Letture e riletture


23.10.05
Recensione inviata da Emanuelito
Émile Zola, La disfatta (traduzione di Luisa Collodi)
È un libro duro, crudo e difficile, incentrato su una duplice sconfitta: da un lato la sconfitta militare della Francia di Napoleone III nel sanguinoso conflitto del 1870 contro la Prussia del cancelliere Bismarck, dall'altro la sconfitta dell'uomo, degradato al rango di bestia grazie alla guerra.

Le vicende narrate da Émile Zola sono come scatole cinesi. Ci sono tante piccole storie, i cui personaggi sono soldati semplici, caporali, sergenti, contadini, fratelli, sorelle, genitori e figli.
Poi la scatola più grande, che comprende, contiene e collega tutte queste piccole storie: la Storia, quella dei generali e degli imperatori, di Bismarck, di Napoleone III e della Comune di Parigi. Tutte queste storie sono unite sui diversi livelli, compenetrate, analizzate dall'interno, ma senza mai indulgere a visioni globali da manuale scolastico. Anzi, la Storia è osservata con gli occhi dei suoi piccoli protagonisti, di chi si gioca la vita nei campi di battaglia, di chi ha un promesso sposo al fronte, di chi cerca anche solo di sopravvivere, con tutti i limiti di parzialità e incompletezza che questa visione può portare.
E infine, la guerra. Somma protagonista. La guerra che mangia tutto: la vita, l'amore, la dignità; che al loro posto partorisce mostruosità di sangue, bassezze irrazionali, immagini dell'alterazione, tutto perfettamente legittimato e inquadrato in uno stato di "normalità", proprio perché è esattamente questa la normalità di una guerra: la disfatta, appunto, dell'essere umano, che sia il vinto o il vincitore.

Appena prima della tremenda battaglia decisiva di Sedan, i tre protagonisti principali si ritrovano insieme ad aspettare l'inevitabile tragedia: Maurice, soldato francese volontario pieno di cultura, ideali e passione; Jean, contadino tornato all'esercito dopo aver perso tutto, dotato di una sensibilità che contrasta con la rudezza della sua provenienza sociale; Henriette, sorella gemella di Maurice, l'anima femminile del romanzo.
"È vero, la odio, la trovo ingiusta e orribile... Forse perché sono una donna. Tutte quelle stragi mi rivoltano. Perché non riuscire a spiegarsi, a mettersi d'accordo?"
Jean approvava le parole di Henriette, scuotendo la testa. Anche a lui, illetterato ma pieno di buon senso, nulla sembrava più facile che mettersi tutti d'accordo, dopo essersi spiegati bene, e con calma.
Maurice, invece, uomo colto e passionale, giudicava la guerra necessaria, in quanto vita stessa, legge del mondo. Non è stato forse l'uomo pavido a introdurre l'idea di giustizia e di pace, mentre l'impassibile natura è un continuo campo di battaglia e di strage?
Emanuelito (di Colonnedercole)



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