Letture e riletture


29.3.05
Recensione inviata da Davide L. Malesi
Leggete Estate, di René Frégni. È una storia d'amore e di morte e si può leggerla in un'ora circa, salvo poi tornarvi (io ho già deciso che vi tornerò). Non fatevi ingannare dall'etichetta in copertina: Noir. Ultimamente va assai di moda questa etichetta: e va bene, i libri bisogna pur venderli. Ma dire che Estate è soltanto un Noir è riduttivo, Estate è una storia d'amore e di morte (scusate se è poco). Storia d'amore e di morte con una bella sventagliata di ossessioni, angosce, tormenti, fallimenti, errori che saltano fuori, esplodono lungo il percorso, d'illusioni che si perdono lungo il percorso. Estate è, senza mezzi termini, un romanzo pieno di cose terribili. La protagonista femminile, Sylvia, a pagina 113 dice cose terribili. Vi strazieranno, quelle frasi lì, se avete mai amato in vita vostra. Qualunque sia il significato che date alla parola: amore. E il protagonista maschile, l'io narrante, a pagina 134 dice: "... il dolore non rende buoni. Le vittime di ieri sono spesso i mostri di oggi". Che a me sembra una cosa terribile. A voi, non so. Comunque.
L'azione si svolge nel sud della Francia. Forse per un che d'incalzante e di affannato nella narrazione, è come una folata di vento che trasporta polvere, miserie, la cenere delle nostre illusioni e pure qualche cosa d'imponderabile e prezioso, com'è il gesto - o il temperamento, o la necessità, o quel che vi pare - di essere pronti a tutto per amore. Pronti a tutto. Vorrei a questo punto precisare che Estate è, per i primi sei capitoli - fino a pagina 106 - un romanzo spaventosamente prevedibile. Sappiamo quel che accadrà perché ci sembra inevitabile, ci sembra già scritto. C'è un uomo, una donna, una scogliera (vi s'incontrano l'uomo e la donna), c'è un ristorante (dove lavora l'uomo, e dove l'uomo e la donna s'incontrano per la seconda volta, anzi è lei che viene a cercarlo quella seconda volta), c'è un'estate, c'è il viso della donna - "Avrei potuto dire che aveva tratti fini, regolari?... Erano sconcertanti. Mi respingevano e mi chiamavano. Mi sorridevano e mi insultavano...". C'è il corpo della donna - "... i suoi seni. Minuti, parevano anch'essi arroganti quanto gli occhi" -, c'è che la donna sta scrivendo un romanzo autobiografico, è una cattiva scrittrice, e come certe cattive scrittrici è tuttavia abile a trasformare in romanzo la vita sua e degli altri, se ci si mette d'impegno. C'è che la donna è bella, fin troppo (va detto che una donna difficilmente può trasformare in romanzo la vita degli altri, se non è molto bella). C'è poi un altro uomo. Un uomo, una donna, una scogliera, un ristorante che si chiama Le Petit Farci, l'estate, il viso della donna, il corpo di lei, un altro uomo, un brutto romanzo autobiografico - scritto dalla donna - che s'intitola Pasta al pomodoro. E un gran bel romanzo che s'intitola Estate.
Aggiungo per amor di completezza che se Estate è, per oltre cento pagine, un romanzo spaventosamente prevedibile, fa presto a cambiar registro. E a diventare un romanzo spaventosamente imprevedibile. Restandolo fino alla fine, da pagina 107 a 136. Poi: Estate è pure un romanzo spaventoso, tout court. O meglio, è un romanzo spaventoso anche prima di pagina 107. Ci sono dentro sentimenti, angosce, ossessioni, pensieri che fanno paura. E fa paura la freddezza con cui l'io narrante riesce a dirceli. Sapete, noi viviamo in un'età di piccole passioni e di piccoli sentimenti e di piccole vendette e di piccole miserie e di piccole morti. Queste cose - queste piccole cose - sono la vita, la nostra vita, e noi le accettiamo. E invece: la freddezza con cui l'io narrante mette in piazza, condivide con noi, le sue enormi passioni e i suoi feroci sentimenti e le sue turpi miserie e le sue tragiche morti, è a tratti disumana. O meglio: distante dall'umanità nostra. L'io narrante, nonché protagonista, di Estate appartiene evidentemente a un'umanità che contempla enormi passioni e feroci sentimenti e turpi miserie e tragiche morti (senza le morti, tecnicamente parlando, un romanzo d'amore e di morte non si può fare).
Le morti, in Estate, sono due. Una violenta, febbrile, scatenata, notturna. L'altra ancor più violenta, però calma, lenta, gentile, diurna. Poiché la seconda morte non è una morte fisica, la segnalo nel caso a qualcuno di voi sfuggisse: pagg. 131 e 132. Il dialogo nel giardino della clinica psichiatrica. Casomai non ve ne accorgeste subito, pensateci bene e converrete col sottoscritto che quel dialogo è, né più né meno, una morte. E che l'io narrante ci racconta quella morte, ch'è un po' anche la sua, con una freddezza disumana, o più precisamente distante dall'umanità nostra. Poi: la seconda morte ha anche il suo bravo funerale. Poiché è un funerale metaforico ve lo segnalo, nel caso a qualcuno di voi sfuggisse: pagg. 134 e 135. Il dialogo nel ristorante. Casomai non ve ne accorgeste subito, pensateci bene e converrete col sottoscritto che quel dialogo è, per come stanno le cose in Estate, un funerale. E che l'io narrante ci racconta quel funerale, ch'è un po' anche il suo, con una freddezza ch'è assai distante dall'umanità nostra. E per questo forse più umana. Forse si è più umani con enormi passioni e feroci sentimenti e turpi miserie e tragiche morti, che con modeste passioni e modesti sentimenti e insignificanti vendette e miserie dappoco e piccole morti. Mi fermo qui, sono al punto in cui rischio di diventare mistico e probabilmente non mi capireste, perché è sempre difficile entrare nel misticismo di qualcun altro. Leggete Estate, di René Frégni. Storia d'amore e di morte. E concludo: storia d'amore e di morte tradotta magistralmente da Claudia Zonghetti. Anche se l'autore è un uomo e l'io narrante è al maschile han fatto bene a farlo tradurre a una donna, questo libro, mi sa. Spesso le donne riescono a capirle meglio, certe cose.
davide l. malesi



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