Letture e riletture


18.8.06
Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose (traduzione di Chiara Gabutti)
Romanzo denso, in cui frase richiama immagine, immagine parola, parola frase, e ogni episodio ha lo spessore di una fisarmonica chiusa, per cui il racconto in qualsiasi punto potrebbe schiudersi quasi all'infinito. Vita sparsa a piene mani, senza indulgenze; e senza indulgere si succedono e s'intrecciano le descrizioni, mentre nell'occhio della mente si accendono riflessioni o dilemmi insolubili sulle dinamiche di interazione del vivere. Che è fatto di piccole cose. Che ospitano in sé le grandi.
Grande è la scrittura: sintetica ed efficace, unica e preziosa, spesso spiazzante, con le similitudini a sgranare una sorpresa dietro l'altra, con le metafore a rispecchiare la ricchezza di uno sguardo che sa cogliere l'essenza alla superficie, restituendo in parole il lirismo ruvido della materia.
L'intreccio procede per quadri dinamici pregnanti in sé, ma il cui senso si riempie grazie al comporsi del mosaico narrativo: così ciascuna vicenda assume significato a tutto tondo nella giustapposizione delle altre, come un dipinto medianico che prenda forma inaspettata a partire da un coacervo di macchie cromatiche.
Un libro da leggere; da leggere e rileggere. Non foss'altro perché alla rilettura si coglie il carattere di ouverture vera a propria del primo capitolo, che annuncia temi e toni dell'intera opera. Opera in cui a capitoli alternati (e poi a sequenze di capitoli) la narrazione procede partendo dal presente (per tuffarsi nella memoria viva come la carne) o dal passato (con puntate via via più esplicite a ciò che sarà dopo).
Ci sono libri che per essere apprezzati davvero vanno assaporati al momento giusto. Se non l'hai ancora letto, spero che quel momento venga presto anche per te.
Giulio Pianese, ovvero Zu



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