Letture e riletture |
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Questo è uno spazio pensato per chi dopo ogni lettura desidera condividere le proprie
impressioni o le proprie emozioni. |
28.5.04
Recensione inviata da Barbara Delfino Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe (traduzione di Nini Bompiani Bregoli) La prima cosa che dovrebbero insegnare a un bambino che inizia a leggere è quella di non saltare le dediche, quando ci sono. Nel leggere quelle al Piccolo Principe si sentirebbe sicuramente lusingato nello scorrere le umili scuse dell'autore per aver dedicato il suo libro a una persona adulta; e proverebbe non meno piacere nella correzione che l'autore stesso riporta alla dedica che resta sempre rivolta ad un amico adulto... ma quando questi era bambino. E così il piccolo lettore si sente a pieno titolo amico dell'autore, nonché pilota d'aereo, che racconta il singolare viaggio di un piccolo principe che per sfuggire alla tirannia della sua rosa vaga per gli spazi, conoscendo i personaggi più strampalati. La chiave di lettura di questa fiaba moderna che interpreta il mondo con l'ingenuità della fantasia è nascosta nell'incontro con il pilota in panne, l'unico personaggio di altri mondi di cui il piccolo principe diventa amico. Sarà proprio in quel momento che il protagonista si accorgerà del suo rapporto d'amore, di dedizione e di responsabilità nei confronti della sua rosa, e tornerà al suo pianeta cosciente di ciò che significa l'amicizia: un sentimento insostituibile che "rende un giorno diverso dagli altri giorni". Barbara Delfino 18.5.04
Recensione inviata da Sara Mostaccio Coraline di Neil Gaiman (traduzione di Maurizio Bartocci per Mondadori) Nel miglior stile di Gaiman, ma declinato, solo in apparenza, a lettura per ragazzi. Vi trova spazio uno dei nostri peggiori incubi, la perdita dell'identità. Non già la propria, ma quella del mondo cui si appartiene. La piccola Coraline si ritrova in un mondo alla rovescia, un mondo fotocopia di quello solito e familiare, ma con sfumature inquietanti. I genitori, sempre disattenti e indaffarati, si tramutano in amorevoli, attenti, morbosamente affettuosi. Gli animali parlano, e l'ambiguità impregna l'aria. Il terrore serpeggia sotto i letti e dietro i muri, luccica negli occhietti appuntiti dei topi, si infiltra dalle serrature delle porte chiuse, aleggia dietro gli specchi. Gli sguardi sono ciechi, gli occhi sostituiti da bottoni cuciti nella carne. Solo lo sguardo limpido di Coraline riuscirà a vedere la distinzione tra incubo e realtà, tra sogno e verità, e ripristinare l'ordine delle cose. E finalmente, dopo avventure di ogni sorta e visioni meravigliose e spaventose, riuscirà ad apprezzare la piatta ma confortante consuetudine. Sara Mostaccio 17.5.04
Recensione inviata da Barbara Delfino Olga Tokarczuk, Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli (trad. Raffaella Belletti per edizioni e/o) Ci sono dei libri che fin dalla prima frase coinvolgono il lettore senza effetti speciali ma grazie alla forza della bellezza di una lingua semplice e scorrevole. Indubbiamente Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli, il terzo romanzo di Olga Tokarczuk, l'unico tradotto in italiano, appartiene a questo genere di opere letterarie. Esso si presenta contemporaneamente come un racconto realistico e una fiaba poetica sul mondo; pur trattandosi di una storia rurale nella quale s'intrecciano i destini di alcune generazioni di famiglie in un periodo compreso tra la Prima Guerra Mondiale e gli anni '80, il lettore non viene coinvolto suo malgrado in una noiosa lezione di storia. Da subito ci si accorge che i protagonisti non sono gli abitanti di Prawiek ma è il villaggio stesso a ricoprire il ruolo di personaggio principale della narrazione. Come racconta in un'intervista rilasciata a una nota rivista letteraria: "La storia che mi viene in mente e che intendo raccontare si colloca subito nel tempo e nello spazio [...] Del resto anche i luoghi vivono; lo spirito del luogo vive e influisce sulle persone". Pur senza libri magici nascosti, spiriti e apparizioni, la trama di questo nuovo romanzo non si riduce alla descrizione di una classica e monotona campagna polacca tra le città di Taszów e Kielce. "Alfa è un luogo situato al centro dell'universo"; così ci dà il benvenuto Olga Tokarczuk, ma non soddisfatta del disorientamento creato nel lettore aggiunge che la città è sorvegliata da quattro angeli custodi. Alfa è quindi contemporaneamente il Paradiso e il centro mitico del mondo dove l'ordine naturale dell'uomo si incontra direttamente con l'ordine soprannaturale di Dio. L'inevitabile e non ostacolata confluenza delle due realtà fa sì che la quotidianità sia comunemente popolata di personaggi ed eventi poco convenzionali