Letture e riletture


11.4.05
Recensione inviata da Elisa Bolchi
Non occorre essere campioni di scacchi per apprezzare la fattura di una scacchiera in ebano e rovere, dalle pedine intagliate a mano e lucidate ad arte e rimanerne affascinati, allo stesso modo non occorre essere scacchisti per apprezzare l'opera prima di Paolo Maurensig, La variante di Lüneburg. Non occorre, ma aiuta.
Dire che questo libro non parla d'altro che di scacchi sarebbe come affermare che gli scacchi sono un gioco come un altro, un passatempo qualsiasi. La storia di Tibory, di Frish e di Hans è una storia dettata da regole rigide e complesse, da piccoli spostamenti e mutazioni che sono però in grado di far crollare un impero. Il gioco degli scacchi domina la narrazione e un appassionato giocatore ne potrà assaporare le mosse, ne potrà accarezzare i pezzi con la mente, ma forse non abbastanza, la stessa variante di Lüneburg non viene mai descritta, le mosse non sono mai narrate, le caselle le sappiamo percorse da diversi pedoni senza mai conoscere il gioco preciso - mi chiedo se questo potrebbe irritare o scocciare un buon giocatore o se invece questa incertezza gli permetterebbe di compiere voli di fantasia ben più articolati, immaginando nella propria mente partite complesse ed estenuanti.
I brani puramente scacchistici non sono, però, il merito reale di quest'opera, sebbene ne rappresentino una larga percentuale. Il libro arriva al suo pieno sviluppo, non solo narrativo ma anche stilistico, nella seconda parte, quando la drammaticità della storia si fa largo con forza nella sicura realtà della scacchiera. Quello che in un primo momento avrebbe potuto sembrare un giallo si rivela essere un omaggio alla memoria, un'elegante metafora della vita che nel secolo appena trascorso giunse a perdere ogni consistenza e ogni dignità in quel dramma sovrumano che fu l'olocausto. Il gioco stesso degli scacchi diventa allora uno strumento di morte o di salvezza, e nulla appare strano, tutto può assumere una logica in un luogo come un campo di concentramento, che di logica è completamente privo.
Il romanzo è un chiasmo perfetto, le pedine della narrazione nella seconda parte trovano un riscontro perfetto nella prima, e quando ogni pezzo del puzzle viene collocato nella giusta casella tutto assume i colori giusti, tutto torna e quello che proviamo non è solo angoscia, rabbia, incredulità, ma anche una certa soddisfazione.
Un libro che inizia in sordina e che in più punti sono stata tentata di abbandonare, ma che si scopre poi perfettamente architettato e che rivela nelle pagine finali uno stile accurato, attento, elegante. Un'incredibile opera prima.
Elisa Bolchi



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