Letture e riletture


31.3.04
Recensione inviata da Marco Di Porto
La qualità dell'aria, AA. VV., Minimum Fax
Le informazioni sulla qualità dell'aria sono reperibili un po' ovunque, sparse per Roma: appaiono, segno di un tempo in cui si deve stare attenti anche a respirare, nei cartelloni elettronici che sovrastano parecchie arterie della Capitale. Ma La qualità dell'aria è anche il titolo della raccolta di racconti appena pubblicata dall'ormai non più piccola casa editrice Minimum Fax, che contiene venti testi di autori italiani under 40 impegnati nel tentativo di raccontare questa Italia.
Come sono questi racconti? Alcuni davvero molto belli. Soprattutto tre: Il Budda delle amfetamine, storia allucinata di un vagabondo del dharma in Thailandia, di Tommaso Pincio; Io sarò Stato" di Antonio Pascale, intelligente e garbato racconto sul senso dello Stato degli italiani, sul modo del tutto particolare con il quale nel bel paese si intrattengono rapporti con le istituzioni, e sul crescente disincanto di un giovane impiegato; Le pietre di Mosca, di Gabriele Pedullà, bellissimo scorcio di una Russia moderna, nella quale si combatte la battaglia tra i (pochi) valori di bellezza e umanesimo e la crescente avidità dei nuovi ricchi.
Il lavoro fatto dai curatori della raccolta Christian Raimo e Nicola Lagioia (già autori per la stessa MF) è interessante, perché è il tentativo di presentare l'immaginario di chi è nato tra il 70 e l'80, di chi è cresciuto, volente o nolente, con le Tv di Berlusconi e Drive In, con gli ultimi vagiti del comunismo e con tangentopoli, con la globalizzazione e con i cartoni giapponesi, figli dell'inevitabile colonizzazione culturale americana. Insomma, il tentativo è quello di raccontare il mondo visto dai 25-35enni.
Ci riescono? Vanno dette due cose: la prima è che un esperimento del genere non veniva fatto da tanti anni, specie da un editore affermato (forse l'ultimo esempio fu l'antologia dei "cannibali", a inizio anni '90). Dunque: complimenti a MF per aver dato lo spazio e la possibilità ad alcuni emergenti di apparire nel loro catalogo, accanto a Carver e Bukowski.
La seconda è: forse, in alcuni casi, questi autori scimmiottano troppo i miti letterari, soprattutto americani, degli ultimi anni. C'è qualcosa di artefatto, di costruito, in certi passaggi, in certe scelte stilistiche, in certi motivi di fondo. L'influenza di tutto quello che è stato scritto prima si sente, come se la scrittura ereditasse e non nascesse da un'emergenza creativa, ma un po' a tavolino, senza troppo slancio emotivo (ma con grande slancio culturale). Si ha l'impressione che la scrittura, per questi figli di un'epoca ultraricca, sia un piacevole passatempo culturale, e non un'esigenza dell'anima. Non che sia indispensabile. Però, diciamo, non è letteratura che scuote le viscere.
Marco



30.3.04
Recensione inviata da Marco Di Porto
Tommaso Pincio, Un amore dell'altro mondo, Einaudi
La storia di Kurt Cobain narrata attraverso la voce del suo alter-ego Homer Boda Alienson. La vita drammatica di un derelitto di provincia (Aberdeen, la stessa cittadina in cui è cresciuto Cobain), tra eroina e fantasie sui dischi volanti, tra umiliazioni e ricerca della felicità, tra autodistruzione e vuoto. Tommaso Pincio è un autore italiano molto, molto americano. Di lui si sa poco (non a caso il suo nome è la traslazione all'italiano del mitico e misteriosissimo Thomas Pynchon), tranne che è piuttosto giovane, affascinato dalle teorie del complotto e fervente ammiratore di Jack Kerouac. Ha scritto M (Cronopio) e Lo spazio sfinito (Fanucci), nonché alcuni racconti, tra i quali un bellissimo Il Budda delle amfetamine apparso recentemente nella raccolta di Minimum Fax La qualità dell'aria.
Come catalogarlo? Innanzitutto sotto la voce Bravo. Tommaso Pincio è bravo. Descrive benissimo i sentimenti, sa scavare a fondo nella sofferenza, è dolcemente ironico, mai aggressivo; svolge bene la trama, le sue pagine scorrono alla grande, il suo giovanilismo (rappresentato innanzitutto dalla scelta di scrivere sul mito giovanile Kurt Cobain) è con ogni probabilità una scelta oculata più che una vera e propria esigenza: grazie ad esso Pincio può scavare tra le macerie del consumismo, indagare e raccontare la materia di questa civiltà.
Poi, è Misterioso. Ovviamente tutti vorremmo sapere chi è, così, tanto per non rimanere con la curiosità.
Infine, è Simpatico. Fa abbastanza ridere.
In effetti, se andiamo a guardare pochi si prendono la briga di uscire dalle righe. Chi c'è, di notevole e giovane, in Italia? Paolo Nori? Ammaniti? Brizzi? Lorenzo Licalzi con il suo (questo sì, giovanilista), Non so? Melissa P.? Boh. In attesa dell'uscita del prossimo Aldo Nove (La balena più grande della Lombardia, in libreria nei prossimi giorni), Tommaso Pincio è decisamente una valida alternativa.
Marco



