Letture e riletture


29.6.03
Recensione inviata da Enzo Baldoni
Gialloviola, di Andrea Ballarini: una sophisticated comedy guarnita di humour, sesso e cultura.
C'è un nuovo personaggio nel mondo del giallo divertente e sofisticato: Viola Anhalt, una storica del Settecento - ma anche una gran bella gnocca - di origine tedesca ma immigrata a Venezia dove si occupa di studiare la vita e le opere di Casanova. Il suo ex professore di storia le chiede di esaminare un sensazionale documento casanoviano ritrovato nell'archivio del castello di Dux, ultima dimora del seduttore, ma appena Viola vola a Parigi scopre che il professore è stato brutalmente accoltellato in un vicolo di Pigalle.
Comincia così un duplice inseguimento del misterioso assassino e di un elusivo manoscritto che promette di essere l'autografo di cui i casanovisti di mezzo mondo hanno di volta in volta, supposto, desiderato, negato o temuto l'esistenza. Attraverso due continenti, dal giardino del Lussemburgo al castello di Dux, dai silenzi dell'isola veneziana di San Lazzaro degli Armeni alla convulsa medina di Marrakech, Viola troverà il bandolo di un'intricatissima vicenda che avrà l'insospettabile epilogo in una fornace di Murano.
GialloViola è una romantica detective story ricca di suspense e di personaggi memorabili che è anche una sophisticated comedy raccontata dallo sguardo pungente e autoironico della protagonista.
e.



23.6.03
Recensione inviata da Astrid
Ho letto Fahrenheit 451 ed è stata una specie di illuminazione: troppo di quel che Bradbury ha scritto anticipa quel che sta accadendo al giorno d’oggi, con il dilagare della televisione, il prevalere della finzione sulla realtà, la manipolazione della storia (ma forse quest’ultima c’è sempre stata), l’impoverimento del bagaglio culturale delle persone. La frase più triste: ”Non dimenticate che i militi del fuoco raramente sono necessari. Lo stesso pubblico ha cessato di leggere di sua iniziativa”.
Vorrei essere come Clarisse McClellan, la ragazza poetica e allegra che viene considerata un’eccentrica solo perché non sa accettare le tristi convenzioni sociali e vuole invece conoscere le cose per quello che sono, e invece mi rendo conto di essere spesso piuttosto simile a Mildred, la moglie alienata di Guy Montag che passa le sue giornate fra tranquillanti e soap operas negandosi ad un rapporto diretto con la realtà. Ma probabilmente sarò sempre un misto tra le due: ascolterò la radio fino a notte tarda per avere compagnia, e continuerò a cercare e annusare “l’erba medica alta e il profumo di terra” (citazione dei Tre allegri ragazzi morti - Bella mia), camminando in mezzo ai campi dove nessuno va per diletto, ma solo per i lavori agricoli o al massimo per la caccia (e io non riesco a considerarla uno svago!).
Ma più di tutto, più della faccenda “bruciare i libri – imparare i libri a memoria”, mi ha dato da pensare ciò che Granger racconta a proposito del nonno: egli aveva un nonno che sapeva fare molte cose, scolpiva il legno e allevava i piccioni e raccontava le storie ai bambini, e lui, Granger, non era mai riuscito a superare la sua morte, pensando che essa comportava la perdita di un milione di bellissime cose che il nonno avrebbe ancora potuto fare.
Che il senso vero della vita è lasciare qualcosa di sé agli altri che resteranno dopo di noi, un figlio, un quadro, una scultura, una casa, una pianta piantata da noi, qualcosa. Ecco che allora mi è venuto spontaneo pensare a che cosa lascerei io al mondo se morissi adesso, e mi sono accorta che sarebbe davvero ben poco, forse è per questo che mi è venuta voglia di seminare, di piantare dei fiori, perché ho pensato di aver preso abbastanza dagli altri, da coloro che mi hanno insegnato ed educato, forse è arrivato il momento di restituire qualcosa di quel che ho ricevuto. È la prima volta che un libro mi spinge a fare qualcosa (che non sia leggere un altro libro), ciò conferma che mi ha davvero colpita e spero che i risultati si vedranno presto in una certa aiuola, sempre se riesco a impedire al mio cane di sabotare tutto!
'strid




