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16.5.04
Recensione inviata da Francesca Baroni Franco Mimmi, Il nostro Agente in Giudea (Aliberti Editore) Chi uccise Gesù? E perché? Questo romanzo - che si può definire una "storia politica" di Cristo - offre risposte diverse da quelle tradizionali, basate su una lettura logica della storia che va a riempire i tanti punti oscuri dei Vangeli. Il nostro agente in Giudea si presenta con una struttura narrativa che è quasi di un thriller, ma presto si capisce che l'intenzione di base è assai più ambiziosa. In questo romanzo Franco Mimmi affronta il problema della relazione tra il potere politico e la religione, di come il primo abbia sempre fatto della seconda un instrumentum regni, e per farlo si riferisce a quel momento di duemila anni fa che vide nascere il mondo in cui ancora viviamo: gli anni della predicazione di Gesù Cristo. Quale fu, in quegli anni, la relazione tra politica e religione? Ce lo raccontano, ovviamente, i vangeli, ma evidentemente l'autore di questo romanzo ritiene che il loro racconto, da questo punto di vista, manchi di logica. I vangeli dicono che i sacerdoti giudei e i conquistatori romani vollero la morte di Gesù, ma perché l'avrebbero desiderata? Quel galileo offriva l'altra guancia, prometteva giustizia ma nell'altro mondo, ammetteva la differenza tra ciò che spettava a Dio e ciò che spettava a Cesare, predicava la pace e, meglio ancora, la rassegnazione in questa vita. Insomma, predicava ciò che i governi e i poteri economici desiderano di più, in casa loro o nelle loro colonie: una stabilità derivante dalla acquiescenza del popolo, da istanze sociali minime. Conclusione: dal punto di vista del potere costituito, che Caifa volesse la morte di Gesù e che Pilato lo accontentasse non ha alcun senso logico. Anzi, logico sarebbe stato il contrario, e proprio su questa ipotesi del contrario - un complotto del potere politico, del potere religioso e del potere economico per trarre vantaggio dalla predicazione di Cristo - si basa il romanzo, che viene così a dare una risposta - romanzesca, ma del tutto logica e storicamente verosimile - alle due domande millenarie: Chi ha ucciso Gesù? Perché è stato ucciso Gesù? Il romanzo si appropria della storia grazie alla figura di Lucio Valerio Adunco, uno spagnolo di buona famiglia che da giovane, come tanti altri giovani provinciali benestanti, è andato a Roma a studiare retorica, ma poi è stato portato dalle circostanze della vita a essere soldato e prefectus urbi, ovvero capo della polizia della capitale dell'impero. Quando lo incontriamo ha già una settantina d'anni, ma è ancora vigoroso e Tiberio lo ha convocato d'urgenza a Capri dove si è ritirato per sfuggire l'amarezza che gli provocano le meschinità della corte e della famiglia. In questi due poli di potere - Cesarea, sede del prefetto di Palestina, e Capri, residenza dell'imperatore romano - nasce la trama in cui Gesù resta intrappolato. Ma non il Gesù al quale siamo abituati, non il figlio di Dio frutto della immacolata concezione di Maria, né il Gesù dei miracoli. Qui ci troviamo di fronte a una persona che vive la sua condizione umana insieme con la sua famiglia in un paese invaso, ci troviamo di fronte a un ebreo che vive la sua condizione di innovatore di fronte a una schiera di conservatori e a una di fanatici, e che accetta i rischi derivanti da entrambe le condizioni. Come finirà, lo sappiamo tutti, eppure l'autore ci conduce fino alla conclusione scontata in piena suspense, aprendo la porta su nuovi orizzonti. Francesca Baroni
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