29.3.04
Recensione inviata da Marco Di Porto
Adam Haslett, Il principio del dolore (traduzione di Giovanna Granato per Einaudi)
Una dei più promettenti autori americani pubblicati lo scorso anno in Italia è senza dubbio Adam Haslett, che con il suo Il principio del dolore affronta temi (è proprio il caso di dirlo) dolorosi. Il nocciolo dei suoi racconti è infatti la sofferenza e, principalmente, la sofferenza psichica. Persone depresse, bipolari, ansiose, paranoiche: Haslett racconta di gente per cui la vita non è, non è stata e non sarà facile, e lo fa con una prosa molto elegante, levigata, ma non minimalista, né sperimentale, né postmoderna. In realtà, rispetto agli altri "giovani" americani (Wallace, Eggers, Homes), Haslett sembra venuto da una dimensione diversa. Forse, tra tutti i suoi più o meno coetanei, è quello che ha sofferto di più: e mentre gli altri vanno a cercare la nevrosi e il dolore nelle storie altrui e nel "disagio della civiltà", Haslett ne ha probabilmente una buona scorta di suo - non ha bisogno di stressarsi o di essere particolarmente cerebrale per narrarcene.
Fra i nove racconti, tutti molto belli, ne rimangono impressi almeno tre. Il primo della raccolta, dolce storia di un fratello e una sorella che aspettano un uomo che è stato, in momenti diversi, amante di ambedue. La vicenda di un depresso cronico e sull'orlo del suicidio, che trova come ragione di vita l'essere "tutore" di un ragazzino affetto da una malattia incurabile. La storia di un padre maniaco depressivo che irrompe nella difficile vita del figlio omosessuale, con il suo carico di follia e teorie strampalate.
I racconti di Haslett hanno il pregio di restituire agli schemi classici della narrativa potenza e autorevolezza. Insomma, non è necessario essere sperimentali, avantpop, post-quello-o-post-quell'altro, per scrivere racconti belli e commoventi.
Marco



19.3.04
Recensione inviata da Marco Di Porto
John Maxwell Coetzee, La vita e il tempo di Michael K (traduzione di Maria Baiocchi per Einaudi)
J. M. Coetzee, premio Nobel per la Letteratura del 2003, è uno degli autori di narrativa straniera di maggior successo in Italia. Sudafricano, racconta il suo paese con una crudezza e una serietà che lasciano il lettore sgomento. Senza ironia (ma sarcasmo e ironia sarebbero fuori luogo nelle storie che racconta), Coetzee conduce il lettore attraverso paesaggi devastati, guerra, omicidi, dolori, perdite. Ne La vita e il tempo di Michael K il protagonista è un meticcio semi-ritardato dal labbro leporino che prova in tutti i modi a scappare, con l'anziana madre malata, da una città preda dell'anarchia in cui divampa la guerriglia. Sua madre morirà e K rimarrà solo. Lento di mente e disperato, in una situazione nella quale è impossibile ottenere aiuto, K cercherà di sfuggire non solo alla violenza, ma all'umanità intera: fuggirà in campagna e in montagna, ma le sue fughe saranno sempre condizionate dagli eventi di guerra, dalla stupidità degli uomini, dall'impossibilità di essere egli stesso uomo, in quanto "scemo". K, già emarginato in tempo di pace, precipiterà in una sorta di alienazione mentale che lo condurrà a estraniarsi da tutto, anche dai bisogni primari quali mangiare o dormire. È questo il "tempo" di Michael K a cui fa riferimento il titolo: un tempo universale, scandito dai battiti del suo cuore e basta, il tempo di una bestia selvatica, di un eremita folle la cui vita, già di per sé fragile, viene trascinata da eventi assolutamente incontrollabili. Privo di sé, mentre il caos divampa K desterà la curiosità di alcuni personaggi, che proveranno a comprendere l'anima di quest'uomo che nulla chiede e nulla desidera, un animale disperato figlio della violenza.
Nei romanzi di Coetzee non c'è salvazione, non c'è soluzione. Le vite umane rimangono sospese nel vuoto, impotenti di fronte agli eventi. Una scrittura molto potente, che in Italia non conosciamo dal dopoguerra, da quando anche noi avevamo storie forti da raccontare.
Marco