17.6.03
Recensione inviata da GiallodiVino
L'ultima ceretta di Anna Berra (Garzanti)
Alice è alta, una stangona, tira di boxe, faceva danza un tempo, ha una benda nera su un occhio malandato, una laurea in lettere moderne e batte. Sì, batte in un centro estetico di quelli che spesso affollano le pagine di cronaca dei quotidiani, perché vengono “smascherati” dai militi dell’Arma, dopo lunghi mesi di indagini e appostamenti. E lo sanno tutti che dentro battono, anche se alla vista di bandoliere e fiamme sul berretto è tutto un fuggi fuggi, pantaloni a fraccoscio, camicie stazzonate e “volevo solo farmi un peeling”, se non peggio “lei non sa chi sono io”. “Lo vediamo subito chi è lei, favorisca i documenti”. Le professioniste del sesso sono le insospettabili per definizione: casalinghe, studentesse e tutto il circo dell’accostamento morboso tra mestieri distanti che viene partorito da un cinico caporedattore in cronaca. Alice è una di loro, ed è la protagonista dell’Ultima ceretta, titolo azzeccato, spregiudicato nel marketing, giusto nella ciccia della storia. E la storia, infatti, si apre con una professionista, una capa estetista, la tenutaria di Ali, morta affogata nella cera, strozzata. Siamo a Torino, all’oggi. Alice e l’amica e collega Paola vogliono capire chi diavolo è stato e perché. Iniziano a indagare senza saperci fare con qualunque tecnica investigativa e quindi si ritrovano con mucchi di cazzate alle spalle.
L’ultima ceretta è un noir-giallo solo perché c’è una morta, un mistero e una tipa che indaga. Per il resto non saprei. Le anticipazioni che avevo letto facevano pregustare una Torino diversa, misteriosa e vampiresca (quello un po’ sì, ma trattasi di draculini per amore), una Torino che nelle pagine del libro non c’è assolutamente. La presenza della sabauda la avverti dal dialetto dei genitori di Alice – incomprensibile – e da qualche dettaglio noto anche a me che non sono di quelle parti. Esempio: a Porta Palazzo ci sono gli immigrati. Ma questa non è una colpa, anzi, è la fretta dell’editor nell’appiccicare un’etichetta a un romanzo che è bello per altri motivi. E cioè per una protagonista strepitosa: Alice è un grande personaggio, per nulla scontato, tenace ma fragile per duemila cose. Ama una ragazza e un ragazzo dello stesso amore. Con lui s’incazza. Con lei si ritrova a pendere dalle sue labbra come un’adolescente inebetita che disegna cuori sulla smemoranda. Ma l’adolescente è quell’altra e presto andrà a ficcarsi nei guai. Alice è una che prende a cazzotti crucche statuarie e sadiche nel bel mezzo di un partouze sadomaso, che ricorda la “festa in maschera” di Eyes wide shut.
Ama la boxe, senza essere una di quelle fighette che lo fanno per avere la giustificazione per indossare una felpa Everlast, a una festicciola bordo piscina. Alice è tutto il contrario. Dice: la boxe è lo sport più potentemente omosessuale che esista. Due corpi nudi che di continuo s’abbraciano, sudati, sanguinanti che danzano, quasi si corteggiano.
Anche tutto il resto, i comprimari, le controfigure, quelli che Gadda chiama i “prottagonisti der dramma, sto branco de fregnoni e de fiji de mignotte che stanno ar monno, e de le commare loro e madame porche futtute” , insomma tutto il resto pure funziona. Come Paola, amica per il cuore, impiegata alla Asl.
Alice legge Céline, e non Viaggio al termine della notte, ma Da un castello all’altro, si muove in autobus e va in giro con una valigetta piena di strumenti sadomaso, non usa il cellulare. Credo possa bastare per capire che di tipi così in giro per i boschi narrativi ce ne siano pochi. Come lettore di gialli forse sono rimasto un po’ deluso, come lettore e basta, proprio no.
Nicola




