle cose, che ti passano davanti senza che tu possa afferrarle. E poi Andrea G. Pinketts mi attirava da un po', su di lui è stato detto tutto e il contrario di tutto, urgeva una verifica soggettiva. Il primo passo da fare, nel giro delle prime venti pagine, è convincersi che non sono solo un mucchio di stronzate. Il secondo, da sbrigare nell'arco di una cinquantina di pagine, è togliersi dalla testa l'idea di trovarsi di fronte a un capolavoro dell'ermetismo post-impressionista. A questo punto si può cominciare a leggere.
Scrivere è scultura per Pinketts, le parole sono la sua materia prima, e di sicuro con le parole ci sa fare, ci gioca, le lega, le scioglie, ogni capoverso vibra del suo timbro inconfondibile. E poi dipinge, ritratti su ritratti di una Milano vissuta e attuale, verosimile per quanto improbabile. La storia è solo un accessorio, onirica quanto basta per non stonare con l'atmosfera, senza essenza se non quella di fornire un minimo supporto ai ricami stilistici che vezzano ogni riga. Le promesse della copertina sono mantenute... il turchese fa capolino, riesce a affascinare con le sue fugaci apparizioni, ma alla fine sfugge via, senza farsi afferrare scompare alla vista, come l'idea di aver letto un libro indimenticabile.
Ale




22.4.03
Contributo inviato da Massimo Morelli
Ho finito Porno, di Irvine Welsh, che per chi non lo sapesse è l'autore di Trainspotting.
Non so perché mi piacciono i suoi libri, pieni di violenza, di droga, di sesso sbagliato. In più sono chiaramente stravolti dalla traduzione, che deve per forza inventare un gergo sostitutivo di quello dei bassifondi di Edimburgo. Ho provato a leggerne uno in inglese ma nisba, non capivo una cippa. Il traduttore comunque si è fatto un culo così e il gergo suona artificiale solo a tratti.
Dicevo che non so perché mi piacciono, ma li divoro. Mi piacciono i cattivi (in questo libro Sick Boy è mondiale), mi piacciono le amicizie nate all'asilo e che oltrepassano anni e fusi orari, mi piacciono le atmosfere, sia pure affrontate attraverso la lente distorcente del gergo. Alcuni personaggi mi ricordano miei amici (anch'io ho amicizie cominciate da bambini, quando giocavamo a cerbottane correndo sulle impalcature al decimo piano di qualche cantiere del quartiere Fossolo, che veniva costruito allora) ma non dirò mai chi, nemmeno sotto tortura.
Nel libro Simon "Sick Boy" Williamson organizza un film porno utilizzando Terry Lawson (che conosciamo da Colla), la sua ragazza Nikki e altri personaggi della solita Leith. Sick Boy ("homo vomitus" come lo chiama Spud a un certo punto) è diventato un uomo d'affari. Lui è l'amministratore delegato di se stesso e tutto (rapporti umani, amici, amore) sono piegati al suo successo che non è più solo quello con le donne "a vent'anni con il fisico, a trenta con la personalità. A quaranta devi avere i soldi o essere famoso". È una caricatura (qualcuno direbbe una rappresentazione fedele) del capitalismo.
La violenza psicopatica di Frank Begbie è volutamente fastidiosa, le parti narrate da lui (il romanzo è diviso in capitoli narrati dai protagonisti in prima persona) sono sgradevolissime ("devi spaccargli la testa con la mazza da baseball mentre dorme" consiglia ad uno dei figli maltrattato dall'altro), ma Franco non è meno perdente di Spud, vittima di una adorazione della forza che mi ricorda il PNAC. Welsh inserisce anche qualche frecciata alla società post-thatcheriana e alla decadenza verso il consumismo della cultura popolare. Credo che sarebbe piaciuto al Pasolini delle lucciole.
Massimo Morelli




