Letture e riletture


16.10.05
Recensione inviata da Matteo Ferrario
Michel Houellebecq, La possibilità di un'isola (traduzione di Fabrizio Ascari)
Michel Houellebecq non è capace di innocenza. Nel primo testo critico dedicato alla sua opera, Houellebecq en fait, Dominique Noguez lo definisce "il Baudelaire dei supermercati". È ormai dal 1991, anno in cui pubblicò l'importante saggio su Howard Philip Lovecraft, che Houellebecq vaga incessantemente da un reparto all'altro del supermercato Occidente. Non ne trascura nessuno. Si lascia tentare, talvolta sedurre dalle merci che trova sugli scaffali, ma si riserva di provarne poi un profondo disgusto.
Quello che a una lettura ingenua può essere facilmente liquidato come compiacimento, è in realtà un tratto saliente della migliore narrativa di questi anni: l'ambiguità.
Come tutti gli scrittori onesti, Houellebecq ha in serbo per il lettore più interrogativi che risposte. I suoi romanzi non offrono soluzioni, o se ne offrono si tratta di soluzioni insoddisfacenti perché temporanee.
La possibilità di un'isola, suo quarto romanzo, ci pone forse le domande più angoscianti. Arriva a sei anni dal discusso Piattaforma, considerato da più parti come un congegno narrativo imperfetto, una pasta mal lievitata. In realtà si trattava di un romanzo dalla struttura più convenzionale rispetto a Le particelle elementari, meno ambizioso ma altrettanto sapiente nel destreggiarsi fra registro narrativo e pamphlet.
Alla sua pubblicazione è seguita una lunga pausa, interrotta solo dal modesto racconto di viaggio Lanzarote: al di là del carattere occasionale, un deciso passo indietro rispetto alle prove precedenti, che non faceva ben sperare circa i futuri sviluppi della narrativa di Houellebecq.
La possibilità di un'isola è testo di ben altra sostanza, in cui proprio il fantasma di Lovecraft è più che mai presente.
Non ci troviamo di fronte a un Le particelle elementari - parte seconda. Non devono trarre in inganno il tema della clonazione umana, già affrontato nella sua opera più nota, né le dichiarazioni dell'autore stesso, che al pari dei critici considera Piattaforma un parziale fallimento. "Non sarò mai" si è schermito in un'intervista "uno story-teller".
Col senno di poi, l'unico vero indizio della direzione che Houellebecq avrebbe intrapreso con La possibilità di un'isola si trova in un colloquio avuto dallo scrittore nel novembre 2000 con il periodico tedesco "Die zeit". Il testo che ne è scaturito - lo si può leggere nella traduzione di Giuseppe Genna - si presenta come una breve narrazione, il cui tema è il sogno di vita eterna dell'autore.
"Apro gli occhi e constato che il mio sogno è alquanto superficiale. Mi accendo una nuova sigaretta, tormento il filtro, in realtà non esiste armonia con l'universo. Nei momenti di felicità, per esempio contemplando un bel paesaggio, so istantaneamente che io non ne faccio parte, il mondo mi appare come qualcosa di estraneo, non conosco nessun luogo dove io possa sentirmi a casa. Dio, anche lui, non può risolvere questo problema, peraltro io non credo a nessun dio, non è necessario, né qui né in paradiso. Credo nell'amore, è la sola cosa di valore di cui siamo in possesso, è migliore di un programma di fitness, è meglio dello sport. Forse un giorno il mio sogno di eternità si realizzerà, allora sarò una creatura con zampe, ali o tentacoli, forse altrove, non qui."
Diario di bordo dell'infelicità umana, La possibilità di un'isola contiene una realizzazione monca di questo sogno di vita eterna. L'uomo l'ha raggiunta, ma a prezzo della rinuncia all'umanità stessa.
Daniel 24 e Daniel 25, cloni venuti duemila anni dopo il loro capostipite, ne analizzano il racconto di vita da un punto di vista straniato: quello di neoumani, dotati dello stesso patrimonio genetico e della memoria di tutti i loro predecessori, ma incapaci delle passioni violente e del senso di inadeguatezza che hanno condotto Daniel 1 alla disperazione. Studiarne le vicende personali, dal successo nella carriera di comico fino al delirio per la perdita dell'amore che ne ha preceduto la morte, è l'unico scopo della loro esistenza, che si svolge in una enclave protetta dalle incursioni degli umani - ridotti a tribù sparse di cannibali senza passato - e prevede solo contatti virtuali con altri neoumani. Daniel 1 ha vinto la morte. È destinato a morire e rinascere senza soluzione di continuità. Tuttavia, ciò che lo spingeva a desiderare l'immortalità - la possibilità di un'isola, che è poi l'amore ricambiato - è una condizione non più realizzabile già a partire dalla prima reincarnazione. Qualcosa si è perso.
Come Le particelle elementari, anche questo è un libro dedicato all'uomo, con tutto il disincanto, la beffarda ironia e la tenerezza che la dedica presuppone.
E come in Piattaforma, anche qui si afferma che la felicità è possibile, addirittura probabile, ma per sua stessa natura non durevole.