ed episodi più concreti come quelli riguardanti la guerra in corso siano percepiti solo come il frutto di una lontana eco. Il punto di vista dal quale vengono raccontate le vicende delle varie famiglie del romanzo non è quello dei singoli personaggi, ma è quello della natura, dei boschi e dei fiumi che circondano il villaggio, lo custodiscono, ne salvaguardano l'ordine e garantiscono un'atmosfera arcaica e fiabesca. Già, perché ad Alfa tutto procede secondo un ordine proprio del mondo mitico; nel momento in cui qualche personaggio per caso o per necessità si allontana da esso, si sente privato della propria sostanza ontologica e immerso nel caos. Succede anche la reazione inversa, ovvero coloro che si avvicinano a Prawiek ed entrano a far parte della sua realtà ibrida (sempre in bilico fra l'umano e il divino) non si sentono a proprio agio, ritengono troppo opprimente lo spirito del luogo e prima o poi l'abbandonano. Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli si distacca in modo significativo dai romanzi precedenti della giovane autrice polacca, presentando un nuovo modo di concepire il mondo legato alla tradizione non solo polacca ma di portata più generale. Barbara Delfino 16.5.04
Recensione inviata da Francesca Baroni Franco Mimmi, Il nostro Agente in Giudea (Aliberti Editore) Chi uccise Gesù? E perché? Questo romanzo - che si può definire una "storia politica" di Cristo - offre risposte diverse da quelle tradizionali, basate su una lettura logica della storia che va a riempire i tanti punti oscuri dei Vangeli. Il nostro agente in Giudea si presenta con una struttura narrativa che è quasi di un thriller, ma presto si capisce che l'intenzione di base è assai più ambiziosa. In questo romanzo Franco Mimmi affronta il problema della relazione tra il potere politico e la religione, di come il primo abbia sempre fatto della seconda un instrumentum regni, e per farlo si riferisce a quel momento di duemila anni fa che vide nascere il mondo in cui ancora viviamo: gli anni della predicazione di Gesù Cristo. Quale fu, in quegli anni, la relazione tra politica e religione? Ce lo raccontano, ovviamente, i vangeli, ma evidentemente l'autore di questo romanzo ritiene che il loro racconto, da questo punto di vista, manchi di logica. I vangeli dicono che i sacerdoti giudei e i conquistatori romani vollero la morte di Gesù, ma perché l'avrebbero desiderata? Quel galileo offriva l'altra guancia, prometteva giustizia ma nell'altro mondo, ammetteva la differenza tra ciò che spettava a Dio e ciò che spettava a Cesare, predicava la pace e, meglio ancora, la rassegnazione in questa vita. Insomma, predicava ciò che i governi e i poteri economici desiderano di più, in casa loro o nelle loro colonie: una stabilità derivante dalla acquiescenza del popolo, da istanze sociali minime. Conclusione: dal punto di vista del potere costituito, che Caifa volesse la morte di Gesù e che Pilato lo accontentasse non ha alcun senso logico. Anzi, logico sarebbe stato il contrario, e proprio su questa ipotesi del contrario - un complotto del potere politico, del potere religioso e del potere economico per trarre vantaggio dalla predicazione di Cristo - si basa il romanzo, che viene così a dare una risposta - romanzesca, ma del tutto logica e storicamente verosimile - alle due domande millenarie: Chi ha ucciso Gesù? Perché è stato ucciso Gesù? Il romanzo si appropria della storia grazie alla figura di Lucio Valerio Adunco, uno spagnolo di buona famiglia che da giovane, come tanti altri giovani provinciali benestanti, è andato a Roma a studiare retorica, ma poi è stato portato dalle circostanze della vita a essere soldato e prefectus urbi, ovvero capo della polizia della capitale dell'impero. Quando lo incontriamo ha già una settantina d'anni, ma è ancora vigoroso e Tiberio lo ha convocato d'urgenza a Capri dove si è ritirato per sfuggire l'amarezza che gli provocano le meschinità della corte e della famiglia. In questi due poli di potere - Cesarea, sede del prefetto di Palestina, e Capri, residenza dell'imperatore romano - nasce la trama in cui Gesù resta intrappolato. Ma non il Gesù al quale siamo abituati, non il figlio di Dio frutto della immacolata concezione di Maria, né il Gesù dei miracoli. Qui ci troviamo di fronte a una persona che vive la sua condizione umana insieme con la sua famiglia in un paese invaso, ci troviamo di fronte a un ebreo che vive la sua condizione di innovatore di fronte a una schiera di conservatori e a una di fanatici, e che accetta i rischi derivanti da entrambe le condizioni. Come finirà, lo sappiamo tutti, eppure l'autore ci conduce fino alla conclusione scontata in piena suspense, aprendo la porta su nuovi orizzonti. Francesca Baroni
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