Letture e riletture


3.7.03
Recensione inviata da Rina Romanazzi
Titolo Tra di noi il silenzio, autrice Elisabetta Mori, genere romanzo, ed. Beta 2002, euro 12,50
Si tratta di un libro semplicemente bello, dove ogni donna che abbia già compiuto il giro di boa dei quarant'anni può trovare risposte ai tanti no della sua infanzia, un ritorno indietro per capire i vari modi di manifestarsi dell'amore materno.
L'incipit è quasi disperato, ossessivo con quell'aggettivo mio: "mia madre. il mio cagnolino, la mia famiglia, la mia scuola, il mio cuore, il mio bene, mia madre, mia madre, la mia vita, mia madre..." Sulla scena Maria Sole non entra timidamente: il ritmo che accompagna inizialmente la narrazione, al di là delle pause di riflessione del dottor Eugenio, è martellante, brevi le sospensioni del pensiero, del tempo, in attesa di un altro racconto di altri eventi. La vita di Maria Sole si svolge davanti ai nostri occhi, non c'è riposo, una vita concentrata nel suo essere, un pugno di anni messi là, sul proscenio, dove si susseguono personaggi diversi, importanti, ma sempre personaggi minori rispetto a lei, a Violante, la madre. Non Fulvia, non gli zii Damiano e Emma, non l'amato fratello Tonio, non il dottor Eugenio o il dottor Tobia, né il dannato Angelo protetto perché nulla è mai avvenuto e neanche Guido l'amore della sua giovinezza, nessuno entra nella vita di Maria Sole e intreccia con lei un legame perenne. Sono solo il segno di un Dio Immanente che interviene a salvare, per sorreggere e confortare, ma di nessuno di loro riusciamo a connotare i lineamenti, le voci, i colori, i profumi. Comparse che sfumano quando appare Violante, stupenda figura di donna, regina, sovrana della vita di chi da lei dipende. Maria Sole ce la descrive e in quelle parole senti il profondo amore per questa madre, che, al contempo, vorrebbe distruggere perchè non sa o non può aiutarla. È una figlia prevaricata dal proprio dolore, dalla necessità di dare un nome alla propria malattia, una figlia che chiede e una madre che non risponde. E allora è facile ricorrere alla scienza per l'ineluttabilità della risposta. Ognuno le dà una spiegazione diversa ma plausibile e l'animo si acquieta: la madre invece rimane insensibile , aspra, arida, apparentemente all'origine del malessere, incapace di fare, di agire, di ribellarsi, nel preferire la rinuncia, la negazione di tutto. E poi c'è Enrico, il padre: è lui la tenerezza, la complicità, il gioco, lo riconosci, un padre discreto che dispensa quelle carezze che Violante non riece a dare, forse perché presaga di una perdita inaspettata che la costringerà ad essere nello stesso tempo madre e padre, in una sovrapposizione, terribile, di ruoli che non danno tregua e riposo. Enrico scompare presto dalla scena, mentre Violante è sempre lì, magnifica madonna delle famiglie meridionali, madri meravigliose della nostra infanzia, senza carezze ma di un amore reale, fatto di totale dono di sé fino all'estremo sacrificio. Ciò che sono oggi le donne lo devono a quelle madri che riuscivano a stendere un velo protettivo (per dirla alla Goffman, uno dei sociologi più attenti alle relazioni sociali, ai rapporti interpersonali) sulle proprie figlie mentre erano in crescita. Oggi, quella in cui viviamo, è una realtà più complessa, molteplici i mondi in cui si entra e da cui si esce incessantemente: eventi, fatti, storie accadono, spesso distinti da qualsiasi sogno o previsione e il velo si strappa o la sua trama diventa sempre più lasca.
Luciana Bozzo




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