Letture e riletture |
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Questo è uno spazio pensato per chi dopo ogni lettura desidera condividere le proprie
impressioni o le proprie emozioni. |
3.4.07
Recensione inviata da Silvia (Phoebe) Ci sono libri che inizi a leggere così, per sfida. Giusto perché intorno a te c'è chi lo ha amato alla follia e chi non lo userebbe nemmeno come fermo per una porta che sbatte. Insomma, tutti intorno a te ne parlano e tu non hai una idea tua. Che altro si può fare se non leggerlo? Proprio io che mi vanto di capirne di libri... potevo tirarmi indietro così? Inevitabile. Con timore, forse. Con zero aspettative, a dire il vero. Sicura e certa di trovare la solita boiata finto intellettuale che spesso si cela dietro un libro di un autore italiano cosiddetto giovane, ma già osannato dalla critica e benedetto dalle vendite. È così che ho iniziato a leggere Caos calmo di Sandro Veronesi. Ed è così che dentro ci ho trovato molto di più. Il protagonista è Pietro, rampante manager di una pay tv, che in una domenica d'agosto salva la vita, insieme a suo fratello Carlo, a due donne che stanno per affogare. Contemporaneamente la sua compagna, Lara, muore all'improvviso nella loro casa al mare, unica testimone la figlia di 10 anni, Claudia. La sua vita cambia dal quel giorno in modo radicale, cercando attimo dopo attimo di ritardare il momento in cui l'ondata del dolore per la perdita subita lo travolgerà. Per il bene della figlia, si dice lui. Il bene della piccola, saggia e riflessiva Claudia, che come tutti i bambini del mondo, nonostante i genitori non lo sappiano, sanno vedere molto più in là e capire il mondo e le emozioni di quello che il mondo degli adulti pensa. Per uno strano gioco, il primo giorno di scuola promette che si fermerà fuori ad aspettarla. Lì. Tutto il tempo lì. Per il bene di Claudia. Prima fuori dalla macchina, approfittando di un autunno che non vuole arrivare e di una estate che non vuol saperne di finire. Poi, in inverno, in macchina. Ad aspettare un cenno della figlia alla finestra. A osservare una varia umanità che prima non aveva nemmeno notato, preso dalla folle corsa che è la vita quotidiana: la madre che porta a fare terapia il figlio down, la ragazza col cane, il vigile, le maestre, la cognata, il vicino di casa. Un mondo sconosciuto che tenta di convivere con il dolore di Pietro. Dolore che però non arriva. E proprio lì, Pietro riceve colleghi, superiori e amici. Fuori dalla scuola rilegge la sua relazione con Lara, ripensa a lei, cerca di entrarne in contatto telepatico attraverso la musica, riesamina i rapporti professionali sconvolti anch'essi da una fusione industriale, da licenziamenti e dimissioni, da promesse di promozione (rifiutate) e da confidenze di uomini potenti. La sua postazione fuori da scuola diventa un confessionale dove venire ad ammettere le proprie colpe e a manifestare le proprie lacrime, come se il dolore inespresso e mascherato del protagonista fosse in grado di dare comprensione a tutti. Perché caos calmo è proprio questo: il momento di attesa in cui si aspetta l'ondata di dolore che di sicuro ci sommergerà sopraffacendo la razionalità che tanto il nostro secolo decanta. È il rimandare il momento della presa di coscienza che quella persona, sì proprio quella che amiamo così tanto, non c'è più e non tornerà. Caos calmo vuol dire vivere nel limbo, andare avanti e allo stesso modo rifiutarsi di farlo. Posporre. Sensazione che ho chiara in mente, in cui sono maestra. Ritardare il dolore. Ignorarlo. Raccontarmi un'altra storia con un finale diverso. Ed è inutile, perché senza affrontare il dolore, esso non passerà. Non smetterà di inseguirci. Ma il libro di Veronesi non è solo questo: è una piccola perla di sensibilità. L'autore con estrema leggerezza narrativa disegna immagini e sensazioni, racconta piccole storie e grandi emozioni che portano alla crescita e all'evoluzione del protagonista. Non posso affermare che si tratti di un capolavoro, ma è comunque uno di quei libri che fanno riflettere sulla propria vita e creano spunti di riflessione. E questo non è certo poco, vista l’aridità che c'è in giro per il panorama letterario. Se c'è un appunto che si può fare a questo libro, è la mancanza di un ritmo che incalzi il lettore. Lo scrittore, infatti, si lascia spesso andare in lunghe divagazioni narrative che però, secondo me, sono la vera forza del libro. Ne fanno un piccolo affresco della vita di oggi, che spesso ci scivola addosso senza che l'80% delle cose che viviamo, vediamo, incontriamo ci tocchino. Anzi, senza che nemmeno le notiamo. È, come ho detto all'inizio, un libro assai controverso. O lo si ama, o lo si odia. Ma non credo, come è stato detto in una recensione non mi ricordo da chi o dove letta, che questo sia un libro solo per chi ha un QI molto elevato, un libro non per tutti. Penso che, come tutti i libri, debba essere letto nel periodo giusto della propria vita per essere capito davvero e che bisogna essere dotati di una sensibilità particolare per innamorarsene. La fine del libro porta con sé una morale notevole: spesso, anzi sempre, crediamo di fare le cose per il bene degli altri. E invece, senza accorgercene, le facciamo per il nostro. Non per utilitarismo, ma semplicemente per spirito di conservazione che contraddistingue gli uomini. Involontariamente, senza nessuno spirito egoistico, non per tornaconto. Solo per proteggerci. Ma non si può. Il dolore è come una pantera che ti segue nell'ombra. Paziente aspetta, non ha fretta. E quando pensi che sia troppo tardi, che oramai sia passata, di averla infine sfangata, ti salta alla gola. E allora, tanto vale affrontare le cose a viso scoperto. Fosse facile... Silvia (La stanza di Phoebe)
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