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30.9.06
Recensione inviata da Matteo Ferrario James G. Ballard, L'isola di cemento (traduzione di Massimo Bocchiola) Maestro di una fantascienza concentrata sul presente e sulla psicopatologia, Ballard ha dimostrato nel corso della sua carriera un interesse costante per quello che egli stesso ha definito spazio interno: una sorta di paesaggio interiore, unica landa di realtà ipotizzabile da uno scrittore in un mondo che si spinge ben più in là della fiction. Questa inversione - la narrativa che cerca di impossessarsi dell'ultimo nocciolo di realtà, mentre il mondo reale acquista la fisionomia di un romanzo - rimette in discussione il ruolo stesso dell'autore che, al pari di uno scienziato alle prese con una materia di studio del tutto sconosciuta, può solo formulare ipotesi e verificarle sul campo. Se in Crash (1973) vengono esplorati i meandri di una sessualità pervertita dalla tecnologia, L'isola di cemento, uscito a un solo anno di distanza, offre una soluzione ambigua a questo processo. Punto di non ritorno o riscossa della mente sull'aggressività di un mondo "brutale, erotico e sovrailluminato"? Prigione definitiva o estrema via di uscita? L'isola in questione, entro cui si svolge l'azione dell'intero romanzo, non è che uno spartitraffico triangolare circondato da svincoli e sopraelevate dell'autostrada. Sullo sfondo delle strutture possenti dei viadotti, le superfici vitree dei palazzi per uffici londinesi. Robert Maitland, architetto quarantenne diviso tra un matrimonio in crisi e i viaggi di lavoro in compagnia dell'amante, sta percorrendo a tutta velocità con la sua Jaguar un raccordo autostradale. A seguito dell'esplosione di una gomma, perde il controllo e precipita giù lungo la scarpata. Più che dal cemento, l'isola in cui rimane intrappolato è dominata dall'erba altissima, subito pronta a inghiottire i resti dell'auto. Ma in Ballard non c'è traccia di utopie regressive o ambientaliste. Quella che prende forma nell'esiguo triangolo di verde incolto, vicinissimo al traffico e al centro direzionale della città, eppure isolato in una sorta di bolla spazio-temporale, non è la rivalsa della natura ma quella della psiche. È un processo che si sviluppa nella più totale assenza di sentimenti. Quello di Maitland, a tratti lucido e a tratti fiaccato dal delirio, è comunque e sempre puro calcolo. Il modo in cui si serve dei due abitanti dell'isola, un ex acrobata cerebroleso e una prostituta nevrotica in fuga dai suoi problemi, è figlio della fredda perversione delineata in Crash. L'isola è lo spazio interno di Maitland, il paesaggio spirituale e psichico cui ha avuto accesso solo uscendo di strada con la sua auto. Denso di rimandi simbolici, l'incidente è il momento chiave che ne schiude la visione. Nonostante l'auto distrutta e le ferite, l'isola ci appare fin da subito come il luogo più facile da lasciare. In fondo è lo stesso Maitland a rendersene conto: basterebbe percorrere il tunnel e servirsi del telefono di soccorso. Nel giro di qualche ora potrebbe fare ritorno nel suo asettico e confortevole habitat borghese. Se non lo fa è solo perché questo triangolo d'erba in cui è precipitato, da luogo ostile e inabitabile, si trasforma via via in un sicuro limbo, una pausa dal mondo. "L'isola sono io" pensa aggirandosi fra i resti di rifugi antiaerei e di case elisabettiane, patetiche vestigia chiuse fuori per sempre dal presente della metropoli. I pezzi delle auto abbandonate nella sterpaglia diventano utensili per l'uomo del XX secolo, improvvisamente messo di fronte a bisogni primari. Il vino acquistato in viaggio diventa moneta di scambio per avere accesso alle fonti di sostentamento di Proctor, l'acrobata demente e sfigurato che vive nascosto al resto degli umani. Il rapporto con Jane, l'altra abitante dell'isola, contempla anche il sesso ma come estrema forma di sfruttamento reciproco. Per Maitland, la richiesta di denaro da parte della ragazza è addirittura un gesto liberatorio: dopo tutti gli investimenti emotivi cui l'hanno costretto le transazioni del passato, finalmente è al sicuro. Attraverso una narrazione ipnotica, scandita dallo stormire dell'erba e dallo scintillio delle auto sfreccianti sui viadotti, da albe e tramonti riflessi dai palazzi di vetro, Ballard ci accompagna con la decisione dei suoi migliori romanzi a un epilogo tutt'altro che rassicurante. Matteo Ferrario
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