18.3.04
Recensione inviata da AleRooTs
Giorgio Bettinelli - Brum brum. 254.000 chilometri in Vespa
La sua storia di vespista era iniziata quasi per caso, come raccontava nel libro del suo esordio letterario, In Vespa da Roma a Saigon. Da allora tantissimi chilometri, più o meno asfaltati, sono rotolati sotto le ruote delle sue Vespe, e Giorgio Bettinelli è ormai un professional traveller che è riuscito nel fare quello a cui tutti ambiamo: fondere insieme lavoro e passioni, vivere e mantenersi facendo nient'altro che quello che più ci piace fare.
Purtroppo ho l'impressione che questo libro, Brum brum, sottotitolo 254.000 chilometri in Vespa, sia sopratutto la conseguenza di un contratto di sponsorizzazione da onorare, più che uno spontaneo diario di viaggio. Nelle sue pagine dovrebbe contenere il resoconto dei 3 viaggi successivi che Bettinelli ha compiuto tra il 1994 e il 2001, scorazzando a cavallo del suo scooter; dico dovrebbe, perché in realtà dei 254.000 chilometri, quelli di cui siamo resi partecipi sono solo una parte, forse neanche la metà.
I primi due viaggi, tra l'Alaska e la Terra del Fuoco, 1994-95, e a seguire da Melbourne a Città del Capo, tra '95 e '96, sono liquidati in un centinaio di pagine in tutto, e il continuo e slegato saltare da uno scenario all'altro, qualche episodio, due descrizioni, e poi buchi di intere nazioni appena citate, impedisce di entrare nello spirito del racconto, ma in compenso contribuisce a creare nel lettore un irritante senso di fastidio e insoddisfazione.
Il filo del discorso diventa più uniforme e continuo quando si arriva alla Worldwide Odissey, questo il nome dato al percorso che nel giro di circa tre anni porterà il nostro vespista dalla Patagonia alla Tasmania, totalmente overland, e calcando le piste di tutti e cinque i continenti; sebbene anche questo filo si interromperà improvvisamente nel cuore dell'Africa, rimandando i due anni seguenti a un probabile libro successivo. Qua la lettura è piacevole, le pagine scorrono di pari passo alla strada sotto le ruote; rispetto al suo primo "diario", forse il registro e le
descrizioni delle città si avvicinano un po' troppo spesso alle schede di una lonely planet, e troppo frequentemente si ritrova un eccessivo e continuo autocompiacimento per lo stile di viaggio volontariamente improvvisato e alternativo, o un'improbabile e pretenziosa ricerca di "effetti speciali" letterari; tuttavia su tutto questo prevale la magia dei luoghi attraversati e il fascino del viaggio in sé, ed è difficile staccarsi dalla lettura, abbandonando il percorso di scoperta di posti nuovi, o la curiosità di vedere come vengono dipinti città e scenari noti in prima persona. Quest'ultima categoria purtroppo in netta minoranza per quanto mi riguarda, anche perché l'intera Europa viene "esaurita" nell'arco di poche pagine, e sono i forti e contradditori ambienti africani e sudamericani quelli che più coinvolgono quello che si autodefinisce "un vespista europeo, che però in Europa si sente solo di passaggio".
Attendiamo quindi di scoprire se la saga del giramondo in scooter si arricchirà di un ulteriore episodio, e quali altri itinerari overland la vista di un planisfero o di un mappamondo potranno ispirare a questo viaggiatore che "ha avuto il coraggio di fare quello che la maggior parte osa soltanto sognare".
...ale... (...l'ermo colle...)



