Letture e riletture |
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29.3.04
Recensione inviata da Marco Di Porto Adam Haslett, Il principio del dolore (traduzione di Giovanna Granato per Einaudi) Una dei più promettenti autori americani pubblicati lo scorso anno in Italia è senza dubbio Adam Haslett, che con il suo Il principio del dolore affronta temi (è proprio il caso di dirlo) dolorosi. Il nocciolo dei suoi racconti è infatti la sofferenza e, principalmente, la sofferenza psichica. Persone depresse, bipolari, ansiose, paranoiche: Haslett racconta di gente per cui la vita non è, non è stata e non sarà facile, e lo fa con una prosa molto elegante, levigata, ma non minimalista, né sperimentale, né postmoderna. In realtà, rispetto agli altri "giovani" americani (Wallace, Eggers, Homes), Haslett sembra venuto da una dimensione diversa. Forse, tra tutti i suoi più o meno coetanei, è quello che ha sofferto di più: e mentre gli altri vanno a cercare la nevrosi e il dolore nelle storie altrui e nel "disagio della civiltà", Haslett ne ha probabilmente una buona scorta di suo - non ha bisogno di stressarsi o di essere particolarmente cerebrale per narrarcene. Fra i nove racconti, tutti molto belli, ne rimangono impressi almeno tre. Il primo della raccolta, dolce storia di un fratello e una sorella che aspettano un uomo che è stato, in momenti diversi, amante di ambedue. La vicenda di un depresso cronico e sull'orlo del suicidio, che trova come ragione di vita l'essere "tutore" di un ragazzino affetto da una malattia incurabile. La storia di un padre maniaco depressivo che irrompe nella difficile vita del figlio omosessuale, con il suo carico di follia e teorie strampalate. I racconti di Haslett hanno il pregio di restituire agli schemi classici della narrativa potenza e autorevolezza. Insomma, non è necessario essere sperimentali, avantpop, post-quello-o-post-quell'altro, per scrivere racconti belli e commoventi. Marco
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