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14.12.07
Recensione inviata da Dario Arena V.M. 18 di Isabella Santacroce La Satancroce, semidea di nicchia della quale qualcuno sarà contento di far parte, il sottoscritto no, ha impostato una storia di perversioni a tinte forti, nei temi e nei personaggi. Percorre, maestra del travestitismo, i sentieri della degenerazione degli istinti mediante manifesti ragionati, ragionamenti scellerati e gotiche iniziative portati avanti dalla protagonista, giovane dominatrice in un collegio di educande in possesso di una mente e un corpo assatanati. Chissà quanto di sé ha profuso l'autrice nel quattordicenne personaggio. A cui fanno compagnia, peraltro, grottesche figure interpreti di scene perfettamente integrate dalla loro caricatura. Figure che non sembrano affatto fuori posto: il grottesco, infatti, non è forse una versione distorta, alle volte perversa della realtà? Singolare e immutabile dalla prima all'ultima pagina la struttura dei paragrafi: divisi da punti a capo, sono privi al loro interno di punti semplici. Altrettanto singolare la scelta di ripetere anche molte volte interi paragrafi o righe. Più che percosse alla pazienza di chi sta leggendo, li definirei briciole appiccicose ben integrate - ma in numero eccessivo - nelle perverse collosità di cui è intrisa la storia. Ipotizzo infatti che l'autrice abbia adottato nella prosa una scrittura barocca, pretenziosa d'eleganza e un po' stucchevole per rendere deglutibili i paragrafi più osceni: una scrittura neutrale non avrebbe probabilmente rappresentato adeguato corrispettivo alle azioni efferate compiute dalle protagoniste. Una scrittura al contrario eccessivamente aggressiva avrebbe definitivamente sprofondato negli inferi la lettura e reso difficile l'arrivo alle ultime righe. Nella maggioranza delle pagine la "morale" del lettore è oggetto di reiterate intimidazioni, per l'utilizzo di toni forti alternati ad alcune citazioni erudite, richiami classici ed egocentriche riflessioni religiose e sataniche: non si riesce, da ciò, a trarre una... morale. Ad ogni modo, se si è in possesso di un buon fegato, in entrambi i sensi metaforico e letterale del termine, meglio si possono assimilare le nefandezze raccontate nel romanzo, contro le quali si impatta in un continuo crescendo. Se proprio il lettore non reggesse il ritmo degli scontri, può essere utile un'azione interruttiva sotto forma di un'altra lettura o una sospensiva ossigenatoria di qualche giorno. Non è infatti un libro per tutti. Occorre, appunto, o un buon fegato o un minimo di preparazione mentale, mirata al superamento temporaneo, o all'aggiramento, di personali blocchi moralistici, pregiudizi sessuali e sovrastrutture culturali che potrebbero pregiudicare l'arrivo al finale, non proprio inatteso. Il blog dell'autrice contiene commenti che vanno dalle minacce di morte alla genuflessione eterna per lei: leggendo storie estreme come questa, è in effetti difficile darne giudizi intermedi. Target: gli amanti del genere, e i più scafati... La copertina è intrigante, la prosa è valida e coerente, l'intreccio inesistente. Dario Arena
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