Letture e riletture |
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2.1.03
Recensione inviata da tequila
Uno strano omicidio e uno stranissimo amore Cosa faceva Dora, una ragazza appena diciottenne, rampolla dell'alta borghesia viennese, da sola, di notte, nel parco? Chi le ha dato da mangiare un fico fresco, frutto quasi introvabile a Vienna in questa stagione? Di chi è il mantello trovato nascosto in un angolo? Dov'è il fratellino della vittima? Questi e mille altri piccoli perché (li taccio, incontrarli a uno a uno fa parte della tessitura abile di questo romanzo) puntano tutti nella stessa direzione, quella che porta al nome dell'assassino. Leggendo La mangiatrice di fichi (Jody Shields, Sperling & Kupfer, traduzione di Fulvia Milton) non ho avuto la percezione di leggere un giallo "tradizionale": l'asse centrale della narrazione, per me, non è la soluzione del mistero, ma l'indagine in sé. Anzi, le indagini. Perché sulle orme dell'assassino di Dora sono in due, l'Ispettore, mite, posato, tenace, razionalissimo. Armato della sua logica e dei suoi dotti manuali. E, a sua insaputa (ma sarà proprio così?), la moglie Erszébet, ungherese umorale e sensibilissima, cresciuta nel misticismo e nella superstizione magiare, che si fa guidare dagli spiriti, dagli amuleti e dalle tradizioni gitane. L'Ispettore e Erszébet rappresentano due modi, due mentalità, due modi di vivere e di pensare diametralmente opposti, due facce della stessa medaglia. La mente analitica e un po' fredda dell'austriaco e l'istinto zingaro della donna non si incontrano, non collaborano, procedono ognuno per proprio conto, paralleli come i binari della ferrovia. Come gli Austriaci e gli Ungheresi di quell'Impero che non esiste più. Come tutti gli amanti che affiancano le loro vite senza riuscire a intrecciarle mai veramente. Ma continuano, a dispetto di tutto, ad amarsi. tequila
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