Letture e riletture


29.2.08
Recensione di Massimo Morelli
Le Ton Beau de Marot, di Douglas Hofstadter è un libro bellissimo. Difficile però anche descrivere di cosa parla.
La scusa è la traduzione di una piccola e graziosa poesia di Clemént Marot, un poeta francese del sedicesimo secolo. La poesia è tradotta decine di volte, in decine di varianti, in varie lingue e dà l'opportunità di parlare della traduzione, della poesia del linguaggio e del linguaggio della poesia. In pratica D. H. parla di quel che gli pare, compresa la scomparsa della moglie che amava tantissimo.
Tradurre è un'operazione tutt'altro che meccanica, come ben si sono accorti quelli che hanno tentato di realizzare strumenti per la sua automazione. Trasporre, trovare analogie, trovare cosa mantenere dello spirito originale quando ci si porta in un diverso schema di riferimento (un diverso linguaggio, una diversa cultura, un diverso tempo) rappresenta una delle attività che meglio definiscono l'intelligenza. Ma questa loffia descrizione non rende giustizia alle seicento pagine di questo libro affascinante, che è persino bello esteticamente, senza una parola fuori posto. Non so quale valore abbiano le ricerche di Hofstadter nel campo dell'AI, ma so che è uno scrittore eccezionale.
Questo libro non sarà mai tradotto, lo scrive lui stesso a pag. 450 e per tre motivi. Primo, il libro è pieno di giochi linguistici, spesso basati sulla traduzione da e verso l'inglese. Secondo, la spina dorsale del libro è composta da una settantina di traduzioni della poesia di Marot dal francese all'inglese, con varianti dal francese alla lingua x e di nuovo all'inglese. Terzo, è un libro fortemente autobiografico, basato sulle riflessioni linguistiche dell'autore. Quindi non lo leggerai mai in italiano, ma se sai l'inglese abbastanza bene, leggerlo è un piacere che non ti puoi negare. Il miglior libro del 2007 e anche del 2008.
Massimo Morelli



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