Letture e riletture |
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impressioni o le proprie emozioni. |
4.10.06
Recensione inviata da Carlo David Foster Wallace, Consider the Lobster and Other Essays (edizione italiana, nella traduzione di Adelaide Cioni e Matteo Colombo: Considera l'aragosta) La subdola abilità con cui riesce a farti ingollare saggi chilometrici su chissà quali argomenti è perfino sinistra (qualità che lo espone a quelle derive di "omnipubblicabilità" che infestano la produzione di illustri colleghi, e le cui avvisaglie - ora lo dico - emergono qua e là anche in questo libro). So bene che se c'è un autore che può generare (e genera) fideismo il suo nome è Wallace, ma non è questo il caso: una lucida percezione dell'impietoso rapporto VitaMedia/LibriDaLeggere mi consente di liquidare senza remore una lettura sgradita; al limite mi fido di una penna familiare, questo sì. Così, io che ignoro (e mi disinteresso di, risoluto a persistere nella lacuna) qualsiasi nozione appena afferente al tennis, ho gradito diversi passaggi di Roger Federer as Religious Experience (ammetto di barare un po', qui: l'articolo copre, col pretesto del tennis, dinamiche applicabili a ogni sport). Allo stesso modo, ho apprezzato (con variabile trasporto, metto le mani avanti) i saggi di Consider the Lobster and Other Essays, sui cui soggetti non sempre avrei scommesso; è che quando scopri di cosa si tratta, ti sei sei già infilato fra le pieghe di quella prosa ricca e articolata, fatta di note e subordinate interminabili, sigle, dettagli tecnici pynchoniani, neologismi, rigore e licenze che trovi indistintamente in narrativa e non-fiction di DFW. Alla fine sta qui il punto: la curiosità quasi infantile (sia che nasca spontaneamente o sia indotta da una richiesta editoriale), la contagiosa avidità per l'approfondimento - una specie di reverse-engineering del Mondo - veicolate dalla passione per lo strumento linguistico, conferiscono ai saggi di Wallace gli stessi caratteri che te ne fanno amare la fiction. 1. Succede per Big Red Son che, dopo un breve resoconto statistico sulle auto-mutilazioni dei maschi americani, traccia un ritratto agrodolce (il bilancio è decisamente tragico, per la verità) dell'industria dell'entertainment per adulti, osservata dall'interno, in occasione degli AVN (Adult Video News) Awards (la consueta attenzione per i dettagli tecnici e la scientifica freddezza con cui se ne dà conto risultano spesso, dato il tema, in momenti esilaranti: vedere il glossario dei termini usati sul set); 2. Certainly the End of Something or Other... parte dai cosiddetti GMNs, Great Male Narcissists (Mailer, Roth e - soprattutto - Updike, il cui romanzo Towards the End of Time è alla base del saggio), per esaminare il rapporto tra diverse generazioni di autori e rispettivo pubblico: i giovani degli anni sessanta/settanta, allevati nel conformismo, per i quali le trasgressioni updikiane rappresentavano un modello di emancipazione e individualismo al quale ambire, e quelli cresciuti negli anni '90, vittime dell'impatto di quella stessa libertà sulla famiglia; 3. Some Remarks on Kafka's Funniness... è un breve trattato sulla trascurata (i giovani americani ne sarebbero perfino vaccinati) funniness (mi azzardo a tradurla in "comicità") kafkiana, radicata nell'onirico potere evocativo e - specialmente - nella letteralizzazione di concetti che abitualmente affrontiamo in chiave metaforica (in questo senso, il Bombardini de La Scopa del Sistema - avido e deciso a mangiare ed espandersi fino a occupare l'intero Universo - mi sembra il frutto di un simile esercizio); 4. Authority and American Usage prende a pretesto la recensione di A Dictionary of Modern American Usage di Bryan A. Garner, per ragionare attorno all'evoluzione della lingua americana, qui Standard White English (contaminata dagli infiniti dialetti) e del suo impiego, con le implicazioni filosofiche e ideologiche che scaturiscono dallo scontro fra Descrittivismo e Prescrittivismo. Tutto dalla non scontata prospettiva di uno SNOOT (acronimo usato dalla famiglia Wallace per designare il Grammar Nazi); 5. in The View From Mrs. Thompson's, Wallace racconta il suo 11 Settembre a Bloomington, filtrato dal teleschermo di un'anziana signora; 6. How Tracy Austin Broke My Heart si lega in qualche modo al saggio su Federer, non solo perché tratta di tennis (ancora una recensione, questa volta un'autobiografia), ma soprattutto perché mostra il ramo discendente di quella parabola che è la carriera di un campione, la metà umana del semidio ritratto nell'agiografia apparsa sul NY Times: il genio sportivo, puro istinto, cieco e quasi soprannaturale, che si scontra con una fallibilità tutta umana; 7. Up, Simba è la (lunga) cronaca di un viaggio al seguito del Senatore ed eroe del Vietnam McCain, durante la campagna elettorale per il 2000. Ancora una volta, l'esasperata attenzione ai dietro le quinte ben rappresenta le dinamiche che reggono campagna e politica in genere, responsabili, si ipotizza, della distanza che separa nuove generazioni e res publica (i toni chiaroscurali che ritraggono il Candidato sono emblematici di questa diffidenza); 8. il "title-track", Consider The Lobster, è un articolo sul Maine Lobster Festival, scritto per Gourmet, che presto volge in trattato etico-neurologico sulla condizione dell'aragosta, immersa - secondo ricetta - ancora viva nell'acqua bollente (o soppressa secondo metodi alternativi), e sulla di lei capacità (fisiologica, prima che filosofica) di provare dolore: crudo, tecnico ed equilibrato, non mancherà di generare empatia fra il lettore e il pregiato crostaceo. Ad ogni modo, ho sempre preferito l'astice; 9. Joseph Frank's Dostoevsky raccoglie alcune riflessioni su FMD, dall'etica e le questioni morali, alla caratterizzazione dei personaggi, a partire dalla biografia a cura di Joseph Frank. Confesso che avrei voluto leggere qualche riga in più - come mi sarei aspettato - su alcuni dei tanti punti lambiti in poche pagine: la sensazione finale non è quella beata sazietà offerta da altri pezzi della raccolta; 10. Host è il più lungo fra i saggi, dedicato al mondo dell'editoria radiofonica e dei talk-show, qui rappresentato da John Ziegler, speaker conservatore della KFI. Il sistema gerarchico di digressioni e commenti fatto di frecce e caselle (che letteralmente fagocita il resto) tiene traccia del torrenziale flusso di idee, ma è una delle più snervanti prove di resistenza cui sottoporre un lettore (credo che in origine le note - qui ridotte a un diagramma in bianco e nero - fossero colorate in funzione del ruolo nel pezzo). Non so se attribuire al layout l'impressione (non comune, in CTL e Wallace in genere) di avere per le mani qualcosa di (molto) meno dell'alchimia perfetta fra fiction e saggistica raggiunta in altre occasioni, o se in Host, Wallace stesso - soluzioni tipografiche a parte - non fosse poi così ispirato. Carlo (Lo Scaffale)
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