12.6.03
Recensione inviata da L'intercapedine
Hotel New Hampshire di John Irving (traduzione di Pier Francesco Paolini)
Anni fa rimasi fulminata dalla tragica leggerezza e dalla scanzonata pazzia che trasudavano le pagine de Il mondo secondo Garp, il primo romanzo di Irving che abbia mai letto. Non potete immaginare la mia gioia quando, dopo qualche pagina di Hotel New Hampshire mi son resa conto che si trattatava di una storia raccontata con la stessa ironia e costellata di personaggi altrettanto bizzarri.
C'è il nonno Iowa Bob, con le sue teorie esistenziali da allenatore di rugby; la mamma e la sua irresistibile scrollatina di spalle; il capofamiglia sognatore; Frank il primogenito introverso; Franny la capobranco; John il narratore; Lilly e la sua voglia di crescere; Egg ed i suoi "cosa?"; Sorrow il cane che galleggia. Poi ci son varie specie di orsi ammaestrati e travestiti, stupratori e stuprati, il Braccio Nero della Legge, prostitute, radicali, bombe simpatiche, c'è Freud -l'altro Freud- con la sua mazza da baseball... e poi ancora sucidi, omicidi, tragiche fatalità e dolci amenità.
Della maggior parte dei romanzi resta impresso il finale (come ad esempio, proprio per alcuni dei personaggi di Hotel New Hampshire accade con Il grande Gasby), invece a me di questa storia ha colpito particolarmente l'inizio, le prime pagine, in cui si parla dell'incontro dei genitori, del momento quindi in cui tutta la saga familiare ha avuto inizio agli occhi dei figli, che, seduti raccolti intorno a loro, ascoltano rapiti il racconto dell'estate del '39 in cui il loro futuro padre Win Berry incontrò la loro futura madre Mary Bates ed insieme videro per la prima volta l'orso chiamato State o'Maine.
E come direbbe la piccola Lilly: tutto è favola, tutto.
Bisogna continuare a passare oltre le finestre aperte.
scintilla




6.6.03
Contributo inviato da Carlo Annese
La manutenzione degli affetti, scritto da Antonio Pascale per Einaudi
Non è un capolavoro, ma una raccolta di sette storie vive e vivide, scritte in un italiano non troppo ricercato tantomeno "di categoria" (sebbene ci sia una caduta di tono nell'ultima short story, "Spettabile Ministero" in cui si fa pesantemente il verso a un McEwan d'annata nella descrizione di ciò che si trova in un cassetto dimenticato).
Il fatto che Pascale, casertano, usi un punto di vista a Sud non è certo una diminutio. Anzi, la freschezza che trasmette nell'elencazione della giornata dei ragazzi di primo pelo addetti all'esazione del pizzo nei cantieri edili ("Qui le chiacchiere stanno a zero") o, ancora di più, nel tratteggiare nascita, evoluzione e morte di una famiglia medio-borghese della provincia ("Il ceto medio") sono una prova davvero notevole.
L'apice si tocca in "La controra", un argomento (al di là della storia, in sé splendida per quanto reale, di un ragazzo che diventa rotondo, poiché trova conforto nel cibo dalle continue liti dei genitori e dalla fine del loro rapporto) che ha sollecitato ricordi e momenti di vera e propria nostalgia. La controra è il periodo che va dalle 14 alle 16/16.30 in cui il caldo e una legge non scritta induce gli uomini e le donne del Sud a non agire. Bensì spesso a dormire. Chi sfida quella legge, è considerato un pazzo ma ha anche il vantaggio di poter realizzare ciò a cui altri nemmeno si affannano di pensare (viaggiare, ad esempio: ho sempre amato quelle ore per partire nelle mie scorribande in auto tra gli ulivi e il mare della mia terra) in totale solitudine.
Giocavo a pallone con gli amici del condominio. D'estate, scendevo in giardino verso le cinque. Prima non si poteva. Me lo vietava mio padre: - Deve passare la controra -. Perché la controra era un limite: superarlo significava entrare in un territorio rischioso che non dovevo permettermi di frequentare.
Del resto, ancora me le ricordo le giornate passate al mare da piccolo, quando, nel primo pomeriggio, mio padre agganciava la tenda attorno all'ombrellone, lasciando solo due piccoli spiragli per far entrare la brezza: - Qua il sole è forte assai.
Carlo Annese




4.6.03
Impressioni inviate da AleRooTs
Mondo Blog, La Pizia
Leggere le sue parole è un piacere della mente; nemmeno una lettera è lì per caso. A portarti dall'inizio alla fine né un segmento arido e inespressivo, né una linea troppo ricamata e soffocante, ma una curva armoniosa e efficace, che ti guida attraverso pensieri e emozioni, e ti conduce a destinazione soddisfatto e un po' più completo.
Ma ogni magia non è infallibile, e questa nasce se può attravarsare venti righe attorno a un'emozione; giusto il tempo di regalarti un'immagine: ancora più bella perché senza troppi dettagli, e tutto il resto lo puoi aggiungere da te.
Se le pagine sono troppe rischia di perdersi, e un libro non può essere un blog, mal gli si adatta una struttura così spezzettata e episodica; il libro si legge di filato, dalla prima all'ultima pagina; il blog è una sfilata di perle, che un giorno dopo l'altro ti accompagnano per qualche minuto in un mondo che non è il tuo.
Neanche il più ampio degli zoo-safari può rendere giustizia alla fiera rapita dal suo ambiente; e non tutte le parole nascono in un mondo di carta e inchiostro di tipografia...
Ale




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