4.3.04
Recensione inviata da Fernanda Nosenzo Spagnolo
I vangeli per guarire. Una nuova Luce sul Mito fondatore di Alejandro Jodorowsky (traduzione di Antonio Bertoli)
Alejandro Jodorowsky, personaggio molto discusso, è lo sciamano "occidentale" per eccellenza che ha vissuto e vive la vita intensamente e spesso in modo drammatico. Magia e psicomagia, arte e surrealismo, cinema, droghe, esperienze sciamaniche con Castaneda, illuminazioni... Ingredienti della sua vita, attraverso i quali Jodorowsky ha imparato a controllare le capacità della mente e a metterle al servizio degli altri. Creando la psicomagia, è riuscito a fondere il mondo magico delle credenze popolari e la psicoanalisi; a parlare al subconscio utilizzando un linguaggio non razionale, una tecnica che gli ha permesso, attraverso il compimento d'atti apparentemente folli, di aiutare persone afflitte da problemi psicologici anche gravi.
L'interesse del libro risiede soprattutto nell'evidenziare non solo la sempre maggiore importanza dell'aspetto sociologico dell'albero genealogico d'ogni individuo, ma anche la propria immagine spirituale che sta alle radici di qualsiasi malessere psico-fisico per cui come fattore conclusivo Jodorowsky afferma che non possiamo approdare alla nostra realizzazione se non costruiamo una divinità interiore. Ecco, dunque, l'importanza del mito e della sua interpretazione simbolica.
Per accostarsi al mito vi sono due modi: il primo consiste nel cercare di renderlo fisso come una verità e quindi intraprendere ricerche storiche, geografiche e sociali per dimostrarne la realtà, il secondo consiste nell'accettare il mito come un simbolo e tentare di penetrarne il mistero. In quest'ultimo caso, sottolinea l'autore, non si tratta di stabilire se sia reale o no, quanto piuttosto d'immergersi in una nuova interpretazione, a margine di tutti i fondamenti religiosi tradizionali, per ricercare una verità interiore e riconoscere in esso la nostra anima. Bellissime definizioni, bellissime espressioni e coinvolgenti spiegazioni!
Studiando il Vangelo, la prima preoccupazione di Jodorowsky è stata quella di magnificarne il significato, alla ricerca delle più belle interpretazioni possibili. Abbinando a quest'osservazione religiosa l'attento esame scrupoloso degli Arcani dei Tarocchi di cui è un esperto interprete, l'autore rende quest'opera molto significativa. Infatti, accostando ad ogni capitolo del Vangelo un Arcano dei Tarocchi osservato in ogni suo dettaglio, Jodorowski ci rende partecipi di un mondo particolare, mondo dove tutti possiamo avvicinarci se però ne accettiamo i principi. La Terra, il Cuore e lo Spirito sono innanzitutto i tre processi alchemici che entrano in gioco nel nostro cambiamento, si tratta solo di comprenderne il significato e di accogliere il messaggio in loro contenuti.
Messaggio che proprio nelle ultime pagine di questo libro a noi si palesa.
Fernanda Nosenzo Spagnolo



