Letture e riletture


14.8.06
Recensione inviata da Laura Caroniti
Seme di metallo, di Maurilio Barozzi
Un latrare alle stelle. Una storia raccontata su due binari, una voce che affila la Storia e le voci di un borgo a raccontare le storie in corollario, è questo lo scheletro di Seme di metallo (Curcu & Genovese), nuovo libro di Maurilio Barozzi dopo il buon esordio narrativo avuto con Spagna, edito per i tipi di Giunti.
Seme di metallo nasce come romanzo sulla storia dell'impianto della Montecatini a Mori, centro del Trentino situato tra il bosco e il fiume Adige, che da borgata agricola vede il suo passaggio a paese industriale, con gli effetti collaterali del cambiamento: dall'invidia del posto fisso, e remunerato più dell'andare a "giornata" nei campi, alle prime malattie che colpiscono indifferentemente uomini e animali.
La denuncia sociale, però, è solo un fil rouge che lega la vicenda della fabbrica di alluminio alla presenza e all'alternanza di uno straniero, Isidoro Cavada, che arriva a Mori in un giorno qualunque dopo la Grande Guerra. Un uomo di silenzio e al silenzio votato, corrotto solo dalle costellazioni cui parla.
Isolato e alienante, quello di Cavada è un personaggio in evoluzione, quasi un romanzo di maledizione in formazione, privo di contatti con gli altri paesani, mai scandito dalla partizione delle giornate comuni, è un cane sciolto, senza dio e devozione, un outsider toccato dal disprezzo del branco che al branco scaglierà i primi strali di una premonizione calcata di inferno.
Il "matto del fiume", come chiamano Cavada i paesani, solito vivere di espedienti e ai margini del resto, circondato dal timore che spesso si riserva all'incapacità di comprendere l'altro, un altro fuori schema, romperà gli argini del silenzio come il fiume che straripa con quella piena predetta dalle sue stesse parole e dette a dei ragazzini insieme alla minaccia di una costruzione che con sé porterà morte e dolore.
E nel momento in cui, nel 1928, dopo la piena dell'Adige, inizia l'insediamento della Montecatini, gli sconvolgimenti proseguono come in una catena di montaggio da fabbrica, mutando abitudini e aspettative negli abitanti del paese che inizieranno una feroce caccia all'uomo quando, in un giorno d'agosto, si troverà in uno stagno il cadavere di una ragazza...
Noir d'autore, con scrittura precisa e netta come il taglio di un bisturi, il romanzo di Barozzi mantiene un'andatura costante che per contrasto aumenta nel lettore un disagio che si fa asfissia, fino a un finale rocambolesco e nervoso, rapido e parzialmente atteso, che riprende la bellezza di certi passi messianici disseminati nel libro.
Da leggere. Non per avallare alcuna maledizione, non per credere alla verità di alcun seme di metallo che giustifichi dolore e abiezione. Da leggere per disertare un dubbio, non una realtà, noi lettori resi martiri dall'innocenza di un rosario di menzogne.
Laura Caroniti



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