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21.2.04
Recensione inviata da Francesca Baroni
Rifugiato in una piccola casa editrice lontano dai riflettori del grande mercato, rischia di passare inosservato questo libro – Cavaliere di Grazia di Franco Mimmi (Aliberti Editore) – che dovrebbe invece spiccare nel panorama italiano per la qualità della scrittura, per il rigore della ricostruzione storica, per la tesi che gli fa da fondamento e lo porta a valicare i confini del romanzo storico. Se si deve fare un accostamento, sarà dunque piuttosto alla Opera in nero della Yourcenar che ai prodotti di genere che stipano gli scaffali delle librerie. Il protagonista è Andrea di Monforte, cavaliere del cristianissimo Ordine di San Giovanni e di Gerusalemme (gli Ospitalieri, oggi Cavalieri di Malta), che fu espulso dall'Ordine, allora sovrano dell’isola di Rodi, per d'essersi innamorato d'una ragazza ebrea. Ma a quell’isola Andrea fa ritorno a metà del 1522, quando Solimano il Magnifico la cinge d’assedio perché i Cavalieri costituiscono una spina nel fianco dell’impero che sta costruendo. Rodi è allora assai più di un’isola: è un microcosmo ricco di passato, in cui alle storie degli antichi greci si mescolano quelle dei signori cristiani, degli ebrei fuggiti dalla Spagna, di egiziani copti, di mercanti veneziani, di schiavi turchi, mentre al di là delle mura poderose si mescolano nell’esercito assediante, uniti dal nome di Allah, i turchi e gli arabi, gli albanesi e gli armeni, i circassi e i macedoni, gli egiziani e i bulgari. Anche allora (come oggi), uno scontro di civiltà. Anche allora (come oggi), la lotta tra il Bene e il Male dove ognuna delle parti è convinta di rappresentare il Bene, e che sia possibile tracciare la linea divisoria a colpi di spada. Ma non così Andrea di Monforte. Via da Rodi, divenuto ambasciatore del re cattolico Ferdinando d’Aragona, la sua vita è trascorsa nella frequentazione di corti e sovrani ma anche, soprattutto, degli artisti e scienziati che stanno plasmando il Rinascimento. Andrea diviene così un ponte tra due epoche, l’uomo che rappresenta il passaggio a un nuovo mondo e che propizierà, con la sua influenza sul giovane cavaliere spagnolo Alfonso, la formazione dell’uomo di questo nuovo mondo. La vicenda avventurosa si trasforma così in un vivido affresco che descrive non solo una situazione storica ma ne dà una precisa lettura politica, che si proietta fino ai giorni nostri. Perché, come scrive l’autore nel commento che pone a chiusa del libro, "Quella di Rodi fu assai più che una grande battaglia: fu uno scontro tra civilizzazioni diverse che in realtà avevano in comune molte cose, tra cui, purtroppo, l’intolleranza reciproca. Sono trascorsi 500 anni, eppure, sia pur con qualche rovesciamento di fronte, la storia ci ripropone ancora oggi una situazione con quello stesso fattore comune: l’intolleranza". Francesca Baroni
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