3.3.04
Recensione inviata da Marco Di Porto
Psicomagia - Una terapia panica, colloquio con Alejandro Jodorowsky (traduzione di Silvia Meucci)
Alejandro Jodorowsky è più o meno una leggenda vivente. Attore e regista di teatro e cinema, scrittore, sceneggiatore di fumetti, istrione, mago, psicoterapeuta (o, come lui stesso si definisce, "psicomago"), ha fatto parte del movimento surrealista (che riuniva personaggi come André Bréton, Salvador Dalì e Man Ray), ha fondato il "teatro panico" e ha girato mezzo mondo con i suoi spettacoli. Nel 1995, dopo anni e anni di ricerca spirituale e artistica ("Jodo", come è chiamato dai suoi estimatori, è nato in Cile nel 1929 da famiglia di emigrati ebrei) su se stesso, sul teatro e sui poteri stravaganti e potentissimi dell'atto poetico e teatrale, dell'azione simbolica volta a inscenare le proprie paure e i propri drammi, così da esorcizzarli, ha deciso di condividere con un pubblico più ampio le sue geniali intuizioni, le sue esperienze, il suo bagaglio. E ha fatto un libro-intervista con lo scrittore Gilles Farcet, dal titolo Psicomagia - Una terapia panica, che Feltrinelli ha dato alle stampe nel 1997.
Cos'è la psicomagia? È prodursi in atti più o meno insensati, sacri, beffardi o folli per autoinfondersi fiducia, per superare le proprie insicurezze, per affermare la propria individualità e indipendenza dalle persone (genitori compresi), per cambiare il corso della propria vita e i lati meno piacevoli della propria personalità. Più o meno funziona così: si va da Jodo, gli si parla del problema, Jodo prova a "sentire", va in trance o in autoipnosi, e trova la cura adatta. I suoi spettacoli-terapia a Parigi sono affollatissimi, ma Jodo riceve anche individualmente, e non vuole alcun compenso.
Ma in Psicomagia - Una terapia panica c'è molto di più. C'è l'incontro inquietante con Pachita, la miracolosa guaritrice messicana a cui Jodorowsky ha fatto per anni da assistente, ci sono gli atti panici di Jodo, c'è la magia della sua vita, ci sono le sue riflessioni tanto illuminanti quanto - a volte - semplici. C'è la psicoterapia e Freud, c'è la filosofia e la saggezza zen, c'è l'esperienza di un uomo che, lo si ammiri o lo si pensi un grande illusionista, ha decisamente avuto una vita straordinaria. Quello che si direbbe un "guru".
Marco
P.S.: In questo periodo si fa un gran parlare di Jodorowsky, perché Feltrinelli ha appena dato alle stampe La danza della realtà, autobiografia dello psicomago. La trovate in libreria, ma - udite udite! - c'è un interessante incontro con Jodo in persona in vista. Avverrà martedì 9 marzo 2004, alle 18 e 30, alla Feltrinelli di Galleria Colonna, a Roma. C'è da aspettarsi di tutto!

Segnalo in aggiunta gli altri appuntamenti di cui ho letto su Alias: venerdì 5 marzo ore 18:30 libreria Feltrinelli di piazza Piemonte 2 a Milano; domenica 7 marzo ore 12 spazio Feltrinelli in piazza dei Martiri a Napoli; mercoledì 10 marzo ore 21 teatro Puccini in via delle Cascine 41 a Firenze. (Zu)



2.3.04
Recensione inviata da Essemme
Adoro essere uccisa di Tibor Fischer (traduzione di Luca Scarlini, Fazi editore)
Tibor Fischer conferma il suo tagliente talento, con questa raccolta di racconti.
Il titolo è quello del primo racconto, il più lungo. Peccato. Il titolo originale sarebbe stato molto più efficace. Condensa in una sola riga tutto il senso dell'ironia amara e graffiante di Fischer: Don't Read This Book If You Are Stupid.
Perché quelle storie parlano di tutti noi, ciascuno con le proprie idiosincrasie, ciascuno con i propri dubbi, problemi, rimorsi, rimpianti e pensieri strani. I pazzi non sono gli strani tipi che immancabilmente i protagonisti incontrano per le strade di Londra. Quelli sono bizzarri, forse. I pazzi siamo noi, gli stupidi, risucchiati come stupide marionette in questo mondo turbinante. La protagonista vera è la città impazzita che impone ai suoi abitanti i propri ritmi, le proprie leggi.
E così ogni storia si intreccia ad un'altra, ogni storia può essere la storia di chiunque. Ma non è mai, in Fischer, una storia qualunque. Il suo modo di raccontare è unico, originale, penetrante.
È lo stile il protagonista dei libri di Fischer. Le storie sono interessanti, a volte. Altre volte no. Dal pericoloso mangiatore di libri che vive nelle biblioteche pubbliche al trentenne già fallito nel roboante mondo della new economy che si ingegna a sedurre una donna solo per non dormire sul divano in vacanza, passando per un geniale ritratto dell'artista come un ringhioso spacciatore di morte. Il successo arriva solo quando ci si inventa una identità finta e interessante per gli altri. Ma si tratta solo dell'attenzione degli altri, senza valore.
Leggetelo.
Essemme



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