Letture e riletture


15.11.07
Recensione inviata da Dario Arena
Michel Houellebecq, La possibilità di un'isola (traduzione di Fabrizio Ascari)
"Sparito il contatto, svanì anche il desiderio."

"Un calendario ristretto, punteggiato di episodi essenziali di grazia minuta [...] organizza la mia esistenza, la cui durata esatta è un parametro indifferente." Ancora: "Respingendo il paradigma incompleto della forma, aspiriamo a raggiungere l'universo delle potenzialità innumerevoli. Richiudendo la parentesi del divenire, siamo entrati fin d'ora in una condizione di stasi illimitata, indefinita."

"Ero consapevole però, e più che mai, che l'umanità non meritava di vivere, che la scomparsa della specie poteva essere considerata, sotto tutti i punti di vista, solo come una buona notizia."
Agghiacciante, aggiungo io.
"Mi resi allora conto che a poco a poco tagliavo i ponti con tutto; in quel mondo non c'era forse un posto adatto a me."
Metafora della frantumazione della speranza è quando Daniel 25 trova il frammento del simposio di Platone, si ricorda di come continua la parte mancante e la cita mentre il documento gli si sbriciola fra le mani.
"mi dirigevo verso un nulla semplice, una paura assenza di contenuto"
"[nel mondo] non vi vedevo ormai altro che un luogo spento, privo di potenzialità, da cui era assente ogni luce"
Abbiamo appena letto la testimonianza più lucida dell'assenza di speranza in una storia che riguarda l'uomo e l'umanità intera. Non aggiungerei altro, al riguardo.

Un altro dei temi di questo grande romanzo è la presenza della sofferenza contro il suo opposto, l'assenza di sofferenza.
La sofferenza patita da Daniel1 è la più velenosa tra quelle che possa subire un essere umano. La sofferenza assoluta è conseguenza di un dolore assoluto autogenerato – la consapevolezza di un tumore - o sorto per causa d'altri in se stesso - la morte di un familiare caro. È un dolore-sofferenza assoluto, dai contorni netti, privo di sfumature, senza compromessi, di cui dobbiamo farci carico – con o senza speranza, ma sulla speranza abbiamo già sentenziato – e che abbiamo facoltà di comunicare agli altri attraverso l'esternazione dell'afflizione e l'immagine del nostro patimento.
Il tessuto della sofferenza di Daniel è invece intriso di veleno dispensato dall'universo femminile, l'unico in grado di generare vita o morte, amore e indifferenza, passione e dolore. È un tormento collegato alla passione, mescolata a tante altre sensazioni ambigue, interlocutorie, composte d'opposti. Il protagonista è vincolato a questa sofferenza contenente numerosi elementi contradditori, più quello relazionale alla sua età. Si aggrappa alla sua amante più giovane per iniettarsi quella fiducia nella vita che avverte di essere sul punto di perdere poco a poco. Ella poi si indirizza verso altre esperienze, si sottrae a lui, l'effetto dell'eroina nel cervello di Daniel svanisce, Daniel accusa la differenza e si svuota.
Per placare la propria astinenza – c'è anche chi nella storia la propria astinenza non la placa continuando a farsi davvero, di morfina, è una conoscente del protagonista intrisa di noia, poi trasformatasi in morte - decide di delegare il proseguimento della propria vita al suo clone, offrendo alla specie umana la possibilità di mantenersi in essere in un'isola. Un'isola ove, come scrive Houellebecq, "sparito il contatto svanì anche il desiderio". Ove egli, scegliendo di morire, ha scelto anche di presenziarvi, contraddistinto da un numero privo di sentimenti, anzi impersonificato in esso. L'isola del titolo a mio avviso è rappresentata dagli appartamenti in cui sopravvivono i cloni.

È un libro di opposizioni, di opposte fazioni. A partire dalle contrapposizioni: futuro vuoto vs. montagna [piena], sogni e presenze emotive vs. vita reale, ero vs. non ero più. Il neo-umano e i selvaggi. Terra secca contro cielo riarso. La selvaggia che gli si offre putrida contro la sua Esther profumata che è fuggita da lui. Il mondo come lo conosciamo contro il mondo dopo la prima e la seconda Diminuzione. E ancora la frase finale, già contraddittoria fra i suoi componenti, nel suo insieme ancora contraddice il finale di Daniel25, lo spegnimento infinito, il decadimento solitario, l'attesa fine a se stessa: cioè il nulla. E infine l'amore ossessivo di Daniel e il suo riscontro opposto nell'indifferenza velenosa di Esther.
Uno di quei libri che scuote dentro, che lascia profonda traccia emozionale dentro ciascuno di noi, che in qualche modo si ama di forza. Uno di quei romanzi che dovrebbero essere letti tre-quattro volte. Anzi, dovrebbero essere studiati.
Dario Arena



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