15.4.03
Recensione inviata da Franco Cuomo
Ho comprato Instant Love di Luca Bianchini. Premetto che ho 51 anni, sarei dunque per l’autore uno di quelli “sui cinquanta che non dovrebbe mai ubriacarsi”. L’ho comprato sulla spinta di una recensione apparsa sull’inserto D di La Repubblica: non mi fiderò mai più. È una sfilza di luoghi comuni: è mai possibile che questi 25-30 debbano essere tutti bellissimi, tutti con lavori più o meno interessanti/intellettuali, tutti che oscillano tra Calvin Klein, minimal chic e radical chic, tra una cucina giapponese e Whitney Houston o peggio Marya Carrey. Superato l’impatto ho detto OK! La solita copia di Easton Ellis all’italiana, che zuppa!!! Sono andato avanti ugualmente a fatica, stanco di zia Irvana assolutamente improbabile e inesistibile e un CarloG, che se gay – come si dice nella storia – avrebbe assunto nei confronti di Rocco atteggiamenti e giudizi diversi ma soprattutto avrebbe una vita meglio definita. E che tristezza gli incontri d’amore tra Rocco e Daniele, cosi banalmente cinematografici: la canotta che finisce nel sugo, le mutande sul televisore, Rocco che si siede sulle ginocchia di Daniele e lo bacia a lungo. Nooooo!!! È troppo!!!!! Io sono uno sui cinquanta, sono pure serenamente gay da sempre. Ma questa storia è fasulla, è una patacca. Mi auguro che non ne facciano un film: sarebbe un insopportabile remake di L’ultimo bacio, Commesse, e Friends condito di un buonismo stucchevole. Non è possibile che le cose più scemamente modaiole siano lo sfondo per costruire una poco credibile storia con MTV in sottofondo, col sottolineare per ogni scena lo sfondo musicale. Vorrei chiedere a questo 30enne o a questi 30enni: se vi sentite tutti così tremendamente cool perché continuate ad ascoltare musica fine ’70 e primi ’80 (cioè la mia)? Senza contare All my loving dei Beatles o You’re so Vain di Carly Simon, vale a dire la mia adolescenza. Se zia Irvana – che ha più o meno la mia età, avesse ascoltato quella musica, sarebbe meno scema e certamente più normativa di quello che appare: cioè una parodia di ragazzetta scema che cerca ancora l’amore e il sesso. Ma smettiamola con questi stereotipi!!!!! E all’autore vorrei dire che due uomini che si amano in quel modo, soprattutto con le implicazioni di Rocco, non lo scoprono di punto in bianco, ma lo sanno da sempre, né vanno a piazzare la lingua nelle orecchie di una qualsiasi ragazza conosciuta sul treno, come fa Rocco, quando porta per la prima volta Viola a cinema. Smettiamola con questa menata della bisessualità, che se c’è è assolutamente una forma di nuovo conformismo sessuale dei trentenni insicuri che hanno paura di parlare apertamente di omosessualità. Sulla quarta di copertina c’è scritto che l’autore vive e lavora a Torino e Instant Love è il suo primo romanzo. Io spero che non ne scriva più, se somigliano a questo o si sforzi di scriverne di migliori.
Franco Cuomo




Informazione inviata da Daniele Sepe
...avverti la valentina di Mattatoio numero 5 che esce a giorni...
(per Feltrinelli)
Daniele

