Letture e riletture |
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4.1.05
Recensione inviata da Sbloggata
Antonio Tabucchi, Requiem (traduzione dal portoghese a cura di Sergio Vecchio) Estate 1991. 13 anni. Lisbona. Il caldo, la musicalità di una lingua sconosciuta, i ricordi stimolati dalle foto riviste oggi dopo tanti anni, forse troppi. Sorrisi immobili accanto ai monumenti, occhi curiosi ammiccanti lungo angoli sconosciuti della città, attimi di quotidianità vissuti nella bellezza di una vacanza che non conosceva orari né tragitti. Il ricordo più vivace è quello legato al Padrao do Descombrimentos, nelle forme la prua di una nave, nella mia immaginazione l'epoca delle scoperte, il fascino degli eroi per mare. Lisbona (Lisboa) e i suoi lisboneti (lisboetas), la foce del fiume Tago che dalla Sierra di Aracena giunge fino all'Oceano Atlantico. Antica Olissipo poi Olissipona, per diventare Lissapona e quindi Lisboa, conquistata dagli arabi e spettatrice di avventurose partenze nell'epoca dei grandi viaggi di esplorazione. Il suo centro dal nome che mi faceva sorridere, la Baixa Pombalina, venne nel 1775 distrutto da un grande terremoto, per rinascere nei progetti del Marchese Pombal. Dal Castello di São Jorge alla Piazza do Comércio, dal Monastero dos Jerónimos alla Torre de Belém, fra le note di una musicalità antica, il Fado, danzante fra le corde e le movenze fascinose di una cantante e di una guitarra. La saudade. Requiem di Antonio Tabucchi, e una Lisbona deserta e torrida, quella dell'ultima domenica di luglio, racchiusa nelle goccioline di sudore raccolte in una realtà afosa e pesante, bagnata dal fluire leggero del sogno. Il ricordo trasformato in un presente con cui bere buon vino e scambiare due chiacchiere. La storia è gustata fra i tavoli di una convivialità assaporata fra cibi tipicamente portoghesi a base di pesce o carni, e gustosi vini bianchi di Reguengos o i Porto d'annata. Fra le stradine in salita, i mercatini, i ristoranti e i bar, si incontra il Brasileira, caffè dello Chiado, le cevejarias, letteralmente birrerie, dove si mangiano frutti di mare e uova sode a qualunque ora, piatti e sapori di cui, sfogliando le pagine, sembrano sentirsi gli odori: la feijoada, il sarrabulho, il Sumol, l'arroz de tamboril... E sullo sfondo di questi sapori bagnati nei colori dell'estate, un fluire strano del racconto, a metà fra il sogno e la realtà, il presente e il passato: gli incontri e i colloqui con gli abitanti di una capitale semideserta, la zingara che vende magliette o il copista di particolari di "Le tentazioni di Sant'Antonio" di Bosch, il tassista o lo zoppo della lotteria. Tadeus, un polacco con cui discorrere di cucina degustando le specialità dell'osteria di Casimiro, e poi il faro del Guincho, una baia nei pressi di Lisbona ormai in disfacimento, e Isabel, morta suicida, combattuta dall'amore di due amici. E questo libro, regalatomi per sbaglio, diventa una passeggiata per Lisbona, in compagnia di parole semplici, cadenzate dal ritmo leggero di un viaggio custodito in un diario che conserva l'autenticità di una lingua salata. "Scrivere Requiem in portoghese è stata un'esperienza strana. Evidentemente ho visitato una sponda della mia anima che parla anche portoghese, per cui i miei ricordi, o certi miei ricordi, venivano meglio in quella lingua che non in un'altra. Insomma, questo fatto linguistico non è un fatto meccanico o un fatto squisitamente cerebrale, è anche un fatto affettivo, un fatto che appartiene all'anima". Nelle lune della città la vita che viaggia. La fantasia che traccia il racconto, assorbendone i colori. "Addio e buonanotte a tutti, ripetei. Reclinai il capo all'indietro e mi misi a guardare la luna". Sbloggata
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