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17.6.03
Recensione inviata da GiallodiVino
L'ultima ceretta di Anna Berra (Garzanti) Alice è alta, una stangona, tira di boxe, faceva danza un tempo, ha una benda nera su un occhio malandato, una laurea in lettere moderne e batte. Sì, batte in un centro estetico di quelli che spesso affollano le pagine di cronaca dei quotidiani, perché vengono “smascherati” dai militi dell’Arma, dopo lunghi mesi di indagini e appostamenti. E lo sanno tutti che dentro battono, anche se alla vista di bandoliere e fiamme sul berretto è tutto un fuggi fuggi, pantaloni a fraccoscio, camicie stazzonate e “volevo solo farmi un peeling”, se non peggio “lei non sa chi sono io”. “Lo vediamo subito chi è lei, favorisca i documenti”. Le professioniste del sesso sono le insospettabili per definizione: casalinghe, studentesse e tutto il circo dell’accostamento morboso tra mestieri distanti che viene partorito da un cinico caporedattore in cronaca. Alice è una di loro, ed è la protagonista dell’Ultima ceretta, titolo azzeccato, spregiudicato nel marketing, giusto nella ciccia della storia. E la storia, infatti, si apre con una professionista, una capa estetista, la tenutaria di Ali, morta affogata nella cera, strozzata. Siamo a Torino, all’oggi. Alice e l’amica e collega Paola vogliono capire chi diavolo è stato e perché. Iniziano a indagare senza saperci fare con qualunque tecnica investigativa e quindi si ritrovano con mucchi di cazzate alle spalle. L’ultima ceretta è un noir-giallo solo perché c’è una morta, un mistero e una tipa che indaga. Per il resto non saprei. Le anticipazioni che avevo letto facevano pregustare una Torino diversa, misteriosa e vampiresca (quello un po’ sì, ma trattasi di draculini per amore), una Torino che nelle pagine del libro non c’è assolutamente. La presenza della sabauda la avverti dal dialetto dei genitori di Alice – incomprensibile – e da qualche dettaglio noto anche a me che non sono di quelle parti. Esempio: a Porta Palazzo ci sono gli immigrati. Ma questa non è una colpa, anzi, è la fretta dell’editor nell’appiccicare un’etichetta a un romanzo che è bello per altri motivi. E cioè per una protagonista strepitosa: Alice è un grande personaggio, per nulla scontato, tenace ma fragile per duemila cose. Ama una ragazza e un ragazzo dello stesso amore. Con lui s’incazza. Con lei si ritrova a pendere dalle sue labbra come un’adolescente inebetita che disegna cuori sulla smemoranda. Ma l’adolescente è quell’altra e presto andrà a ficcarsi nei guai. Alice è una che prende a cazzotti crucche statuarie e sadiche nel bel mezzo di un partouze sadomaso, che ricorda la “festa in maschera” di Eyes wide shut. Ama la boxe, senza essere una di quelle fighette che lo fanno per avere la giustificazione per indossare una felpa Everlast, a una festicciola bordo piscina. Alice è tutto il contrario. Dice: la boxe è lo sport più potentemente omosessuale che esista. Due corpi nudi che di continuo s’abbraciano, sudati, sanguinanti che danzano, quasi si corteggiano. Anche tutto il resto, i comprimari, le controfigure, quelli che Gadda chiama i “prottagonisti der dramma, sto branco de fregnoni e de fiji de mignotte che stanno ar monno, e de le commare loro e madame porche futtute” , insomma tutto il resto pure funziona. Come Paola, amica per il cuore, impiegata alla Asl. Alice legge Céline, e non Viaggio al termine della notte, ma Da un castello all’altro, si muove in autobus e va in giro con una valigetta piena di strumenti sadomaso, non usa il cellulare. Credo possa bastare per capire che di tipi così in giro per i boschi narrativi ce ne siano pochi. Come lettore di gialli forse sono rimasto un po’ deluso, come lettore e basta, proprio no. Nicola
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