Una conferma dunque alla voce già riferitaci da Auro. Zu



14.4.03
Recensione inviata da Sabina Moscatelli
Instant Love di Luca Bianchini - Mondadori
Giovedì sera alla Libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano ho incontrato Luca Bianchini, trentatreenne timido e spaurito, torinese, dagli occhi dolci, in occasione dell'incontro di presentazione del suo primo romanzo Instant Love. Confesso che non avrei mai comprato il libro (pregiudizio contro i titoli ad effetto e i gadget - in questo T-shirt - per chi li acquista) se non l'avessi sentito parlare.
Nonostante le sue quasi 400 pagine il romanzo si legge d'un fiato, grazie soprattutto ai tempi molto cinematografici (non per niente sono già stati ceduti i diritti per la realizzazione di un film). È la storia di una coppia di trentenni, affiatati, belli e alla moda (Viola e Daniele), nella quale entra Rocco, conosciuto casualmente durante un viaggio in treno. Se Rocco è inizialmente attratto da Viola, sarà invece - a sorpresa - con Daniele che sboccerà la storia d'amore, mandando a rotoli tutte le convinzioni che avevano sino a quel momento sorretto la vita del trio. Un triangolo molto complesso, mai volgare (e di questo occorre dare merito all'autore) in cui ognuno porta le proprie contraddizioni, le proprie nevrosi (il telefono che non squilla, i capelli torturati continuamente, le frasi fatte, i gesti meccanici e ripetuti inconsapevolmente). Accanto ai tre personaggi principali sfilano una serie di figure (CarloG, Rubens, la zia Irvana, Marina che di giorno lavora in banca e di sera fa la dj) complementari, che fanno compagnia al lettore e alle quali in fondo in fondo ci si affeziona. Nella scrittura predominano i dialoghi (quasi una sceneggiatura, appunto, cui ha collaborato Marco Ponti, regista e sceneggiatore di "Santa Maradona"): non mancano le battute ironiche e il romanzo si snoda con gusto e leggerezza. Personalmente ritengo che abbiamo già sentito quasi tutto sulla crisi d'identità dei trentenni, sulla loro immaturità e incapacità a scegliere la propria strada, perennemente indecisi tra il ruolo di figli e quello di coniugi, che hanno fretta di vivere (e il concetto di instant coffee si allarga sino a diventare istant love, l'amore consumato in fretta, prima che si raffreddi, prima che il tempo passi). Sostanzialmente il libro offre un'altra panoramica, magari più curiosa, in questo universo, senza mai però spiccare davvero il volo con spunti originali. Sa tutto di déjà-vu e il linguaggio, per quanto fedele trascrizione di quello che parliamo nelle nostre case con i nostri compagni e i nostri amici, non lascia filtrare lo stile vero dell'autore. Una curiosità: ciascun capitolo prende il titolo da una canzone famosa e dal suo cantante. Anche in questo caso si tratta di canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla vita di chi ha trenta-trentacinque anni e che regalano un sorriso al lettore (Ah questa, me l'ero scordata. Che bella che era!).
Sabina



9.4.03
Contributo inviato da Sabina Moscatelli
Idee su un libro di Erri De Luca che mi è piaciuto esageratamente. Forse lo rileggerò di già.
Ho letto nei giorni scorsi Tu, mio di Erri De Luca, pubblicato da Feltrinelli. Io amo molto la scrittura di De Luca, ma di questo libro amo persino il titolo, breve, intenso, che promette però al lettore l'incontro di due mondi: tu ed io.
La storia si svolge ad Ischia, durante l'estate, nella prima metà degli anni '50. La guerra è finita da poco ed è ancora negli occhi e nelle coscienze di tutti. Il protagonista, un giovanissimo adolescente (sedici anni "sul precipizio dei sentimenti"), incontra una giovane ragazza ebrea, Caia, scampata all'Olocausto, ed intreccerà con lei una storia misteriosa, un legame antico, che lo farà diventare uomo. Termina l'estate nel momento stesso in cui termina la sua stagione spensierata. Sullo sfondo il mare, un pescatore che ha combattuto suo malgrado (mi ha fatto pensare al Vecchio e il Mare di Hemingway, ma anche a mio nonno contadino, che aveva per ben tre volte dovuto abbandonare i suoi campi e i suoi bambini, per combattere guerre assurde in paesi lontani, così diversi dalle sue colline toscane).
L'ho trovato molto bello: un libro che si legge tutto d'un fiato (del resto le sue 114 pagine lo consentono), intimo, raccolto, dal linguaggio pulito e preciso (la voce narrante è il giovane adolescente). Non è un romanzo di formazione, ma la storia di noi tutti: di chi eravamo in quegli anni, di come eravamo, di come non siamo cambiati, dell'orrore di una guerra, di quello che racconteremo ai nostri figli, dei legami indissolubili che si creano con le persone che amiamo.
sabina




