Letture e riletture |
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15.11.03
Recensione inviata da Babsi Jones (di ex-ju e clorofilla)
Alessandro Marzo Magno, Il leone di Lissa - viaggio in Dalmazia Servono scrittori nomadi, dice il maestro Rumiz: servono scrittori viandanti che sappiano entrare nei soggetti che la realtà tiene a margine, che sappiano dedicare a questi margini il tempo delle parole, andarsi a cercare gli uni e le altre, le facce degli stranieri al confine ed i paragrafi lunghi. Servono scrittori nomadi, è così: non è un caso che il capolavoro concordemente riconosciuto della storia jugoslava, quel Black lamb and grey falcon di lady Rebecca West di cui ancora nessuno ha ancora tentato il reprise, sia proprio un diario di viaggio. Nella stesura della pagina e nel movimento della strada, della barca e della bicicletta c’è la stessa aspirazione al dubbio, la stessa volontà di scoperta. Viaggio e letteratura s’imbastardiscono a vicenda, in un intreccio di vocaboli e treni perduti, viaggio e letteratura hanno ritmo di virgole e ruote, bagaglio emotivo e fatica comune. Non è l’elogio della fuga celebrato da più di una generazione; è piuttosto il cammino ininterrotto del narratore che comprende d’essere il lontano figlio del figlio del figlio di quel rapsodo che a piedi percorreva le valli e le genti per cantar(n)e la storia. Il lapidario “dove andiamo non importa, ma dobbiamo andare” di Jack Kerouac sarebbe venuto a darne conferma un mucchio di secoli dopo. Servono scrittori nomadi, ed è interessante scoprire che Alessandro Marzo Magno del suo viaggio in Dalmazia ha fatto un racconto di gran classe, importante per stile e soggetto. La Dalmazia (chi s’è lasciato annegare nel brevijar di Matvejevic lo sa) è il nostro specchio smarrito; l’emisfero amputato d’un Mediterraneo che –ci siamo convinti- finisce con noi, presuntuosi che non ricordiamo d’essere generati dagli stessi leoni, delle stesse battaglie e delle stesse zuppe di pesce; stesse facce, stesse razze, tout court: solo l’altra costa, vicinissima. Ha scelto un soggetto importante e tosto, Marzo Magno: la Dalmazia che noi abbiamo scordato ma che non s’è scordata di noi, che conserva buona parte dei nostri segreti, delle nostre sciocchezze e, perché no, delle nostre bellezze. Sulle orme dell’abate Fortis (1741-1803) e del suo settecentesco Viaggio in Dalmazia, Marzo Magno ripercorre –con passione, umorismo ed un bel fagotto di cognizioni culturali, che non guastano affatto- un cammino fra le onde, le terre, le calli ed i fogli della storia e della storia dell’arte: più volte, leggendolo, mi sono ricordata di The stones of Venice, che fece la grandezza di Ruskin. Marzo Magno ha lo stesso occhio pronto, attento alle le piazze e alle trifore, ai pozzi ed alle minuzie –le maniglie, gli odori, le ombre, i mattoni- che trasformano un luogo qualsiasi in un luogo unico al mondo. È così che l’autore (che ha già nel suo curriculum un’opera di grande, differente valore come La guerra dei dieci anni) ci porta, con l’arguzia dello storico e l’estasi scanzonata del narratore, a scoprire il mare incrociato della ‘piccola capo Horn’ di Lussino, i mosaici nascosti nei cucinotti di Veglia, e di Veglia le lingue dimenticate; le scempiaggini fascistissime di Arbe –per i camerati dannunziani, l’Arbissima-, le saline lunari di Pago, il caravanserraglio di cestelli di lavatrice di stampo ‘Emir Kusturica’ che s’incontrano sul lago di Vrana, e poi bislunghe storie profumate di ginestra e lavanda, le ipotesi di Marco Polo, le bianche pietre di Brazza, le bombe cadute su Zara, i roghi inquisitori antichi e recenti di Spalato, i vampiri di Curzola, e gli austroungarici, i partigiani, i pirati, i morlacchi e i banditi. E poi i sapori dell’olio, dei formaggi e delle partenze, lo spavento delle guerre e la meraviglia del mare, l’ebbrezza del maraschino e l’ottusità dei governi –siano essi marinari, imperiali, socialisti, moderni. Il leone di Lissa è la lettura ideale per chi ha consumato la voglia di vivere, perché abbonda di scintille d’ingegno, di pensieri scattanti, di meraviglie impercettibili ma importantissime. Non ho bisogno d’aggiungere che è lettura perfetta anche per chi desideri conoscere il Mediterraneo –di cui dovremmo andar fieri e di cui saremmo, si spera, custodi ospitali- e la Croazia: quella delle origini e quella più attuale. L’autore, giornalista di Diario e veneziano (e si sente: i veneziani hanno un fiuto speciale per i dettagli preziosi), la racconta con la saggezza di chi è capace di coglierne le aspettative e le bellezze, ma anche i bisogni e le pecche. Ho già scritto, recensendo La guerra dei dieci anni, che di Alessandro Marzo Magno apprezzavo molto l’onestà, la capacità critica: non regala false lodi a nessuno. Lo conferma in questo Viaggio in Dalmazia. In aggiunta, però, ci sorprende con una narrativa itinerante, dolceamara, misurata, semplice quanto basta per godersela, raffinata quanto basta per lasciare una traccia. Dulcis in fundo, il dio della linguistica slava benedica coloro i quali hanno competenze di dizione, traduzione, glossari e fonetica serbocroata, e Marzo Magno è tra questi. babsi jones
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