Letture e riletture |
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27.10.07
Recensione inviata da Carlo Peter Cameron, Quella sera dorata (traduzione di Alberto Rossatti) Tra gli acquisti recenti, proprio da Quella sera dorata mi aspettavo molto, vuoi per le cose lette e sentite in giro sul romanzo e Cameron in genere, vuoi per un bel soggetto che, a poche ore dalla lettura, è tutto quel che mi resta. Non fosse carta stampata, verrebbe quasi da sperare in un remake. Omar Razaghi, iraniano cresciuto a Toronto, è un dottorando all'Università del Kansas, che grazie a una borsa di studio lavora alla biografia di Jules Gund, semisconosciuto autore de "La gondola" e morto suicida. Manca solo quel consenso alla pubblicazione che gli esecutori testamentari hanno già negato, portando a un bivio la sua intera carriera: spinto da Deirdre, compagna che ben compensa la sua carenza di ambizioni, Omar parte per l'Uruguay nella speranza di convincere gli eredi. Ciò che trova è forse la ragione stessa della reticenza, una famiglia forzosamente allargata, in declino come i possedimenti e la fortuna dei Gund. Caroline, Arden e Porzia (moglie, amante e figlia dello scrittore), dividono la villa che fu di Jules, poco distante dall'altra logora tenuta che ospita Adam (l'anziano fratello di Jules) e il giovane compagno Pete. Il suo arrivo inaspettato convoglia su Omar le ruggini silenziose che serpeggiano in quel perpetuo meriggiare pallido e assorto, fino a spostare l'accento su questioni che col vecchio Gund hanno ormai poco a che fare. Gran soggetto, dicevo, ma non si va molto più in là. I dialoghi spesso velleitari e stereotipati non aiutano, ma passerebbero in sordina se solo negli altri comparti Quella sera dorata funzionasse come avrebbe potuto; del resto sono tanti i canali aperti e mai percorsi appieno, dall'emigrazione che fiorisce nel melting pot di Ochos Rios - i Gund fuggiti dalla Germania, le origini orientali di Omar, quelle americane di Caroline o thailandesi di Pete, gli amici italiani... - alla memoria, la famiglia (o le famiglie possibli), al feticcio dell'intimità altrui: luce dorata e polvere sono quanto concesso alla bella cornice uruguagia, così come la penna di Cameron s'accontenta di abbozzare i pur pochi personaggi (fatto salvo Adam, gay dandy e attempato, sagace, snob, logorroico e troppo aderente a un prevedibile cliché), affannati in una spola tra antiche paralisi e brusche epifanie mai abbastanza argomentate. Carlo (Lo Scaffale)
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