Per quanto perverso e insensato, il meccanismo si riproduce. Nella presentazione del romanzo a Milano, Houellebecq stesso l'ha definito un generatore di vicende umane, destinate a ripetersi ciclicamente. Anche nel terzo, straordinario capitolo in cui Daniel 25 rinuncia alla quiete e all'immortalità per andare alla ricerca di suoi simili in un mondo desertico e devastato, la morte del cane Fox per mano dei selvaggi umani riproduce esattamente quella del Fox capostipite. L'epico viaggio di Daniel 25 per attraversare la faglia estesa dalla Spagna all'Africa centrale ricorda il peregrinare di Daniel 1 per le autostrade spagnole con la sua Mercedes. È lo stesso mondo violento e disperato, quasi interamente maschile, dove l'unico incontro sessuale possibile è quello con una prostituta dell'est europeo per Daniel 1, o con una selvaggia terrorizzata offerta in dono dagli umani a Daniel 25.
Non c'è un momento risolutivo. La narrazione si ferma, semplicemente, lasciando il personaggio in una stasi che sembrerebbe - ma sappiamo non essere - definitiva: lasciando la sua postazione recintata, ha infatti rinunciato alla sua immortalità. Non dissimile da quello descritto nella conversazione con "Die zeit", Daniel 25 ha trovato un altro paradiso imperfetto: tante nicchie d'ombra scavate nel fondale di sabbia, tra un lago d'acqua morta e l'altro che sono tutto ciò che rimane dell'oceano. Daniel 25 nuota e riposa, non desidera. Nel lettore, al ghigno amaro nel vedere i piccoli branchi di umani cadere sotto i colpi della sua pistola, si accompagna la speranza di una nuova, puntiforme isola. Magari una Marie 23, o una Esther 31, anch'esse uscite dal recinto in cerca di qualcosa.
Houellebecq pare specchiarsi in questa stirpe dei Daniel che, a cominciare dal primo, guardano al tema prediletto dalla sua letteratura: l'umanità media, di cui evidentemente l'autore si considera un campione attendibile.
Nel romanzo d'esordio Estensione del dominio della lotta, è l'alter ego di un giovane Houellebecq, preso in trappola tra una disperata routine lavorativa e la rinuncia ad averne una privata, a indicarci che le relazioni sono ormai governate dalle stesse leggi del libero mercato.
E se i due protagonisti di Le particelle elementari rappresentano una sorta di esplosione dell'io letterario di Houellebecq - lo studioso positivista e la canaglia col tarlo del sesso - e il Michel Renault di Piattaforma è a ben vedere il suo primo vero clone, nel racconto di vita di Daniel 1 c'è, tra le altre cose, lo scrittore che si fa beffe dei suoi detrattori e chiarisce come mai prima i motivi di fondo della sua narrativa.
Ci sono principalmente due categorie di artisti: i rivoluzionari e gli intrattenitori. A metà strada c'è gente come lui, che rimane furbescamente attaccato al treno dell'umanità senza nascondere il suo disgusto.
Ce lo confessa per voce del comico Daniel 1, abbozzando un curioso autoritratto:
Ero più stupido della media?, chiesi a Vincent la sera stessa mentre prendevo l'aperitivo a casa sua. No, rispose senza turbarsi, sul piano intellettuale mi collocavo in realtà leggermente al di sopra della media, e sul piano morale ero pressappoco simile a tutti: un po' sentimentale, un po' cinico, come lo è maggior parte degli uomini; ero soltanto molto onesto, lì stava la mia vera specificità: rispetto alla norma, ero di un'onestà quasi incredibile.
Niente di speciale in fondo, sembra dirci Houellebecq, che in Piattaforma aveva dato al suo narratore/protagonista il nome di una nota casa automobilistica. Come a sottolineare che il personaggio in questione è un modello standard, di larga diffusione, quindi quella che va in scena non è una vicenda personale ma una condizione universale.
Siamo nei dintorni di Yates, che in Revolutionary road sconfina nell'allegoria proprio attraverso i cognomi dati ai suoi personaggi.
L'analogia con il padre del dirty realism americano non si ferma qui. Nella prefazione di Richard Ford all'edizione italiana, leggiamo che per i contemporanei di Yates il punto debole dell'opera stava nell'ambivalenza della posizione del narratore, incapace di decidersi tra lo sguardo di un entomologo e quello di un metafisico. Con Ford, potremmo invece notare che proprio in quell'ambivalenza stava la grandezza di Revolutionary road, una tragedia familiare che è allo stesso tempo quella di una generazione, di una classe sociale e forse - è il titolo stesso a suggerirlo - di un'identità nazionale.
Sempre con Ford, potremmo ritrovare questa prerogativa, che non è certo un vizio costitutivo ma piuttosto un valore, in Houellebecq.
"Abbiate paura della mia parola". Grande entomologo, grande metafisico e molto altro ancora, Michel Houellebecq ha scritto il suo miglior romanzo, in cui allestisce un apparato retorico degno dell'epica dei testi sacri, soggioga il lettore con i suoi toni profetici, lo diverte amaramente, lo commuove, prefigurandogli lo sfacelo che lo attende.
Matteo Ferrario



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