8.4.03
Recensione inviata da ranafatata
Il coraggio del pettirosso di Maurizio Maggiani
“Gran bella cosa l’amore: è l’unica vera sosta dal vivere che l’umanità conosce. È un attimo di pausa prezioso che ognuno può permettersi; chiunque tu sia, qualunque cosa tu faccia”.
Gran bella storia di un personaggio che racconta due storie, e le due storie si intrecciano e si arricchiscono a mano a mano che la narrazione procede.
Saverio, figlio di italiani stabilitisi dopo la guerra ad Alessandria d’Egitto, racconta la sua giovinezza a Ras El Tin (“il quartiere del porto e di tutti i transfughi del mondo”), racconta di ciò che fa da sfondo alla sua vita, degli amici del padre (scomparso in mare, un giorno, senza lasciare tracce, né “istruzioni per l’uso” della vita al suo unico figlio), dei suoi piccoli traffici, del suo vagabondare per il deserto, dell’incapacità di “trovare una strada”, della sua inquietudine. Fino ai due avvenimenti che faranno cambiare di rotta la sua vita: l’incontro, durante un brevissimo soggiorno in Italia, con Ungaretti (di cui ama quasi con vergogna le poesie, ma di cui diffida perché gira voce che abbia rinnegato l’anarchia e abbracciato il fascismo) e un incidente in mare che lo costringe a restare a lungo in clinica. Durante la convalescenza sogna una storia – notte dopo notte: una storia a puntate – che poi racconta per guarire (il potere terapeutico della scrittura…). Guarisce prima di aver finito di narrare la storia, e finisce il suo racconto solo per accontentare i suoi amici. E non deludere Fatiha, bel personaggio di palestinese terrorista-chirurgo-levatrice che mangia per due e fa sempre domande. E alla fine del suo racconto, benché non abbia trovato “lo slancio necessario per trovare il porto sepolto”, Saverio è cambiato, e gli sembra che “ogni cosa acquisti finalmente un suo senso”.
Il coraggio del pettirosso mi sembra, insomma, il racconto di una crescita, la riflessione sul potere terapeutico della scrittura, sul valore della poesia al di là delle ideologie, sull’importanza dell’amore come modo per riposarsi dalla vita. Le sensazioni che il mare dà a Saverio schizzano fuori dalla pagina, così come le descrizioni del deserto o dell’atmosfera di Alessandria o dei personaggi che affollano il libro. Così, “i fatti presi uno per uno non significano niente, è quando vanno a sedimentarsi dentro di noi che allora succede qualcosa che sfugge alla coscienza. Come la birra, ecco. La vita ci fermenta dentro; e con poco orzo e acqua fresca viene fuori uno schiumone che ti ubriaca”.
ranafatata




7.4.03
Recensione inviata da Filippo Grassi
Corpo a corpo di Iain Banks
Corpo a corpo è un romanzo scritto negli anni '80, ma pubblicato solo nel 2001 da Guanda. Un'ottima scelta, peraltro: Iain Banks ha giustamente attirato l'attenzione anche del pubblico italiano e si sta imponendo come un autore di primissimo piano. Banks, anglosassone, scrive spesso di fantascienza (nel qual caso aggiunge una M puntata al suo nome): per esempio Fanucci sta pubblicando le opere dell'importante Ciclo della Cultura. La sua produzione più mainstream, comunque, non rinuncia al fantastico, anzi: impugnandolo in modo consapevole (con echi di Giorgio Manganelli, Elia Spallanzani e Michael Ende, per citare qualche collega europeo), lo adotta come strumento per narrare eventi più reali del reale.
Corpo a corpo fa parte di questa categoria. Si tratta di un romanzo dominato dai sogni del protagonista - alcuni inventati, altri vissuti in modo quasi angoscioso. Essi si alternano ad alcuni flashback di vita reale, ma la domanda è quale dei due sia un sogno, o se non siano sogni entrambi... I richiami psicanalitici e surreali danno un senso di sottile inquietudine alla lettura, rendendola al contempo inevitabile (un po' come certi incubi dove contemporaneamente vogliamo e non vogliamo aprire una porta che ci terrorizza...). Svelare di più sulla trama sarebbe rovinare alcune gradevoli sorprese: basti sapere che leggere Corpo a corpo è un po' come vedere un film di David Lynch. I suoi fan non resteranno delusi.
Filippo Grassi




2.4.03
Contributo inviato da Massimiliano
Lapidario commento su L'elenco telefonico di Atlantide, presente sul comodino di molti blogger.
Nella recensione di Genna è stata esaurientemente esposta la trama: complessa ed originale, comprende divinità egiziane, nazisti, acque miracolose... il finale è invece confuso, la soluzione abbozzata brevemente. L'autore descrive bene lo sconvolgimento nella vita del cinico protagonista, ha intuizioni linguistiche geniali (ad esempio, una serie di tre "frasi fatte" in un discorso tra condomini), ma insiste su passioni personali (Guerre Stellari) e commette grossolane ingenuità (su tutte, la profezia post-eventum sull'11 settembre). Perciò credo che il romanzo di Avoledo sia stato sopravvalutato, nell'entusiasmo di aver scoperto una pur sempre ottima ed appassionante lettura d'evasione.
Massitwosteps




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