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27.12.07
Recensione inviata da Carlo Giuseppe Diana John Maxwell Coetzee, Aspettando i barbari (traduzione di Maria Baiocchi) Un percorso nell'animo umano raccontato attraverso l'indagine introspettiva di un magistrato di un impero non meglio definito, funzionario di una tranquilla cittadina di frontiera. La vita è scombussolata all'improvviso dall'arrivo degli ispettori militari dalla "capitale". In verità epoca e localizzazione geografica dei luoghi sono intuibili, forse, appena accennate da indizi vaghi e indefiniti. Così come vaghi e indiziari restano gli argomenti a sostegno di un'imminente invasione che il popolo barbaro starebbe preparando a danno dell'Impero, tanto che sproporzionata appare subito la controffensiva militare messa in moto. Sperequazione che Coetzee sembra volere ben evidente per introdurre la sensazione del ridicolo dove fonda subito dopo impietosamente il tragico. Ed è proprio lì, sulla linea di confine che si attende il nemico, il barbaro devastatore della ordinata e ricca civiltà imperiale. Su quella linea si snoda l'intera vicenda: si torturano innocenti, perseguitano popolazioni nomadi e primitive famiglie di pescatori, nella insopportabile attesa del pericolo. Un'angoscia che si fa ragion di stato, propulsore emotivo che arma l'esercito anche a danno degli stessi sudditi, e realizza il calpestio tribale di quelle moderne leggi su cui la civiltà imperiale ha fondato la propria fierezza e l'orgogliosa distinzione dai popoli primitivi. Un'angoscia che azzera il tempo, livella civiltà e l'umanità torna alla condizione animale, allo statuto dell'istinto. Un libro sull'attesa del pericolo, scritto attorno alle sue conseguenze, alle paure, all'ansia di chi dovrà combattere un nemico, alla resistenza ostinata di fronte alle ragioni dell'Impero di chi non vede nemici, e alla preda inconsapevole che per nemico è scambiato, volutamente scambiato. L'attesa angosciosa del potere tanto simile a quella del suddito/funzionario che lo replica è così diversa da quella del cittadino che non perde nè lucidità nè dignità e paga sulla propria pelle le conseguenze d'una coerenza che appare più come l'ineluttabile che scelta morale. Anche qui Coetzee non manca di rapportarsi ai sentimenti umani della passione e dell'amore nel modo più vero. Essi non restano sospesi neppure dinanzi a una tragedia epocale. Il protagonista vive fino in fondo tutte le contraddizioni della situazione narrata. Egoismo e miseria del proprio sé si amalgamano alla compassione per la crudeltà che si consuma sull'altro, nella sua terra, e sopra il suo corpo. Un'esplosione di ribellione e di forza inattesa in lui risolte in resistenza ostinata davanti alla violenza gratuita fino a trasformarlo da funzionario dell'impero a martire, ma non a suddito. Molto riporta a L'uomo in rivolta di Albert Camus. Carlo Giuseppe Diana
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